«Libero Pensatore» (sempre)

La seconda sez. del T.A.R. Piemonte, con la sentenza n. 447 del 18 aprile 2019, interviene sul rifiuto di concessione temporanea di uno spazio pubblico in ragione del pensiero politico manifestato[1].

È noto che il primo comma dell’art. 21 Cost. afferma che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», segnando in modo inequivocabile un diritto pieno di libertà che può trovare delle limitazioni se non per legge (essendo in presenza di una riserva assoluta), fondate in precetti e principi costituzionali[2].

Si affermò che la democraticità dell’Ordinamento è direttamente proporzionale al grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e attuata concretamente, una specificazione del principio del “pluralismo ideologico” che costituisce patrimonio comune della cultura liberale dell’Occidente, e che si manifesta nel diritto di cronaca e nel diritto di critica (libertà di informazione) che si colloca tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (ex art. 2 Cost.).

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Concessione di spazi pubblici e libertà di pensiero

Concessione di spazi pubblici e libertà di pensiero

La seconda sez. del T.A.R. Piemonte, con la sentenza n. 447 del 18 aprile 2019, interviene sul rifiuto di concessione temporanea di uno spazio pubblico in ragione del pensiero politico manifestato[1].

È noto che il primo comma dell’art. 21 Cost. afferma che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», segnando in modo inequivocabile un diritto pieno di libertà che può trovare delle limitazioni se non per legge (essendo in presenza di una riserva assoluta), fondate in precetti e principi costituzionali[2].

Si affermò che la democraticità dell’Ordinamento è direttamente proporzionale al grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e attuata concretamente, una specificazione del principio del “pluralismo ideologico” che costituisce patrimonio comune della cultura liberale dell’Occidente, e che si manifesta nel diritto di cronaca e nel diritto di critica (libertà di informazione) che si colloca tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (ex art. 2 Cost.).

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L’Autorità Nazionale Anticorruzione, con la Delibera n. 215 del 26 marzo 2019, ha adottato le «Linee guida in materia di applicazione della misura della rotazione straordinaria di cui all’art. 16, comma 1, lettera l – quater, del d.lgs. n. 165 del 2001» che prevede da parte dei dirigenti generali (ovvero, i dirigenti apicali) di effettuare il monitoraggio delle attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale «nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva».

Si tratta, in una lettura testuale e sincronica, di un dovere vincolato di provvedere, una volta venuti a conoscenza di un fatto che presenti profili di violazione alle regole di integrità e legalità, a garanzia della trasparenza e imparzialità dell’immagine della P.A. (ex art. 97 Cost.).

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La rotazione obbligatoria secondo le Linee Guida ANAC n. 215 del 26 marzo 2019

La rotazione obbligatoria secondo le Linee Guida ANAC n. 215 del 26 marzo 2019

L’Autorità Nazionale Anticorruzione, con la Delibera n. 215 del 26 marzo 2019, ha adottato le «Linee guida in materia di applicazione della misura della rotazione straordinaria di cui all’art. 16, comma 1, lettera l – quater, del d.lgs. n. 165 del 2001» che prevede da parte dei dirigenti generali (ovvero, i dirigenti apicali) di effettuare il monitoraggio delle attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale «nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva».

Si tratta, in una lettura testuale e sincronica, di un dovere vincolato di provvedere, una volta venuti a conoscenza di un fatto che presenti profili di violazione alle regole di integrità e legalità, a garanzia della trasparenza e imparzialità dell’immagine della P.A. (ex art. 97 Cost.).

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La seconda sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza n. 614 del 20 marzo 2019, conferma un orientamento granitico che ammette l’accesso agli atti e alle autorizzazioni rilasciate al confinante in relazione all’incisione della propria sfera giuridica, ovvero dei propri diritti a tutela e salvaguardia della proprietà.

Il proprietario di un bene immobile formula alla P.A. una richiesta di accesso all’autorizzazione rilasciata al proprio confinante per la realizzazione di un marciapiede su una strada pubblica, vedendosi rifiutare la stessa mediante silenzio rigetto.

