«Libero Pensatore» (sempre)

La sentenza

La prima sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza n. 2077 del 18 dicembre 2020 (in piena coerenza con altra sentenza del 18 dicembre 2020, n. 2075)[1], interviene per annullare un’ordinanza sindacale di chiusura delle scuole, a seguito dell’intensificarsi del contagio da Covid-19, in assenza di “dati certi” idonei a sostenere la lecita sospensione dell’attività didattica a tutela della popolazione e dei minori.

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Illegittimità del potere di ordinanza sindacale di chiusura delle scuole per emergenza Covid-19: una questione etica

Illegittimità del potere di ordinanza sindacale di chiusura delle scuole per emergenza Covid-19: una questione etica

La sentenza

La prima sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza n. 2077 del 18 dicembre 2020 (in piena coerenza con altra sentenza del 18 dicembre 2020, n. 2075)[1], interviene per annullare un’ordinanza sindacale di chiusura delle scuole, a seguito dell’intensificarsi del contagio da Covid-19, in assenza di “dati certi” idonei a sostenere la lecita sospensione dell’attività didattica a tutela della popolazione e dei minori.

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La sez. II quater Roma del T.A.R. Lazio, con la sentenza 9 dicembre 2020, n. 13188 interviene per limitare il diritto di accesso del confinante, ove non sia dimostrato un interesse giuridicamente rilevante alla documentazione amministrativa autorizzativa del titolo edilizio: il mero interesse alla generica tutela individuale (del proprio nucleo familiare) o alla vigilanza sul corretto sviluppo urbano non sostanzia una posizione qualificata.

È noto che il diritto di accesso non è meramente strumentale alla proposizione di un’azione giudiziale, ma assume un carattere autonomo rispetto ad essa (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa)[1], con la conseguenza pratica che il rimedio speciale, previsto a tutela del diritto di accesso, deve ritenersi consentito anche se l’interessato non può più agire, o non possa ancora agire, in sede giurisdizionale, in quanto l’autonomia della domanda di accesso comporta che il giudice, chiamato a decidere su tale domanda, deve verificare solo i presupposti legittimanti la richiesta di accesso e non anche la possibilità di utilizzare gli atti richiesti in un giudizio[2].

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Limiti al diritto di accesso (emulativo) dei titoli edilizi da parte del confinante

Limiti al diritto di accesso (emulativo) dei titoli edilizi da parte del confinante

La sez. II quater Roma del T.A.R. Lazio, con la sentenza 9 dicembre 2020, n. 13188 interviene per limitare il diritto di accesso del confinante, ove non sia dimostrato un interesse giuridicamente rilevante alla documentazione amministrativa autorizzativa del titolo edilizio: il mero interesse alla generica tutela individuale (del proprio nucleo familiare) o alla vigilanza sul corretto sviluppo urbano non sostanzia una posizione qualificata.

È noto che il diritto di accesso non è meramente strumentale alla proposizione di un’azione giudiziale, ma assume un carattere autonomo rispetto ad essa (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa)[1], con la conseguenza pratica che il rimedio speciale, previsto a tutela del diritto di accesso, deve ritenersi consentito anche se l’interessato non può più agire, o non possa ancora agire, in sede giurisdizionale, in quanto l’autonomia della domanda di accesso comporta che il giudice, chiamato a decidere su tale domanda, deve verificare solo i presupposti legittimanti la richiesta di accesso e non anche la possibilità di utilizzare gli atti richiesti in un giudizio[2].

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La sez. IV del Consiglio di Stato, con la sentenza del 3 dicembre 2020 n. 7658 (est. Lamberti), delinea i termini di una condotta censurabile in relazione alla lesione dell’immagine dell’istituzione ricoperta (caso di specie, un militare): osservazioni estensibili all’intero personale della Pubblica Amministrazione.

La questione di massima riguarda l’applicazione di una sanzione disciplinare «per aver detenuto nel proprio ufficio… dove era stato condotto un soggetto attinto da misura cautelare custodiale (e che aveva poi reso pubblica la circostanza), un cimelio riferibile al periodo fascista (“un calendario storico riferito all’epoca del fascismo”)».

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Gli obblighi di condotta e i doveri “minimi etici” del dipendente pubblico

Gli obblighi di condotta e i doveri “minimi etici” del dipendente pubblico

La sez. IV del Consiglio di Stato, con la sentenza del 3 dicembre 2020 n. 7658 (est. Lamberti), delinea i termini di una condotta censurabile in relazione alla lesione dell’immagine dell’istituzione ricoperta (caso di specie, un militare): osservazioni estensibili all’intero personale della Pubblica Amministrazione.

La questione di massima riguarda l’applicazione di una sanzione disciplinare «per aver detenuto nel proprio ufficio… dove era stato condotto un soggetto attinto da misura cautelare custodiale (e che aveva poi reso pubblica la circostanza), un cimelio riferibile al periodo fascista (“un calendario storico riferito all’epoca del fascismo”)».

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La prima sez. del T.A.R. Veneto, con la sentenza 19 novembre 2020, n. 1092, delinea i caratteri della concessione di beni appartenenti al demanio marittimo e i suoi limiti (trattasi di un bene infungibile di scarsa risorsa naturale, che non può che formare oggetto di un numero limitato di autorizzazioni, rientrante nell’ambito di applicabilità dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein)[1].

