«Libero Pensatore» (sempre)

Il consigliere comunale gode di uno status particolare in materia di “accesso agli atti”, collegato all’esercizio di una funzione pubblica, potendo ottenere dagli uffici ogni “informazione” o “notizia” ritenuta utile relativa all’organizzazione amministrativa e alla gestione delle risorse pubbliche, ex art. 43, Diritti dei consiglieri, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), osservando che una volta richiesto l’accesso e acquisita la documentazione, una sua eventuale reiterazione può essere negata[1].

L’accesso è funzionale all’espletamento del mandato elettorale, assumendo una connotazione ulteriore e più ampia rispetto al diritto di accesso del singolo cittadino (ai sensi degli artt. 22 ss. della legge n. 241/1990) poiché al consigliere è consentito richiedere anche semplici informazioni (non necessariamente tradotte in atti), non contenute in documenti già formati od anche dalla natura riservata[2].

Invero, il bisogno di conoscenza del titolare della carica elettiva deve porsi in rapporto di strumentalità con la funzione di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, di cui nell’ordinamento dell’ente locale è collegialmente rivestito il consiglio comunale (ex art. 42, comma 1, TUEL), e alle prerogative attribuite singolarmente al componente dell’organo elettivo: il diritto del consigliere comunale all’accesso agli atti, ex art. 43, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 non è, dunque, incondizionato[3].

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Illegittimo differimento del diritto di accesso del consigliere comunale

Illegittimo differimento del diritto di accesso del consigliere comunale

Il consigliere comunale gode di uno status particolare in materia di “accesso agli atti”, collegato all’esercizio di una funzione pubblica, potendo ottenere dagli uffici ogni “informazione” o “notizia” ritenuta utile relativa all’organizzazione amministrativa e alla gestione delle risorse pubbliche, ex art. 43, Diritti dei consiglieri, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), osservando che una volta richiesto l’accesso e acquisita la documentazione, una sua eventuale reiterazione può essere negata[1].

L’accesso è funzionale all’espletamento del mandato elettorale, assumendo una connotazione ulteriore e più ampia rispetto al diritto di accesso del singolo cittadino (ai sensi degli artt. 22 ss. della legge n. 241/1990) poiché al consigliere è consentito richiedere anche semplici informazioni (non necessariamente tradotte in atti), non contenute in documenti già formati od anche dalla natura riservata[2].

Invero, il bisogno di conoscenza del titolare della carica elettiva deve porsi in rapporto di strumentalità con la funzione di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, di cui nell’ordinamento dell’ente locale è collegialmente rivestito il consiglio comunale (ex art. 42, comma 1, TUEL), e alle prerogative attribuite singolarmente al componente dell’organo elettivo: il diritto del consigliere comunale all’accesso agli atti, ex art. 43, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 non è, dunque, incondizionato[3].

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La fonte

L’art. 16, Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito in legge n. 148/2011 prevede:

  • al comma 25 che «i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello provinciale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, nonché gli iscritti all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili», rilevando che il “criterio dell’estrazione” esprime una regola generale idonea ad assicurare la neutralità (alias imparzialità) di giudizio nella scelta, affidata alla sorte senza influenze esterne e/o condizionamento[1];
  • al comma 25 bis (inserito dall’ art. 57 ter, comma 1, lett. b), del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157) che «nei casi di composizione collegiale dell’organo di revisione economico-finanziario previsti dalla legge, in deroga al comma 25, i consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane e le unioni di comuni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali eleggono, a maggioranza assoluta dei membri, il componente dell’organo di revisione con funzioni di presidente, scelto tra i soggetti validamente inseriti nella fascia 3 formata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 15 febbraio 2012, n. 23, o comunque nella fascia di più elevata qualificazione professionale in caso di modifiche al citato regolamento», affidando la scelta all’organo elettivo, dove la mediazione e la componente “fiduciaria” assume una certa rilevanza nella composizione del voto, e di conseguenza della scelta.

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Elezione del presidente del collegio dei revisori

Elezione del presidente del collegio dei revisori

La fonte

L’art. 16, Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito in legge n. 148/2011 prevede:

  • al comma 25 che «i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello provinciale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, nonché gli iscritti all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili», rilevando che il “criterio dell’estrazione” esprime una regola generale idonea ad assicurare la neutralità (alias imparzialità) di giudizio nella scelta, affidata alla sorte senza influenze esterne e/o condizionamento[1];
  • al comma 25 bis (inserito dall’ art. 57 ter, comma 1, lett. b), del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157) che «nei casi di composizione collegiale dell’organo di revisione economico-finanziario previsti dalla legge, in deroga al comma 25, i consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane e le unioni di comuni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali eleggono, a maggioranza assoluta dei membri, il componente dell’organo di revisione con funzioni di presidente, scelto tra i soggetti validamente inseriti nella fascia 3 formata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 15 febbraio 2012, n. 23, o comunque nella fascia di più elevata qualificazione professionale in caso di modifiche al citato regolamento», affidando la scelta all’organo elettivo, dove la mediazione e la componente “fiduciaria” assume una certa rilevanza nella composizione del voto, e di conseguenza della scelta.

