«Libero Pensatore» (sempre)

Lo smart working alimenta il dibattito pubblico con vicende che spesso appaiono contradittorie, da una parte, alcune categorie di lavoratori si “rifiutano” di rientrare in servizio (ovvero, manifestano perplessità al rientro forzato non essendo – in grado il datore di lavoro pubblico – di assicurare la sicurezza dal contagio), dall’altra parte, chi vorrebbe rientrare al lavoro (ovvero, far rientrare il personale in servizio, c.d. in presenza), viene chiamato a fornire chiarimenti dalla Funzione Pubblica per la presunta violazione del protocollo quadro “Rientro in sicurezza”, sottoscritto il 24 luglio 2020 dal Ministro per la P.A.[1].

Assistiamo ad una nuova genesi da Covid-19, la “riforma del pubblico impiego” sotto il profilo dell’orario di servizio, elemento cardine del rapporto di lavoro, che rientra nella prestazione del lavoratore a fronte della controprestazione retributiva (c.d. rapporto sinallagmatico), segnando un elemento determinante e fondante del rapporto negoziale, ai sensi dell’art. 2094 c.c., disegnando la natura del contratto: a titolo oneroso e prestazioni corrispettive (c.d. “contratto di scambio”)[2].

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Processi evolutivi da smart working e riforma della P.A.

Processi evolutivi da smart working e riforma della P.A.

Lo smart working alimenta il dibattito pubblico con vicende che spesso appaiono contradittorie, da una parte, alcune categorie di lavoratori si “rifiutano” di rientrare in servizio (ovvero, manifestano perplessità al rientro forzato non essendo – in grado il datore di lavoro pubblico – di assicurare la sicurezza dal contagio), dall’altra parte, chi vorrebbe rientrare al lavoro (ovvero, far rientrare il personale in servizio, c.d. in presenza), viene chiamato a fornire chiarimenti dalla Funzione Pubblica per la presunta violazione del protocollo quadro “Rientro in sicurezza”, sottoscritto il 24 luglio 2020 dal Ministro per la P.A.[1].

Assistiamo ad una nuova genesi da Covid-19, la “riforma del pubblico impiego” sotto il profilo dell’orario di servizio, elemento cardine del rapporto di lavoro, che rientra nella prestazione del lavoratore a fronte della controprestazione retributiva (c.d. rapporto sinallagmatico), segnando un elemento determinante e fondante del rapporto negoziale, ai sensi dell’art. 2094 c.c., disegnando la natura del contratto: a titolo oneroso e prestazioni corrispettive (c.d. “contratto di scambio”)[2].

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La sez. II del T.A.R. Sicilia, Palermo, con la sentenza 30 luglio 2020 n. 1673, celebra le capacità e i poteri del responsabile unico del procedimento (RUP), titolare di una competenza che si estende sino all’adozione dei provvedimenti di esclusione dei concorrenti, nel procedimento di individuazione del contraente: l’anima che regge l’intero apparato pubblico delle gare in qualità di dominus.

Detta affermazione consente di lumeggiare nell’assoluta centralità del ruolo del RUP nell’ambito dell’intero ciclo dell’appalto, nonché le cruciali funzioni di garanzia, di trasparenza e di efficacia dell’azione amministrativa che ne ispirano la disciplina codicistica: già sin da subito la cit. disciplina si cura di individuare il momento di nomina del RUP, stabilendo che debba avvenire «per ogni singola procedura per l’affidamento di un appalto o di una concessione le stazioni appaltanti individuano, nell’atto di adozione o di aggiornamento dei programmi di cui all’articolo 21, comma 1, ovvero nell’atto di avvio relativo ad ogni singolo intervento per le esigenze non incluse in programmazione, un responsabile unico del procedimento (RUP) per le fasi della programmazione, della progettazione, dell’affidamento, dell’esecuzione» (ex comma 1, prima parte, dell’art. 31, «Ruolo e funzioni del responsabile del procedimento negli appalti e nelle concessioni», del d.lgs. n. 50/2016)[1].

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Il dominus del procedimento di gara: il RUP

Il dominus del procedimento di gara: il RUP

La sez. II del T.A.R. Sicilia, Palermo, con la sentenza 30 luglio 2020 n. 1673, celebra le capacità e i poteri del responsabile unico del procedimento (RUP), titolare di una competenza che si estende sino all’adozione dei provvedimenti di esclusione dei concorrenti, nel procedimento di individuazione del contraente: l’anima che regge l’intero apparato pubblico delle gare in qualità di dominus.

