«Libero Pensatore» (sempre)

La sez. V Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza 1° giugno 2020, n. 2087, conferma l’obbligo motivazionale, e prima istruttorio, al fine di procedere legittimamente con il potere di ordinanza, non potendo imporre obblighi di facere senza un adeguato riscontro della pericolosità acclamata e del connesso potere extra ordinem di disporre limiti puntuali agli interessati (i destinatari dell’ordinanza) in ragione del primario interesse all’incolumità pubblica.

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Ordinanza eternit, verifica della pericolosità ed esercizio di poteri straordinari

Ordinanza eternit, verifica della pericolosità ed esercizio di poteri straordinari

La sez. V Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza 1° giugno 2020, n. 2087, conferma l’obbligo motivazionale, e prima istruttorio, al fine di procedere legittimamente con il potere di ordinanza, non potendo imporre obblighi di facere senza un adeguato riscontro della pericolosità acclamata e del connesso potere extra ordinem di disporre limiti puntuali agli interessati (i destinatari dell’ordinanza) in ragione del primario interesse all’incolumità pubblica.

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La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 aprile 2020, n. 2731, interviene per definire l’ambito di applicazione dei marchi di qualità e la loro valutazione.

La questione, al di là dell’oggetto del giudizio, risulta significativa poiché entra nel merito dell’inquadramento della clausola di equivalenza, di cui all’art. 69, «Etichettature», comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016: «Se le amministrazioni aggiudicatrici non richiedono che i lavori, le forniture o i servizi soddisfino tutti i requisiti per l’etichettatura, indicano a quali requisiti per l’etichettatura fanno riferimento. Le amministrazioni aggiudicatrici che esigono un’etichettatura specifica accettano tutte le etichettature che confermano che i lavori, le forniture o i servizi soddisfano i requisiti equivalenti».

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I marchi e la clausola di equivalenza

I marchi e la clausola di equivalenza

La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 aprile 2020, n. 2731, interviene per definire l’ambito di applicazione dei marchi di qualità e la loro valutazione.

La questione, al di là dell’oggetto del giudizio, risulta significativa poiché entra nel merito dell’inquadramento della clausola di equivalenza, di cui all’art. 69, «Etichettature», comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016: «Se le amministrazioni aggiudicatrici non richiedono che i lavori, le forniture o i servizi soddisfino tutti i requisiti per l’etichettatura, indicano a quali requisiti per l’etichettatura fanno riferimento. Le amministrazioni aggiudicatrici che esigono un’etichettatura specifica accettano tutte le etichettature che confermano che i lavori, le forniture o i servizi soddisfano i requisiti equivalenti».

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L’art. 38, comma 2 prima parte, del d.lgs. n. 267/2000 dispone: «Il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento, approvato a maggioranza assoluta, che prevede, in particolare, le modalità per la convocazione e per la presentazione e la discussione delle proposte».

Nella sua essenzialità e chiarezza espositiva la norma rinvia al regolamento del consiglio comunale le modalità di convocazione, rectius i termini e la decorrenza degli avvisi di convocazione per celebrare la seduta (nelle sedute ordinarie: i cinque giorni):

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Convocazione del consiglio comunale: computo dei termini di decorrenza

Convocazione del consiglio comunale: computo dei termini di decorrenza

L’art. 38, comma 2 prima parte, del d.lgs. n. 267/2000 dispone: «Il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento, approvato a maggioranza assoluta, che prevede, in particolare, le modalità per la convocazione e per la presentazione e la discussione delle proposte».

Nella sua essenzialità e chiarezza espositiva la norma rinvia al regolamento del consiglio comunale le modalità di convocazione, rectius i termini e la decorrenza degli avvisi di convocazione per celebrare la seduta (nelle sedute ordinarie: i cinque giorni):

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La sez. Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza 18 maggio 2020 n. 9085, interviene per delineare i criteri probatori capaci di giustificare la richiesta di risarcimento danni per mancata assunzione.

Alcuni partecipanti non vincitori ad una procedura concorsuale ricorrono contro una P.A. (Amministrazione regionale) per ottenere il risarcimento del danno che avrebbero subito in conseguenza delle condotte tenute dalla stessa, dopo l’annullamento da parte del giudice di prime cure della graduatoria, volte a non dare esecuzione alla sentenza del TAR così da mantenere a coloro che erano risultati vincitori i benefici loro derivanti da concorso annullato ed essere immessi nelle funzioni.

