La quinta sez. del Consiglio di Stato con la sentenza 10 aprile 2020, n. 2358 (estensore Grasso) affronta compiutamente l’analisi degli atti di ritiro di una procedura di gara e le posizioni dei partecipanti.
Il fatto: a seguito della procedura di infrazione dello Stato italiano, in merito all’adeguamento del sistema depurativo e fognario di alcuni Comuni italiani, si procedeva all’individuazione di interventi prioritari finanziati dalla Stato.
Un’Amministrazione locale indiceva una procedura di gara per l’affidamento in project financing della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché l’esecuzione di lavori di adeguamento e costruzione degli impianti di depurazione e rete fognante nel territorio comunale e successiva gestione funzionale ed economica del servizio di depurazione e collettamento.
Successivamente il Governo.it procedeva alla nomina di un Commissario straordinario unico per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l’adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell’Unione europea pronunciate il 19 luglio 2012 (causa C-565/10) e il 10 aprile 2014 (causa C-85/13) in materia di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue, tra i cui primi atti imponeva la sospensione della procedura, il subentro nei rapporti e l’indizione di una nuova gara, con ritiro dei precedenti atti di gara.
Da qui seguiva ricorso per la ritenuta inapplicabilità dell’art. 21 quinquies, «Revoca del provvedimento», della legge n. 241/1990, il rivendicato diritto alla liquidazione dell’indennizzo.
Il Consiglio di Stato si pronuncia stabilendo l’infondatezza dell’appello che va respinto per le seguenti motivazioni:
- il ritiro, all’esito di un procedimento di secondo grado, dell’atto di indizione di una procedura evidenziale è sottratto – avuto riguardo alla sua natura di “atto amministrativo generale” alle norme sulla partecipazione individuale (ex 13 della legge n. 241/1990)[1];
- affinché sorga uno specifico diritto alla personalizzata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale è necessaria una legittimazione fondata su una posizione soggettiva differenziata e qualificata, che – nel contesto dinamico dell’azione amministrativa – strutturi una specifica e concreta aspettativa giuridicamente tutelata al favorevole esito procedimentale;
- nemmeno l’aggiudicazione provvisoria (oggi sostituita, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, dalla mera “proposta di aggiudicazione”) è in grado di strutturare una tale posizione qualificata[2];
- il mero concorrente non si trova in alcuna posizione degna di tutela, anche qualora fosse l’unico partecipante rimasto, atteso che pur a fronte dell’approvazione della proposta di aggiudicazione, la stazione appaltante conserva, pur sempre, il potere discrezionale di procedere o meno all’aggiudicazione[3].
In ogni caso, soggiunge il giudice di seconde cure, le ragioni poste a fondamento della determinazione rimotiva giustificano la scelta operata dall’organo commissariale, rendendo comunque a posteriori irrilevante – alla luce del canone antiformalistico scolpito all’art. 21 octies, comma 2 della legge n. 241/1990 – l’eventuale apporto partecipativo dell’appellante (ininfluente).
La motivazione dell’atto di ritiro si presentava articolata su più profili (e, pertanto, rispondente al paradigma normativo, art. 21 quinquies della n. 241/1990: nuova valutazione dell’interesse pubblico rispetto agli elementi originari):
- la scelta dell’affidamento mediante project financing, con riguardo al passaggio al gestore unico del sistema idrico integrato non appariva coerente;
- l’ANAC, successivamente consultata, manifestava perplessità in ordine alla misura dell’apporto pubblico, al trasferimento dei rischi in capo al privato, alla durata del contratto;
- la gestione commissariale rispondeva all’esigenza di adeguamento alle sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea;
- la scelta operata non era coerente con l’esistente rispetto ad un unico presidio piuttosto che preferibili più presidi depurativi localizzati.
L’Amministrazione ha la piena facoltà «prima della conclusione del relativo procedimento (nella prospettiva del costante adeguamento al vincolo finalistico delle loro condotte) di ripensare la scelte operate in ordine alle modalità di selezione delle controparti negoziali, con l’unico limite del rispetto delle regole qualificate di buona fede e dell’affidamento dei concorrenti, suscettibile di essere, se del caso, salvaguardato – fermi gli effetti rimotivi della revoca legittimamente esercitata – in sede di responsabilità precontrattuale, sub specie facti»[4].
