Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, seconda sezione, con la sentenza n.6884 del 1 agosto 2011 (sentenza sospesa dal Consiglio di Stato) stabilisce l’illegittimità dell’art. 24, comma 2, del Regolamento di amministrazione (Agenzia delle entrate), nel testo risultante dalla delibera del Comitato di gestione n.55 del 22 dicembre 2009 ove si stabilisce che “per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, le eventuali vacanze sopravvenute possono essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l'urgenza, con le stesse modalità di cui al comma 1 (cioè, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti) fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque fino al 31 dicembre 2010”.
La delibera citata, come già analoghe delibere adottate fin dal 2006, viene annotato dal Tribunale, ha perpetuato fino al 31 dicembre 2010 la prassi del conferimento di incarichi dirigenziali, asseritamente in provvisoria reggenza, a copertura di posizioni dirigenziali vacanti; detti incarichi, però, conferiti senza l’espressa indicazione di un termine di durata, e sostanzialmente prorogati di anno in anno, risultano espletati da funzionari non dirigenti, senza che l’Agenzia delle Entrate abbia contemporaneamente provveduto a bandire le procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica dirigenziale e implicano indiscutibilmente l’espletamento di mansioni superiori dirigenziali da personale privo della relativa qualifica.
Sul punto, è da osservare che le disposizioni relative al comparto Ministeri che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), nel senso che l’ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla “straordinarietà” e “temporaneità”, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di “mansioni superiori”.
L’inevitabile conseguenza è quella dell’attribuzione delle mansioni dirigenziali, con la pienezza delle relative funzioni, e con l’assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate; tale nuova posizione non può che comportare, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall’art. 36 Cost., la corresponsione dell’intero trattamento economico (nelle differenze retributive, pertanto, vanno compresi gli emolumenti accessori e, in particolare, la retribuzione di posizione e quella di risultato).
Non sfugge invero che la Legge n. 190 del 2012 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”) individua tra i settori a “rischio”, a cui è indispensabile garantire “trasparenza” (costituendo “livello essenziale di prestazione concernenti diritti sociali e civili”, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) Cost.), anche le procedure “concorsuali e le prove selettive per l’assunzione di personale”, significando l’esigenza di presidiare sia la composizione delle commissioni di concorso che le procedure stesse, al fine di evitare potenziali “conflitti di interesse” o posizioni “abusive”, in contrapposizione con i principi di “buona amministrazione” e, di converso, a beneficio – solo – di alcuni: la violazione delle regole di individuazione del contraente (ergo il vincitore del concorso) contrastano con l’agere pubblico e si traducono in uno sviamento all’interesse generale. Inoltre, non può nemmeno essere riconosciuta la costituzione in via di fatto del rapporto di lavoro (di pubblico impiego) in assenza di una procedura concorsuale essendo affetto da nullità per violazione di norme imperative.
Chiarito il passaggio dalla “reggenza” alle “mansioni superiori”, il Giudice di prime cure annota che l’espletamento di mansioni superiori da parte di dipendenti pubblici contrattualizzati, al di fuori di ipotesi tassativamente previste, è vietato dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, all’art. 56, nel testo sostituito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 25, e successivamente modificato prima dal D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, art. 15 e poi dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, con conseguente nullità dell’atto di conferimento illegittimo.
In altre parole, configurandosi il conferimento di un incarico dirigenziale in favore di un funzionario non dirigente alla stregua dell’assegnazione di “mansioni superiori” al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, il relativo atto di conferimento deve considerarsi radicalmente nullo (nullità testuale), ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 165/2001.
Nel caso di specie, l’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate non contempla affatto l’ipotesi di un incarico di temporanea reggenza ma il conferimento di un vero e proprio incarico dirigenziale, prevedendo la stipula di contratti individuali di lavoro a tempo determinato con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti. Infatti, nel caso della reggenza non è configurabile la predeterminazione di precisi limiti temporali nè la stipulazione di apposito contratto individuale di lavoro, costituendo la “reggenza” un istituto di carattere eccezionale che risponde all’esigenza occasionale e transitoria di assicurare la continuità dell’azione amministrativa, consentito solo nei casi in cui il venir meno della titolarità di un organo per cause imprevedibili imponga l’urgente individuazione di un nuovo soggetto temporaneamente preposto all’organo a salvaguardia degli interessi pubblici perseguiti.
A ben vedere, anche il passaggio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ad una fascia funzionale superiore – comportando l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate – è soggetto alla regola del pubblico concorso enunciata dal terzo comma dell’art. 97 della Costituzione; d’altra parte, il pubblico concorso, in quanto metodo che offre le migliori garanzie di selezione dei più capaci è un meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell’amministrazione, il quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi (forme che possono considerarsi ragionevoli solo in presenza di particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell’amministrazione).