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Risarcimento danno per mancata assunzione

Risarcimento danno per mancata assunzione

La sez. Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza 18 maggio 2020 n. 9085, interviene per delineare i criteri probatori capaci di giustificare la richiesta di risarcimento danni per mancata assunzione.

Alcuni partecipanti non vincitori ad una procedura concorsuale ricorrono contro una P.A. (Amministrazione regionale) per ottenere il risarcimento del danno che avrebbero subito in conseguenza delle condotte tenute dalla stessa, dopo l’annullamento da parte del giudice di prime cure della graduatoria, volte a non dare esecuzione alla sentenza del TAR così da mantenere a coloro che erano risultati vincitori i benefici loro derivanti da concorso annullato ed essere immessi nelle funzioni.

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La sez. I Latina del T.A.R. Lazio, con la sentenza 16 maggio 2020 n. 164, interviene per riaffermare gli effetti instabili dell’aggiudicazione provvisoria, incapace di consolidare un’aspettativa qualificata (e il preteso indennizzo/risarcimento a favore dell’aggiudicatario provvisorio) ben potendo la stazione appaltante revocare la gara.

Giova premettere che solo l’aggiudicazione costituisce provvedimento impugnabile, ai sensi dell’art. 120, comma 2 bis, ultimo periodo del d.lgs. n. 104/2010, essendo inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 50/2016 e degli atti endoprocedimentali privi di immediata lesività[1].

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Revoca (senza indennizzo o risarcimento) dell’aggiudicazione provvisoria a distanza di tempo

Revoca (senza indennizzo o risarcimento) dell’aggiudicazione provvisoria a distanza di tempo

La sez. I Latina del T.A.R. Lazio, con la sentenza 16 maggio 2020 n. 164, interviene per riaffermare gli effetti instabili dell’aggiudicazione provvisoria, incapace di consolidare un’aspettativa qualificata (e il preteso indennizzo/risarcimento a favore dell’aggiudicatario provvisorio) ben potendo la stazione appaltante revocare la gara.

Giova premettere che solo l’aggiudicazione costituisce provvedimento impugnabile, ai sensi dell’art. 120, comma 2 bis, ultimo periodo del d.lgs. n. 104/2010, essendo inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 50/2016 e degli atti endoprocedimentali privi di immediata lesività[1].

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Il T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, con la sentenza n. 4554 del 2 maggio 2020 definisce la giurisdizione del G.O. relativamente ad una controversia riferita allo sgombero di un alloggio di edilizia residenziale pubblica occupato abusivamente.

Il pronunciamento conferma (di converso) l’assenza di un potere autoritativo (tutela esecutoria) in presenza di occupazioni da terzi sine titulo quando la P.A. agisce su un bene appartenente al patrimonio disponibile, dovendo ricorrere alle azioni di natura civilistica[1]: non è possibile ricorrere al potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F).

Si deve affermare che a fronte di un provvedimento di sgombero emesso dall’Autorità amministrativa non siamo di fronte ad un provvedimento di autotutela demaniale, collegato al regime dominicale del bene pubblico concesso mediante un apposito provvedimento concessorio (di assegnazione), ma ad una comune azione che deve trovare tutela nella giurisdizione ordinaria.

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Sgombero di alloggio di edilizia residenziale pubblica

Sgombero di alloggio di edilizia residenziale pubblica

Il T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, con la sentenza n. 4554 del 2 maggio 2020 definisce la giurisdizione del G.O. relativamente ad una controversia riferita allo sgombero di un alloggio di edilizia residenziale pubblica occupato abusivamente.

Il pronunciamento conferma (di converso) l’assenza di un potere autoritativo (tutela esecutoria) in presenza di occupazioni da terzi sine titulo quando la P.A. agisce su un bene appartenente al patrimonio disponibile, dovendo ricorrere alle azioni di natura civilistica[1]: non è possibile ricorrere al potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F).

Si deve affermare che a fronte di un provvedimento di sgombero emesso dall’Autorità amministrativa non siamo di fronte ad un provvedimento di autotutela demaniale, collegato al regime dominicale del bene pubblico concesso mediante un apposito provvedimento concessorio (di assegnazione), ma ad una comune azione che deve trovare tutela nella giurisdizione ordinaria.

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