La richiesta ostensiva non era di natura emulativa, ma verteva sulla verifica della costruzione del manufatto che veniva a costituire un ostacolo al deflusso delle acque meteoriche, determinandone il ristagno, con conseguenti danni al proprio muro perimetrale (e al connesso diritto dominicale).

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Niente riservatezza o difetto di legittimazione per il diritto di accesso del confinante

Niente riservatezza o difetto di legittimazione per il diritto di accesso del confinante

La seconda sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza n. 614 del 20 marzo 2019, conferma un orientamento granitico che ammette l’accesso agli atti e alle autorizzazioni rilasciate al confinante in relazione all’incisione della propria sfera giuridica, ovvero dei propri diritti a tutela e salvaguardia della proprietà.

Il proprietario di un bene immobile formula alla P.A. una richiesta di accesso all’autorizzazione rilasciata al proprio confinante per la realizzazione di un marciapiede su una strada pubblica, vedendosi rifiutare la stessa mediante silenzio rigetto.

La richiesta ostensiva non era di natura emulativa, ma verteva sulla verifica della costruzione del manufatto che veniva a costituire un ostacolo al deflusso delle acque meteoriche, determinandone il ristagno, con conseguenti danni al proprio muro perimetrale (e al connesso diritto dominicale).

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La convenzione urbanistica rientra tra gli strumenti di attuazione della pianificazione territoriale, avendo ad oggetto la definizione dell’assetto urbanistico di una parte del territorio, rientra tra gli accordi sostitutivi di provvedimento (ex art. 11 della Legge n. 241/1990)[1], ed è espressione di esercizio consensuale di un potere pianificatorio, che sfocia in un progetto ed in una serie di disposizioni urbanistiche generanti obblighi od oneri per le parti sottoscrittrici: un vincolo negoziale bilaterale tra P.A. e privato, a cui si applicano di rinvio i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, per gli aspetti non incompatibili con la disciplina pubblicistica[2].

Si comprende che gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, ovvero (la c.d. causa) all’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico – sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della Pubblica Amministrazione, con l’approdo positivo che in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, la parte pubblica non può unilateralmente modificare le condizioni pattuite[3].

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Convenzione urbanistica, cessione aree ed opere, prescrizione dei diritti

Convenzione urbanistica, cessione aree ed opere, prescrizione dei diritti

La convenzione urbanistica rientra tra gli strumenti di attuazione della pianificazione territoriale, avendo ad oggetto la definizione dell’assetto urbanistico di una parte del territorio, rientra tra gli accordi sostitutivi di provvedimento (ex art. 11 della Legge n. 241/1990)[1], ed è espressione di esercizio consensuale di un potere pianificatorio, che sfocia in un progetto ed in una serie di disposizioni urbanistiche generanti obblighi od oneri per le parti sottoscrittrici: un vincolo negoziale bilaterale tra P.A. e privato, a cui si applicano di rinvio i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, per gli aspetti non incompatibili con la disciplina pubblicistica[2].

Si comprende che gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, ovvero (la c.d. causa) all’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico – sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della Pubblica Amministrazione, con l’approdo positivo che in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, la parte pubblica non può unilateralmente modificare le condizioni pattuite[3].

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La seconda sez. del T.A.R. Liguria, con la sentenza 174 del 4 marzo 2019, segna i contorni della libertà di espressione nella possibilità di manifestare – senza riserve – mediante l’affissione di manifesti il proprio convincimento in tema di obiezione di coscienza in ambito sanitario abortivo: involge «un tessuto assiologico di preminente rilevanza ordinamentale», che dipana tra le libertà fondamentali e i diritti incomprimibili della persona, esprimendo una serie di facoltà primarie inerenti la persona, «la libertà di autodeterminazione circa la scelta, di rilievo bioetico, di avvalersi della clausola di obiezione di coscienza da parte dei medici richiesti di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza».

La giurisprudenza penale[1] ammette che integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del medico in servizio di guardia che, richiesto di assistere una paziente sottoposta ad intervento di interruzione volontaria di gravidanza, si astenga dal prestare la propria attività nelle fasi antecedenti o successive a quelle specificamente e necessariamente dirette a determinare l’aborto, invocando il diritto di obiezione di coscienza, attesi i limiti previsti dall’art. 9 legge 22 maggio 1978, n. 194, all’esercizio di tale facoltà.

