La nozione di “cambio di destinazione d’uso” può rinvenirsi nell’art. 23 ter del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) ove si stabilisce che “costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie”, purché tale da comportare l’assegnazione del bene ad una diversa categoria funzionale (residenziale, turistico – ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale).
Il cambio di destinazione può comportare come conseguenza una nuova determinazione degli oneri di urbanizzazione, ciò in funzione non già della realizzazione o meno di opere quanto dell’incidenza sul carico urbanistico, a seguito del passaggio ad una diversa categoria funzionale autonoma.
La prima sezione staccata del T.A.R. Sicilia – Catania, con la sentenza n. 2857 del 6 novembre 2015, interviene su un caso concreto (cambio da civile abitazione a negozio commerciale), acclarando che tale passaggio è caratterizzato da un diverso “peso” urbano, con la doverosa necessità di rideterminare l’insorgenza di un nuovo conteggio degli oneri di urbanizzazione.
È noto che la realizzazione di un intervento edilizio, che comporta la trasformazione del territorio, impone il pagamento di una somma di denaro a favore del Comune in relazione al rilascio del titolo abilitativo (concessorio), in aderenza ad un principio, a livello generale, con funzione di solidarietà economico – sociale, dove l’obbligo contributivo risponde all’esigenza di partecipare ai costi ricadenti sulla collettività per il nuovo carico urbano del territorio, del quale il privato si avvale nel momento in cui decide di edificare.
Si sosteneva che anche il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato preesistente, realizzato con nuove opere, implicava l’assoggettamento all’obbligo di corrispondere al Comune il contributo nella misura rapportata alla nuova destinazione, sicché viene riconfermato la ratio del contributo che “anche in assenza di opere”, qualora la nuova destinazione implichi un uso diverso “più intenso”, sono dovuti gli oneri per l’adeguamento della funzionalità del bene alla nuova categoria, correlata ad un diverso carico urbanistico.
La questione che ha dato inizio al pronunciamento, parte dalla richiesta del Comune all’interessato (ricorrente) del versamento del conguaglio degli oneri di urbanizzazione per il cambio di destinazione d’uso “da civile abitazione a negozio, quindi ad attività commerciale”; avverso tale determinazione si proponeva ricorso ritenendo non dovuto in assenza di “nuove opere che modifichino la sagoma dell’edificio o comportino aumenti di cubatura”.
Il Collegio, nel confermare il fondamento del contributo di urbanizzazione nel maggior carico urbanistico conseguente alla realizzazione di una costruzione, esclude l’imposizione – nell’ipotesi di mutamento di destinazione d’uso – qualora la trasformazione intervenga nell’ambito della stessa categoria (tra quelle indicate dal d.m. 2 aprile 1968); mentre è rilevante il mutamento di destinazione d’uso che comporti il passaggio ad una tipologia considerata urbanisticamente differente, ovvero tra categorie autonome, con conseguente aumento del carico urbanistico.
(ESTRATTO, Cambio di destinazione d’uso e oneri di urbanizzazione, La Gazzetta degli enti locali, 10 novembre 2015)