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La natura della concessione cimiteriale

La concessione cimiteriale è un atto amministrativo con il quale la P.A. concede ad un terzo nuove posizioni giuridiche attive (c.d. atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario)[1] che si distingue dall’autorizzazione che si limita (quest’ultima) a rimuovere un limite all’esercizio di diritti, poteri e facoltà preesistenti, differenziandosi alla radice del diritto proprio per il conferimento di nuovi diritti e potestà di cui la P.A. è titolare (per questi primi motivi non si potrebbe parlare di acquisto di un titolo di proprietà, peraltro il bene è demaniale, ex comma 2 dell’art. 824 c.c., di conseguenza inalienabili, ai sensi dell’art. 823 c.c.)[2] ma che non intende esercitare direttamente (pur mantenendone intestato il potere e la titolarità) ammettendo il soggetto «al godimento di beni della vita riservati ai pubblici poteri, non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata»[3].

Questo ultimo carattere, inserito nel codice civile dal 21 aprile 1942 (data di sua entrata in vigore) ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali e dei relativi diritti, sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto di “concessioni traslative” da parte dell’ente titolare, sicché la cessione di un diritto al sepolcro (o tumulazione), inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune (non, dunque, una cessione di proprietà del privato concessionario)[4].

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Negoziabilità del sepolcro cimiteriale

Negoziabilità del sepolcro cimiteriale

La natura della concessione cimiteriale

La concessione cimiteriale è un atto amministrativo con il quale la P.A. concede ad un terzo nuove posizioni giuridiche attive (c.d. atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario)[1] che si distingue dall’autorizzazione che si limita (quest’ultima) a rimuovere un limite all’esercizio di diritti, poteri e facoltà preesistenti, differenziandosi alla radice del diritto proprio per il conferimento di nuovi diritti e potestà di cui la P.A. è titolare (per questi primi motivi non si potrebbe parlare di acquisto di un titolo di proprietà, peraltro il bene è demaniale, ex comma 2 dell’art. 824 c.c., di conseguenza inalienabili, ai sensi dell’art. 823 c.c.)[2] ma che non intende esercitare direttamente (pur mantenendone intestato il potere e la titolarità) ammettendo il soggetto «al godimento di beni della vita riservati ai pubblici poteri, non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata»[3].

Questo ultimo carattere, inserito nel codice civile dal 21 aprile 1942 (data di sua entrata in vigore) ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali e dei relativi diritti, sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto di “concessioni traslative” da parte dell’ente titolare, sicché la cessione di un diritto al sepolcro (o tumulazione), inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune (non, dunque, una cessione di proprietà del privato concessionario)[4].

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Il principio costituzionale

L’art. 51 Cost., richiamandosi sotto il profilo sostanziale al principio di eguaglianza, nell’accesso «agli uffici pubblici e alle cariche elettive» enuncia – con una “norma programmatica” – che «a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini» (introdotto in Costituzione dall’art. 1 della legge cost. n. 1 del 30 maggio 2003), esprimendo un principio di democrazia paritaria, contrario ad ogni atto discriminatorio fondato sul sesso (rectius genere), assicurando alle donne di accedere a condizioni di parità effettiva ai ruoli apicali del settore economico e politico, compresi tutti i processi decisionali pubblici.

Viene sancito il principio di parità di accesso alle cariche elettive e della sua obbligatoria promozione, che costituisce una naturale declinazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 della Costituzione, rilevando che la norma fa riferimento alla «Repubblica», implicando che l’impegno per le “pari opportunità” riguarda e coinvolge tutti i soggetti dell’ordinamento costituzionale.

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Parità di genere e indifferenza di equilibrio

Parità di genere e indifferenza di equilibrio

Il principio costituzionale

L’art. 51 Cost., richiamandosi sotto il profilo sostanziale al principio di eguaglianza, nell’accesso «agli uffici pubblici e alle cariche elettive» enuncia – con una “norma programmatica” – che «a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini» (introdotto in Costituzione dall’art. 1 della legge cost. n. 1 del 30 maggio 2003), esprimendo un principio di democrazia paritaria, contrario ad ogni atto discriminatorio fondato sul sesso (rectius genere), assicurando alle donne di accedere a condizioni di parità effettiva ai ruoli apicali del settore economico e politico, compresi tutti i processi decisionali pubblici.

Viene sancito il principio di parità di accesso alle cariche elettive e della sua obbligatoria promozione, che costituisce una naturale declinazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 della Costituzione, rilevando che la norma fa riferimento alla «Repubblica», implicando che l’impegno per le “pari opportunità” riguarda e coinvolge tutti i soggetti dell’ordinamento costituzionale.