La questione riguarda la concessione di un’area demaniale per un’attività di campeggio che, in sede di rinnovo, l’Amministrazione locale non operava una richiesta riduzione del canone in relazione alla diminuita disponibilità del perimetro del bene già in precedenza occupato (peraltro, senza alcuna dimostrazione del pregiudizio patito attuale, ipotetico e futuro); provvedimento che introduceva, diversamente, nuove prescrizioni:

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Concessione del demanio marittimo e modifiche ex post all’utilizzo del bene

Concessione del demanio marittimo e modifiche ex post all’utilizzo del bene

La prima sez. del T.A.R. Veneto, con la sentenza 19 novembre 2020, n. 1092, delinea i caratteri della concessione di beni appartenenti al demanio marittimo e i suoi limiti (trattasi di un bene infungibile di scarsa risorsa naturale, che non può che formare oggetto di un numero limitato di autorizzazioni, rientrante nell’ambito di applicabilità dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein)[1].

La questione riguarda la concessione di un’area demaniale per un’attività di campeggio che, in sede di rinnovo, l’Amministrazione locale non operava una richiesta riduzione del canone in relazione alla diminuita disponibilità del perimetro del bene già in precedenza occupato (peraltro, senza alcuna dimostrazione del pregiudizio patito attuale, ipotetico e futuro); provvedimento che introduceva, diversamente, nuove prescrizioni:

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La sez. IV del Consiglio di Stato, con la sentenza 6 novembre 2020 n. 6834, chiarisce che la chiusura di una strada, qualora giustificata da ragioni di pubblico interesse e per un tempo limitato, non può produrre danni alle attività ivi allocate se non si fornisce la prova concreta del pregiudizio patito e non sono impugnati gli atti dispositivi della chiusura stessa.

In via generale, la condanna al risarcimento del danno può essere disposta qualora risulti una condotta non iure che abbia determinato, nel patrimonio del danneggiato, la lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico: nello specifico ambito della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per atto amministrativo illegittimo, la responsabilità risarcitoria postula, più specificamente, una spendita viziata del potere che, esorbitando dallo schema sostanziale e procedimentale delineato dalla legge attributiva, abbia leso almeno colposamente un interesse legittimo del privato, vulnerandone la sfera giuridica[1].

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Chiusura della strada e oneri probatori per il risarcimento del danno

Chiusura della strada e oneri probatori per il risarcimento del danno

La sez. IV del Consiglio di Stato, con la sentenza 6 novembre 2020 n. 6834, chiarisce che la chiusura di una strada, qualora giustificata da ragioni di pubblico interesse e per un tempo limitato, non può produrre danni alle attività ivi allocate se non si fornisce la prova concreta del pregiudizio patito e non sono impugnati gli atti dispositivi della chiusura stessa.

In via generale, la condanna al risarcimento del danno può essere disposta qualora risulti una condotta non iure che abbia determinato, nel patrimonio del danneggiato, la lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico: nello specifico ambito della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per atto amministrativo illegittimo, la responsabilità risarcitoria postula, più specificamente, una spendita viziata del potere che, esorbitando dallo schema sostanziale e procedimentale delineato dalla legge attributiva, abbia leso almeno colposamente un interesse legittimo del privato, vulnerandone la sfera giuridica[1].

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La prima sez. del T.A.R. Sardegna con la sentenza 19 novembre 2020 n. 635 interviene per dichiarare l’illegittimità di un’ordinanza comunale con la quale per la medesima strada si differenzia il parcheggio – in spazi riservati – in relazione a criteri soggettivi piuttosto che in funzione di un’esigenza oggettiva attinente alla regolamentazione del traffico veicolare, e della relativa sosta.

L’art. 7, Regolamentazione della circolazione nei centri abitati, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, Nuovo codice della strada, disciplina i casi e le modalità per la sosta, rilevando che la fermata negli appositi spazi a parcheggio impone ai conducenti di segnalare, in modo chiaramente visibile, l’orario in cui la sosta ha avuto inizio (ovvero, l’eventuale esenzione), con un connesso onere della Pubblica Amministrazione di adottare gli atti necessari per l’individuazione dell’area destinata a parcheggio, secondo le modalità e i limiti della cit. norma, pena l’illegittimità dell’eventuale sanzione applicata[1].

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Sosta selvaggia o preferenziale? Meglio parcheggio riservato ed esclusivo (!)

Sosta selvaggia o preferenziale? Meglio parcheggio riservato ed esclusivo (!)

La prima sez. del T.A.R. Sardegna con la sentenza 19 novembre 2020 n. 635 interviene per dichiarare l’illegittimità di un’ordinanza comunale con la quale per la medesima strada si differenzia il parcheggio – in spazi riservati – in relazione a criteri soggettivi piuttosto che in funzione di un’esigenza oggettiva attinente alla regolamentazione del traffico veicolare, e della relativa sosta.

L’art. 7, Regolamentazione della circolazione nei centri abitati, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, Nuovo codice della strada, disciplina i casi e le modalità per la sosta, rilevando che la fermata negli appositi spazi a parcheggio impone ai conducenti di segnalare, in modo chiaramente visibile, l’orario in cui la sosta ha avuto inizio (ovvero, l’eventuale esenzione), con un connesso onere della Pubblica Amministrazione di adottare gli atti necessari per l’individuazione dell’area destinata a parcheggio, secondo le modalità e i limiti della cit. norma, pena l’illegittimità dell’eventuale sanzione applicata[1].

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