«Libero Pensatore» (sempre)

Il T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, sez. II, sentenza n.169/2013 dispone che “in base all’art. 43 del T.U.E.L. il diritto di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni necessarie per valutare la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione comunale è riconosciuto a favore dei consiglieri comunali in funzione del proprio mandato elettivo.

Si tratta evidentemente di un diritto che trova il suo presupposto non nella generale previsione di cui agli art. 22 e ss della L. n. 241/1990 relativa all’accesso del privato ai documenti amministrativi, ma nella specifico potere di verifica e di sindacato che spetta ai componenti del Consiglio Comunale in forza della disciplina generale sugli enti locali e delle disposizioni dei singoli statuti.

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Accesso agli atti delle società partecipate

Il T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, sez. II, sentenza n.169/2013 dispone che “in base all’art. 43 del T.U.E.L. il diritto di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni necessarie per valutare la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione comunale è riconosciuto a favore dei consiglieri comunali in funzione del proprio mandato elettivo.

Si tratta evidentemente di un diritto che trova il suo presupposto non nella generale previsione di cui agli art. 22 e ss della L. n. 241/1990 relativa all’accesso del privato ai documenti amministrativi, ma nella specifico potere di verifica e di sindacato che spetta ai componenti del Consiglio Comunale in forza della disciplina generale sugli enti locali e delle disposizioni dei singoli statuti.

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Il Testo Unico degli Enti Locali (Tuel), all’ultimo comma dell’articolo 43, dispone che “Lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative” (mutuando la precedente norma del comma 6 bis, dell’articolo 31 della Legge n.142/90).

Già l’articolo 289 del T.U. del 1915 prevedeva che i consiglieri che non intervenivano ad un “intera sessione ordinaria senza giustificati motivi” venissero dichiarati decaduti e, per attenuare la portata rigorosa della disposizione, la giurisprudenza ammetteva tra le fondate giustificazioni le assenza per malattia, affari indilazionabili, congedi autorizzati dal Sindaco e dalla Giunta.

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Decadenza dalla carica di consigliere comunale per assenze ingiustificate

Il Testo Unico degli Enti Locali (Tuel), all’ultimo comma dell’articolo 43, dispone che “Lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative” (mutuando la precedente norma del comma 6 bis, dell’articolo 31 della Legge n.142/90).

Già l’articolo 289 del T.U. del 1915 prevedeva che i consiglieri che non intervenivano ad un “intera sessione ordinaria senza giustificati motivi” venissero dichiarati decaduti e, per attenuare la portata rigorosa della disposizione, la giurisprudenza ammetteva tra le fondate giustificazioni le assenza per malattia, affari indilazionabili, congedi autorizzati dal Sindaco e dalla Giunta.

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L’articolo 43 del TUEL statuisce che “i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

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Il diritto di accesso dei consiglieri comunali

L’articolo 43 del TUEL statuisce che “i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

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Premessa introduttiva

L’amministrazione (rectius l’organizzazione) pubblica è retta da principi che trovano il proprio riferimento normativo direttamente nell’articolo 97 della Costituzione, dove si postula che nell’agire pubblico deve sempre essere assicurato “il buon andamento” e “l’imparzialità” (1): pilastri del sistema ordinamentale (diritto positivo) (2) nell’assicurare il perseguimento dell’interrese pubblico senza particolarismi: un’azione proiettata a garantire al meglio e alla pari i diritti di “cittadinanza” degli amministrati e l’utilizzo accorto delle risorse collettive.

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Separazione di poteri tra organi elettivi e gestionali

Premessa introduttiva

L’amministrazione (rectius l’organizzazione) pubblica è retta da principi che trovano il proprio riferimento normativo direttamente nell’articolo 97 della Costituzione, dove si postula che nell’agire pubblico deve sempre essere assicurato “il buon andamento” e “l’imparzialità” (1): pilastri del sistema ordinamentale (diritto positivo) (2) nell’assicurare il perseguimento dell’interrese pubblico senza particolarismi: un’azione proiettata a garantire al meglio e alla pari i diritti di “cittadinanza” degli amministrati e l’utilizzo accorto delle risorse collettive.

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La pubblica amministrazione locale è titolare di una competenza generale in materia di tutela del territorio (ex art.3 e 13 del T.U.E.L.), dovendo assicurare la cura degli interessi della Comunità e lo sviluppo anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.

In presenza di un’attività di tipo repressivo la quarta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 15 gennaio 2009 n. 177, ha postulato la possibilità (doverosità) di intervento dell’Amministrazione locale su sollecitazione del privato non limitandosi ad affermare la piena legittimità dell’inerzia dai suoi poteri sanzionatori (caso di specie in materia edilizia), laddove questi ultimi trovino fondamento in provvedimenti concessori o autorizzatori ormai inoppugnabili, ma sostenendo il doveroso operare nel caso di realizzazione di opere o di mutamenti (anche di destinazione d’uso) che non trovano fondamento nei provvedimenti autorizzativi oramai definitivi.

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Obbligo (sempre) di provvedere della p.a. in caso di segnalazione di un abuso edilizio

La pubblica amministrazione locale è titolare di una competenza generale in materia di tutela del territorio (ex art.3 e 13 del T.U.E.L.), dovendo assicurare la cura degli interessi della Comunità e lo sviluppo anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.

In presenza di un’attività di tipo repressivo la quarta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 15 gennaio 2009 n. 177, ha postulato la possibilità (doverosità) di intervento dell’Amministrazione locale su sollecitazione del privato non limitandosi ad affermare la piena legittimità dell’inerzia dai suoi poteri sanzionatori (caso di specie in materia edilizia), laddove questi ultimi trovino fondamento in provvedimenti concessori o autorizzatori ormai inoppugnabili, ma sostenendo il doveroso operare nel caso di realizzazione di opere o di mutamenti (anche di destinazione d’uso) che non trovano fondamento nei provvedimenti autorizzativi oramai definitivi.

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L’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce – ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 – atto dovuto, per il quale è in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione[1], e pertanto, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo si deve procedere al ripristino della legalità violata (e non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia).

Quando l’Amministrazione ometta di adottare, secondo i suoi doveri di ufficio, i necessari provvedimenti ripristinatori dello stato dei luoghi e di difesa del pubblico interesse in relazione ad opere abusive, ovvero li ritardi senza giustificazione, il terzo interessato – ed in particolare il proprietario limitrofo, in quanto tale sempre titolare di un interesse qualificato al mantenimento delle caratteristiche urbanistiche della zona – oltre a poter proporre azioni civili di demolizione o, alternativamente, azioni risarcitorie, è al tempo stesso legittimato ad impugnare la mancata adozione di misure ripristinatorie e, quindi, a far valere l’inerzia formalizzata degli organi comunali[2].

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Abusi edilizi e compiti del responsabile del procedimento

L’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce – ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 – atto dovuto, per il quale è in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione[1], e pertanto, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo si deve procedere al ripristino della legalità violata (e non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia).

Quando l’Amministrazione ometta di adottare, secondo i suoi doveri di ufficio, i necessari provvedimenti ripristinatori dello stato dei luoghi e di difesa del pubblico interesse in relazione ad opere abusive, ovvero li ritardi senza giustificazione, il terzo interessato – ed in particolare il proprietario limitrofo, in quanto tale sempre titolare di un interesse qualificato al mantenimento delle caratteristiche urbanistiche della zona – oltre a poter proporre azioni civili di demolizione o, alternativamente, azioni risarcitorie, è al tempo stesso legittimato ad impugnare la mancata adozione di misure ripristinatorie e, quindi, a far valere l’inerzia formalizzata degli organi comunali[2].

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