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Assistiamo, come spettatori (non come ospiti), ad un lento e inesorabile declino dell’occidente (la c.d. democrazia partecipata o popolare) a fronte di un nuovo comandamento sanitario, dove le libertà sono immolate al “Sacro Graal” delle vaccinazioni di massa, in una costante manipolazione di dati e informazioni, addomesticando l’uomo alla perdita della propria umanità, al distanziamento sociale in nome di un futuro blindato alla sicurezza (delle nostre paure), in un innaturale stato di sottomissione delle menti, senza alcuna ribellione all’esercizio di un potere che non trova fondamento nello ius e nella iustitia.

In questo nuovo ordine mondiale (NWO), i costruttori di pace e i poteri forti (corporate finanziarie), generalmente senza alcuna legittima investitura e di nomina esterna, stabiliscono le nuove regole della società, imponendo un pensiero unico dove le diversità di opinione sono considerate dissenso, pur (tuttavia) celebrando nuovi modelli di genere e nuove chiese, dove (il) tutto è sostituibile purché siano negate le proprie radici storiche, affidandosi nelle mani del relativismo culturale, cancellando l’identità del singolo (e, dunque, collettiva).

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Le 10 Meraviglie del Rinascimento Italiano

Le 10 Meraviglie del Rinascimento Italiano

Assistiamo, come spettatori (non come ospiti), ad un lento e inesorabile declino dell’occidente (la c.d. democrazia partecipata o popolare) a fronte di un nuovo comandamento sanitario, dove le libertà sono immolate al “Sacro Graal” delle vaccinazioni di massa, in una costante manipolazione di dati e informazioni, addomesticando l’uomo alla perdita della propria umanità, al distanziamento sociale in nome di un futuro blindato alla sicurezza (delle nostre paure), in un innaturale stato di sottomissione delle menti, senza alcuna ribellione all’esercizio di un potere che non trova fondamento nello ius e nella iustitia.

In questo nuovo ordine mondiale (NWO), i costruttori di pace e i poteri forti (corporate finanziarie), generalmente senza alcuna legittima investitura e di nomina esterna, stabiliscono le nuove regole della società, imponendo un pensiero unico dove le diversità di opinione sono considerate dissenso, pur (tuttavia) celebrando nuovi modelli di genere e nuove chiese, dove (il) tutto è sostituibile purché siano negate le proprie radici storiche, affidandosi nelle mani del relativismo culturale, cancellando l’identità del singolo (e, dunque, collettiva).

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La V sez. Napoli del TAR Campania, con la sentenza 16 giugno 2021 n. 4127, interviene su un tema di attualità (e vitale) per la popolazione nazionale (altri direbbero, mondiale), sia in termini di “sanità pubblica” che di “libertà”, in un’epoca dove la riservatezza della persona (la c.d. privacy) non trovano grande affluenza (o prosperità), limitando gli spostamenti “mascherati”, con restrizioni incomprensibili, frutto di una corsa alla politica dei primi (posti), del PNRR, e di altro ancora, in funzione siderale di una evidente dittatura del COVID-19, in grado di affrancare il “diritto” in nome della “salute”, e di tutti gli interessi economici e transazionali conseguenti (correlati), con conseguente perdita di sovranità monetaria.

Il ricorso da parte di alcuni dirigenti scolastici, personale docente e collaboratori impiegati presso istituzioni scolastiche verte sull’annullamento di un’ordinanza avente ad oggetto «Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n.833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19. Misure di prevenzione dei contagi in vista dell’avvio dell’anno scolastico» nella parte in cui il Presidente della Regione «ha disposto l’obbligatorietà della sottoposizione a test sierologico e/o tampone per il personale scolastico, quale indefettibile misura di prevenzione sanitaria, finalizzata alla individuazione di eventuali casi di positività al virus in capo a soggetti asintomatici»[1].

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Gli obblighi vaccinali (test) per andare a scuola: un TSO illegittimo

Gli obblighi vaccinali (test) per andare a scuola: un TSO illegittimo

La V sez. Napoli del TAR Campania, con la sentenza 16 giugno 2021 n. 4127, interviene su un tema di attualità (e vitale) per la popolazione nazionale (altri direbbero, mondiale), sia in termini di “sanità pubblica” che di “libertà”, in un’epoca dove la riservatezza della persona (la c.d. privacy) non trovano grande affluenza (o prosperità), limitando gli spostamenti “mascherati”, con restrizioni incomprensibili, frutto di una corsa alla politica dei primi (posti), del PNRR, e di altro ancora, in funzione siderale di una evidente dittatura del COVID-19, in grado di affrancare il “diritto” in nome della “salute”, e di tutti gli interessi economici e transazionali conseguenti (correlati), con conseguente perdita di sovranità monetaria.

Il ricorso da parte di alcuni dirigenti scolastici, personale docente e collaboratori impiegati presso istituzioni scolastiche verte sull’annullamento di un’ordinanza avente ad oggetto «Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n.833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19. Misure di prevenzione dei contagi in vista dell’avvio dell’anno scolastico» nella parte in cui il Presidente della Regione «ha disposto l’obbligatorietà della sottoposizione a test sierologico e/o tampone per il personale scolastico, quale indefettibile misura di prevenzione sanitaria, finalizzata alla individuazione di eventuali casi di positività al virus in capo a soggetti asintomatici»[1].

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