Il Tribunale conclude con il dato indiscutibile del contrasto della scelta organizzativa del conferimento di incarichi dirigenziali, senza concorso, a funzionari privi della qualifica dirigenziale, con la puntuale disciplina di cui agli artt. 19 e 52 del D.Lgs. n.165/2001: una deroga così ampia sul piano quantitativo e temporale al principio del reclutamento del personale dirigenziale mediante il sistema concorsuale per la copertura delle posizioni dirigenziali è valsa ad introdurre e consolidare nel tempo una situazione complessiva di grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e delle garanzie relative all’accesso alle qualifiche, alla selezione del personale e allo svolgimento del rapporto.
Ai fini di un ordinato iter motivazionale sono, pertanto, da ritenere costituzionalmente illegittime le norme che stabiliscono il passaggio a fasce funzionali superiori, in deroga alla regola del pubblico concorso, o comunque non prevedono alcun criterio selettivo, o verifiche attitudinali adatte a garantire l’accertamento dell’idoneità dei candidati in relazione ai posti da ricoprire, realizzando così una sorta di automatico e generalizzato scivolamento verso l’alto del personale, senza alcuna verifica sulle capacità e le attitudini professionali in pieno conflitto con i principi di trasparenza.
Il concorso pubblico, quale forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni, è necessario non soltanto nelle ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizi. In tale quadro, deve escludersi la legittimità di arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive, dovendosi riconoscere al concorso pubblico un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio e quelli di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati ab origine mediante concorso, in rapporti di ruolo.
Vi è anche da dire che, nel campo del pubblico impiego, il conferimento di mansioni superiori ha natura di provvedimento di carattere eccezionale, da adottare tenendo conto dei fabbisogni dell’ente e per esigenze del tutto temporanee e definite nella durata, per coprire vacanze contingenti nelle more dell’espletamento delle procedure selettive, rivolte alla copertura legittima del posto, nel rispetto del dettato Costituzionale che prevede che l’accesso nella pubblica amministrazione avvenga tramite concorso: l’inquadramento dei dipendenti pubblici deve avvenire senza margini di discrezionalità per l’Amministrazione e gli elementi considerati rilevanti sono le posizioni acquisite formalmente, a nulla rilevando le mansioni svolte in via di mero fatto o sulla base di specifici incarichi o ordini di servizio non provenienti da organi legittimati a mutare lo stato giuridico del dipendente.
L’approdo di tali argomentazioni porta la conseguenza di dubitare sull’efficacia delle cartelle emesse dalla Agenzia di riscossione delle imposte, sottoscritte da soggetti che rivestono un ruolo di responsabile del procedimento in pendenza di un determinato gravame (alias illegittimo inquadramento dirigenziale).
Invero, è stata eccepita la nullità degli atti emessi perché affetti da insanabile vizio (cfr. art.21 septies della Legge n.241/90): si sarebbe di fronte ad una incompetenza (difetto di attribuzione che si riverbera nel fatto che non vi è immedesimazione organica con l’ente titolare della potestà, con la conseguenza della radicale carenza di potere da parte dell’autorità procedente) assoluta (non relativa) con l’effetto di rendere l’atto amministrativo nullo (“inesistente”).
Qualora, quindi, il titolare della competenza sia privo del potere (in presenza della sospensione, per via giudiziaria, della nomina) gli atti posti in essere sono privi di efficacia.
La Commissione Tributaria di Messina (sentenza n.128/01/13, pronunciata il 5 febbraio 2013 richiamato l’orientamento della Cassazione n.4557/2009 sull’obbligo del giudice di accertare la riferibilità dell’atto all’autorità legittimata ad emanarlo) si pronuncia ritenendo che l’iscrizione a ruolo se nella prima fase è atto interno, successivamente – con la notifica della cartella (fase esterna) – giunge a destinazione (atto recettizio) completando l’iter procedimentale, ma in presenza di un vizio genetico tale atto non può produrre effetti: il provvedimento amministrativo (che incide la sfera giuridica del destinatario) deve ritenersi viziato fin dalla sua formazione (ovvero, nel processo decisionale) e senza che possa ritenersi in qualche modo sanato da atti successivi (ovvero, dagli atti di delega ad altri dipendenti), per cui lo stesso va dichiarato “inesistente” fin dal giorno della sua emanazione.
La Commissione Tributaria dichiara l’atto amministrativo “inesistente”, incapace di assumere una propria entità giuridicamente rilevante (“inqualificazione giuridica”) e di produrre un qualche effetto materiale negando, pertanto, anche un astratto interesse ad agire, distinguendosi dal provvedimento “nullo”, potenzialmente capace di produrre effetti e come tale di essere erroneamente tradotto in realtà materiale, donde l’interesse ad agire per la dichiarazione di nullità.
(Estratto, Assunzioni senza concorso e inesistenza degli atti firmati, LexItalia, 2013, n.5)