Detta affermazione consente di lumeggiare nell’assoluta centralità del ruolo del RUP nell’ambito dell’intero ciclo dell’appalto, nonché le cruciali funzioni di garanzia, di trasparenza e di efficacia dell’azione amministrativa che ne ispirano la disciplina codicistica: già sin da subito la cit. disciplina si cura di individuare il momento di nomina del RUP, stabilendo che debba avvenire «per ogni singola procedura per l’affidamento di un appalto o di una concessione le stazioni appaltanti individuano, nell’atto di adozione o di aggiornamento dei programmi di cui all’articolo 21, comma 1, ovvero nell’atto di avvio relativo ad ogni singolo intervento per le esigenze non incluse in programmazione, un responsabile unico del procedimento (RUP) per le fasi della programmazione, della progettazione, dell’affidamento, dell’esecuzione» (ex comma 1, prima parte, dell’art. 31, «Ruolo e funzioni del responsabile del procedimento negli appalti e nelle concessioni», del d.lgs. n. 50/2016)[1].

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La quinta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 agosto 2020 n. 5167 (estensore Fantini) declara la piena legittimità del diniego opposto ad una actio ad exhibendum all’offerta tecnica in mancanza di un requisito, di stretta necessità, manifestato dal concorrente alla procedura di scelta del contraente.

È noto che il comma 5, lettera a) dell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 prevede dei limiti all’accesso «alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali», mentre al comma 6 del cit. articolo ammette «l’accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto» rilevando che l’accesso agli atti di gara, delle procedure di appalto, non è pacificamente sempre integrale a fronte della deduzione di esigenze di difesa, essendo sempre necessario, nel bilanciamento – tra il diritto alla tutela dei segreti industriali e commerciali ed il diritto all’esercizio del c.d. “accesso difensivo” – l’accertamento dell’eventuale nesso di strumentalità esistente tra la documentazione oggetto dell’istanza di accesso e le censure formulate[1].

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Va dimostrato nel concreto l’interesse difensivo all’accesso dell’offerta tecnica

Va dimostrato nel concreto l’interesse difensivo all’accesso dell’offerta tecnica

La quinta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 agosto 2020 n. 5167 (estensore Fantini) declara la piena legittimità del diniego opposto ad una actio ad exhibendum all’offerta tecnica in mancanza di un requisito, di stretta necessità, manifestato dal concorrente alla procedura di scelta del contraente.

È noto che il comma 5, lettera a) dell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 prevede dei limiti all’accesso «alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali», mentre al comma 6 del cit. articolo ammette «l’accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto» rilevando che l’accesso agli atti di gara, delle procedure di appalto, non è pacificamente sempre integrale a fronte della deduzione di esigenze di difesa, essendo sempre necessario, nel bilanciamento – tra il diritto alla tutela dei segreti industriali e commerciali ed il diritto all’esercizio del c.d. “accesso difensivo” – l’accertamento dell’eventuale nesso di strumentalità esistente tra la documentazione oggetto dell’istanza di accesso e le censure formulate[1].

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In via preliminare, l’art. 60 e ss. del d.P.R. n. 3/1957 individua i casi di incompatibilità (assoluti) a ricoprire un incarico pubblico, mentre gli artt. 28 e ss. del d.lgs. n. 165/2001 indicano i requisiti di accesso alla qualifica di dirigente, l’art. 1 del d.lgs. n. 33/2013 prevede «ai fini del conferimento di incarichi dirigenziali… nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico si osservano le disposizioni contenute nel presente decreto, fermo restando quanto previsto dagli articoli 19 e 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché dalle altre disposizioni vigenti in materia di collocamento fuori ruolo o in aspettativa».

L’incarico di dirigente avviene al termine di una procedura concorsuale (o con un atto di nomina) con la sottoscrizione del contratto, dove viene stabilita la decorrenza del rapporto di lavoro, un momento genetico necessario nel quale sorgono vincoli tra le parti (prestazione – retribuzione), donde «al provvedimento di conferimento dell’incarico accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico» (ex comma 2, quarto periodo, dell’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001).

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Nessuna situazione di inconferibilità e incompatibilità (ex d.lgs. n. 39/2013) per la partecipazione ad una procedura concorsuale a dirigente: va accertata all’esito della nomina.

Nessuna situazione di inconferibilità e incompatibilità (ex d.lgs. n. 39/2013) per la partecipazione ad una procedura concorsuale a dirigente: va accertata all’esito della nomina.

In via preliminare, l’art. 60 e ss. del d.P.R. n. 3/1957 individua i casi di incompatibilità (assoluti) a ricoprire un incarico pubblico, mentre gli artt. 28 e ss. del d.lgs. n. 165/2001 indicano i requisiti di accesso alla qualifica di dirigente, l’art. 1 del d.lgs. n. 33/2013 prevede «ai fini del conferimento di incarichi dirigenziali… nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico si osservano le disposizioni contenute nel presente decreto, fermo restando quanto previsto dagli articoli 19 e 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché dalle altre disposizioni vigenti in materia di collocamento fuori ruolo o in aspettativa».