La questione presenta, quindi, una forte valenza (bio)etica sotto una molteplicità di profili umani, sociali, professionali.

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Obiezione di coscienza, aborto e manifesti pubblicitari: una questione di attualità

Obiezione di coscienza, aborto e manifesti pubblicitari: una questione di attualità

La seconda sez. del T.A.R. Liguria, con la sentenza 174 del 4 marzo 2019, segna i contorni della libertà di espressione nella possibilità di manifestare – senza riserve – mediante l’affissione di manifesti il proprio convincimento in tema di obiezione di coscienza in ambito sanitario abortivo: involge «un tessuto assiologico di preminente rilevanza ordinamentale», che dipana tra le libertà fondamentali e i diritti incomprimibili della persona, esprimendo una serie di facoltà primarie inerenti la persona, «la libertà di autodeterminazione circa la scelta, di rilievo bioetico, di avvalersi della clausola di obiezione di coscienza da parte dei medici richiesti di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza».

La giurisprudenza penale[1] ammette che integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del medico in servizio di guardia che, richiesto di assistere una paziente sottoposta ad intervento di interruzione volontaria di gravidanza, si astenga dal prestare la propria attività nelle fasi antecedenti o successive a quelle specificamente e necessariamente dirette a determinare l’aborto, invocando il diritto di obiezione di coscienza, attesi i limiti previsti dall’art. 9 legge 22 maggio 1978, n. 194, all’esercizio di tale facoltà.

La questione presenta, quindi, una forte valenza (bio)etica sotto una molteplicità di profili umani, sociali, professionali.

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La terza sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 518 del 21 gennaio 2019, interviene per riaffermare l’esigenza indifferibile di garantire la trasparenza mediante la pubblicazione on line di un avviso per l’individuazione di un responsabile per la protezione dei dati (caso di specie, affidamento del servizio di data protection officer).

Un’Amministrazione sanitaria affidava, con procedura negoziata (ex art. 36, comma 2, lettera b), del D.Lgs. n. 50/2016), il servizio di DPO (RDP, ex art. 37 del Regolamento UE 679/2016, GDPR) per un anno prorogabile di un altro anno ad un determinato operatore economico.

Un professionista impugnava in primo grado gli atti di gara, rilevando che la stazione appaltante, in violazione dell’art. 36, cit. e delle Linee Guida ANAC n. 4 (approvate con deliberazione n. 206/2018) ha omesso di pubblicare l’avviso per individuare i cinque soggetti da consultare nella procedura negoziata, non sussistendo neppure i presupposti per dare corso all’affidamento diretto, ai sensi dell’art. 63 «Uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara», del D.Lgs. 50/2016: il ricorso risultava fondato con conseguente annullamento degli atti di gara.

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In principio era la gara: trasparenza e confronto competitivo per l’individuazione del DPO

In principio era la gara: trasparenza e confronto competitivo per l’individuazione del DPO

La terza sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 518 del 21 gennaio 2019, interviene per riaffermare l’esigenza indifferibile di garantire la trasparenza mediante la pubblicazione on line di un avviso per l’individuazione di un responsabile per la protezione dei dati (caso di specie, affidamento del servizio di data protection officer).

Un’Amministrazione sanitaria affidava, con procedura negoziata (ex art. 36, comma 2, lettera b), del D.Lgs. n. 50/2016), il servizio di DPO (RDP, ex art. 37 del Regolamento UE 679/2016, GDPR) per un anno prorogabile di un altro anno ad un determinato operatore economico.

Un professionista impugnava in primo grado gli atti di gara, rilevando che la stazione appaltante, in violazione dell’art. 36, cit. e delle Linee Guida ANAC n. 4 (approvate con deliberazione n. 206/2018) ha omesso di pubblicare l’avviso per individuare i cinque soggetti da consultare nella procedura negoziata, non sussistendo neppure i presupposti per dare corso all’affidamento diretto, ai sensi dell’art. 63 «Uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara», del D.Lgs. 50/2016: il ricorso risultava fondato con conseguente annullamento degli atti di gara.

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