L’approdo del corretto esercizio del potere di ritiro degli atti di gara non comporta, a favore dei concorrenti, l’obbligo di pagamento dell’indennizzo, previsto dall’art.21 quinquies della legge n. 241/1990:
- l’indennizzo è legalmente dovuto esclusivamente ai soggetti “direttamente interessati” dal provvedimento di revoca (cfr. art. 21 quinquies, comma 1 ad finem), vale a dire ai soggetti ai quali l’opzione revocatoria finisca per sottrarre, sia pure legittimamente e per ragioni di pubblico interesse, una utilità, ovvero un bene della vita già acquisito al patrimonio (tali non potendo essere, per definizione, considerati gli operatori economici, per il solo fatto che abbiano formulato la loro offerta in sede evidenziale)[5];
- per altro (e coerente) verso, laddove la misura revisionale incida rimotivamente su atti amministrativi generali (quali sono, come vale ripetere, gli atti indittivi di procedure evidenziali), non sussistono – prima della conclusione, con il provvedimento di aggiudicazione definitiva, del procedimento – posizioni di affidamento qualificato, meritevoli di tutela compensativa indennitaria.
In assenza della sottoscrizione del contratto, valido spartiacque per far sorgere il vincolo negoziale, l’operatore economico non può vantare una posizione di tutela piena ma affievolita non essendo ancora consolidato un diritto all’aggiudicazione (che avviene con l’approvazione della proposta di aggiudicazione, terminando il proprio viaggio).
Di converso, occorre precisare al riguardo che la fase esecutiva del rapporto avente fonte nell’aggiudicazione della gara d’appalto non viene in rilievo, come chiarito dalle Sezioni Unite[6], l’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’ente pubblico ma posizione di diritto soggettivo, per cui si esula dai limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di cui all’art. 133, comma 1, lett. e), del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del Processo Amministrativo), per ricadere in quella del G.O.[7].
Depone in tal senso:
- il confronto sistematico con la analoga regola di cui all’art. 11, comma 4 della legge n. 241/1990 riferita agli accordi, che – con riferimento alle ipotesi in cui il “provvedimento finale” sia, come è sempre possibile, surrogato dall’accordo delle parti – prevede la liquidazione di un indennizzo (peraltro meramente “eventuale”) in caso di recesso per sopravvenuti motivi di interesse pubblico;
- per un verso il “recesso” negli accordi, ben diversamente da quello genericamente codificato all’art. 21 sexies della medesima legge 241, per la facoltà di soluzione unilaterale dei vincoli contrattuali jure privatorum – è strutturalmente e funzionalmente assimilabile alla revoca provvedimentale e, per altro verso, la tutela indennitaria postula la rimozione di un assetto di interessi “finale”, nella specie affidato all’accordo sostitutivo in luogo della decisione conclusiva del procedimento;
- l’art. 32, comma 8 del d. lgs. n. 50/2016, che – ripetendo la regola già codificata all’art. 11, comma 9 del previgente d.lgs. n. 163/2006 – evoca l’esercizio dei poteri di “aututela” successivi al consolidamento, con l’aggiudicazione definitivamente efficace, della posizione del concorrente utilmente collocato in graduatoria: il che – se non esclude la più generale facoltà di ritiro degli atti endoprocedimentali – conferma la non (integrale) applicabilità dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, in assenza di provvedimento “conclusivo del procedimento”[8].
Sul riconoscimento dei presupposti della responsabilità precontrattuale (violazione degli obblighi di buona fede) che potrebbe sussistere anche in presenza della legittimità della revoca, in termini di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., pacificamente operante anche nei rapporti (segnatamente di matrice prenegoziale) tra privati e Pubblica Amministrazione (secondo i canoni del c.d. “contatto sociale qualificato”), non si riscontrano i presupposti per i seguenti effetti.
Il ragionamento parte sulla necessaria distinzione tra:
- l’ipotesi della revoca giustificata da “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” (eventualmente correlata al sopravvenuto mutamento del quadro normativo di riferimento): c.d. sopravvenienza di diritto, che è, per definizione, imprevedibile e non imputabile all’Amministrazione, che, perciò, non può incorrere in responsabilità per aver doverosamente adeguato la propria azione all’aggiornato quadro degli interessi rilevanti: qui – ove la revoca sia legittima – non è dato prefigurare una condotta scorretta, fonte di pregiudizio precontrattuale. In questo caso della revoca per sopravvenienza di diritto, al privato spetta, sempreché ne ricorrano le condizioni, l’indennizzo da revoca legittima o il risarcimento integrale del danno da revoca riconosciuta illegittima;
- l’ipotesi del “mutamento della situazione di fatto”: c.d. sopravvenienza di fatto ove la responsabilità è normativamente ancorata alla eventuale “prevedibilità imputabile” del mutamento del quadro fattuale: solo l’imprevedibilità dello stesso, alla luce di un canone di qualificata diligenza operativa, esonera da responsabilità (in questo caso fondata sulla colpa dell’Amministrazione, per non aver previsto situazioni obiettivamente prevedibili). In questo caso della revoca per sopravvenienza di fatto, al privato spetta l’indennizzo (limitato, nel caso del comma 1 bis dell’art. 21 quiquies della legge n. 241/1990, al “danno emergente”) in caso di revoca legittima e il risarcimento dei danni (comprensivo dell’interesse positivo, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, ex 1223 c.c.) in caso di revoca illegittima;
- l’ipotesi di “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”: c.d. jus poenitendi, dove la responsabilità è ancorata alla lesione dell’affidamento della controparte privata, in quanto l’Amministrazione non si sia conformata ad un canone di correttezza e di buona fede (ex 1337 c.c.). In questo caso di revoca penitenziale, spetta il risarcimento del danno precontrattuale (nei limiti dell’interesse negativo, ancorché comprensivo del lucro cessante, ex art. 1337 c.c.) anche nella ipotesi di revoca legittima, ma operata in modo scorretto (tipicamente, per inadeguato apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto a base del provvedimento impugnato), mentre compete il risarcimento integrale del danno in caso di revoca illegittima.
Il quadro esegetico applicato al caso di specie si perimetra nella forma di revoca penitenziale, in quanto il ritiro degli atti della prima gara è stato giustificato dall’organo commissariale, in virtù di un ripensamento in ordine alla miglior corrispondenza all’interesse pubblico delle modalità originariamente prescelte; ovvero, proprio per la circostanza della nomina imposta dalle circostanze sopravvenute, date essenzialmente dall’intervento della Corte di Giustizia e della pedissequa istituzione di un Commissario straordinario ai fini di una più tempestiva e congrua attuazione degli interventi.
Il Commissario subentrato all’Amministrazione locale non ha violato le regole di correttezza, avendo posto in atto il comportamento insito nella sua funzione, ovvero quello di dare immediato corso alle misure necessarie per rispondere alla procedura di infrazione in danno dello Stato Italiano.
Il pregio della sentenza è quello di chiarire una serie di questioni collegate agli atti di ritiro e alle loro conseguenze, segnando un ulteriore passaggio importante che demarca le mere aspettative dal diritto di aggiudicarsi l’appalto e la sottoscrizione del contratto.
Infatti, solo l’aggiudicazione costituisce provvedimento impugnabile, ai sensi dell’art. 120, comma 2 bis, ultimo periodo del D.lgs. n. 104/2010, essendo inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, di cui all’art. 33 del D.lgs. n. 50/2016 e degli atti endoprocedimentali privi di immediata lesività[9].
La proposta di aggiudicazione, infatti, è pacificamente da ritenere (alla stregua della vecchia aggiudicazione provvisoria) quale atto di natura endoprocedimentale, ad effetti instabili ed interinali, soggetta all’approvazione dell’organo competente della stazione appaltante non ancora in grado di produrre effetti definitivi[10].
[1] Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6455.
[2] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 11 gennaio 2018, n. 136; sez. V, 31 agosto 2016, n. 3746.
[3] TA.R. Umbria, sez. I, 16 giugno 2011, n. 172, idem T.A.R. Lazio, sez. I, 28 febbraio 2011, n. 180, si rinvia ad un personale contributo, Il perfezionamento dell’aggiudicazione e l’invarianza della soglia, L’ufficio Tecnico, 2020, n. 4, dove si annota che «in questa fase intermedia l’interessato conserva solo una mera aspettativa al perfezionamento del procedimento, non essendo qualificabile la proposta di aggiudicazione come provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica».
[4] Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831.
[5] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 2018, n. 2025, che, sulla scorta di orientamento consolidato contrappone, ai fini in parola, gli “atti ad effetti instabili od interinali” a quelli “definitivamente attributivi di vantaggi, e dunque ad effetti durevoli”, non potendo dubitarsi che il procedimento non fosse concluso.
[6] Cfr., Cass. civ., sez. unite, ord. 21 maggio 2019, n. 13660; ord. 5 ottobre 2018, n. 24411.
[7] Cass. civ., sez. unite, ordinanza 23 aprile 2020, n. 8099.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 agosto 2019, n. 5597; Id., sez. V, 9 novembre 2018, n. 6323.
[9] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 6 aprile 2018, n. 928. La proposta di aggiudicazione per sua natura un’efficacia destinata ad essere superata, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 5 gennaio 2018, n. 107.
[10] Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3310.