L’incarico di dirigente avviene al termine di una procedura concorsuale (o con un atto di nomina) con la sottoscrizione del contratto, dove viene stabilita la decorrenza del rapporto di lavoro, un momento genetico necessario nel quale sorgono vincoli tra le parti (prestazione – retribuzione), donde «al provvedimento di conferimento dell’incarico accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico» (ex comma 2, quarto periodo, dell’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001).

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Il pronunciamento

La sez. III del Consiglio di Stato, con la sentenza 27 luglio 2020 n. 4771, risponde in maniera positiva al diritto di accesso ai documenti da parte di un giornalista del proprio istituto di previdenza; accesso finalizzato a conoscere le operazioni di conferimento (selezione, corrispondenza di stima, documenti istruttori, contratto/regolamento della gestione patrimoniale/immobiliare del fondo) del patrimonio immobiliare alla propria cassa (INPGI)[1].

In breve, la questione verteva sulla possibilità di accedere alla documentazione di gestione del “Fondo immobiliare” e del diniego espresso:

  • del soggetto gestore, in relazione alla riservatezza commerciale dell’attività svolta dallo stesso Fondo e dei relativi riflessi;
  • dell’Istituto di previdenza, per carenza di legittimazione (alias «sussistenza di un interesse diretto, attuale e concreto») non ritenendo sufficiente la mera qualità di iscritto alla Cassa, nonché trattandosi di questioni attinenti ad un’attività non pubblicistica ma esterna, priva per ciò di pubblico interesse visto che l’asset immobiliare deve garantire la migliore redditività, finalizzata a contribuire all’equilibrio economico finanziario dei conti dell’ente nel medio lungo periodo, non anche alla gestione delle risorse finalizzate alle attività di assistenza e previdenza presso i propri iscritti.

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Diritto di accesso alle operazioni patrimoniali privatistiche incidenti su una cassa di previdenza (fondazione): un caso singolare

Diritto di accesso alle operazioni patrimoniali privatistiche incidenti su una cassa di previdenza (fondazione): un caso singolare

Il pronunciamento

La sez. III del Consiglio di Stato, con la sentenza 27 luglio 2020 n. 4771, risponde in maniera positiva al diritto di accesso ai documenti da parte di un giornalista del proprio istituto di previdenza; accesso finalizzato a conoscere le operazioni di conferimento (selezione, corrispondenza di stima, documenti istruttori, contratto/regolamento della gestione patrimoniale/immobiliare del fondo) del patrimonio immobiliare alla propria cassa (INPGI)[1].

In breve, la questione verteva sulla possibilità di accedere alla documentazione di gestione del “Fondo immobiliare” e del diniego espresso:

  • del soggetto gestore, in relazione alla riservatezza commerciale dell’attività svolta dallo stesso Fondo e dei relativi riflessi;
  • dell’Istituto di previdenza, per carenza di legittimazione (alias «sussistenza di un interesse diretto, attuale e concreto») non ritenendo sufficiente la mera qualità di iscritto alla Cassa, nonché trattandosi di questioni attinenti ad un’attività non pubblicistica ma esterna, priva per ciò di pubblico interesse visto che l’asset immobiliare deve garantire la migliore redditività, finalizzata a contribuire all’equilibrio economico finanziario dei conti dell’ente nel medio lungo periodo, non anche alla gestione delle risorse finalizzate alle attività di assistenza e previdenza presso i propri iscritti.

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La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 23 luglio 2020 n. 4715 (est. Cons. Maggio), si sofferma sugli affidamenti mediante procedura negoziata senza pubblicazione del bando, e sulla pretesa aspettativa di acquisire i lavori senza gara in ragione di un diritto di esclusiva tecnica inesistente, a fronte della realizzazione di “efficientemente energetico” dell’illuminazione pubblica (in parte di proprietà privata dell’operatore esecutore dei lavori).

La questione nello sfondo si presenta, a volte, come una proposta di finanza di progetto, dove in funzione dei risparmi energetici (basati su discutibili e oscure formule matematiche) si realizza il rinnovo delle linee di illuminazione pubblica, pagando esclusivamente un canone di ammortamento (o concessorio), con affidamenti senza gara sulla base di un know how non reperibile sul mercato (sic!), riversando – al termine del periodo di concessione – con un patrimonio (riscattato) da riammodernare (a nuovo) e con una lievitazione dei costi di esercizio e dei consumi (delineando nel concreto alcuna convenienza, se non nell’immediato: nessun investimento e una spesa fluttuante).

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Impianti di illuminazione pubblica, affidamento diretto e violazione della concorrenza

Impianti di illuminazione pubblica, affidamento diretto e violazione della concorrenza

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 23 luglio 2020 n. 4715 (est. Cons. Maggio), si sofferma sugli affidamenti mediante procedura negoziata senza pubblicazione del bando, e sulla pretesa aspettativa di acquisire i lavori senza gara in ragione di un diritto di esclusiva tecnica inesistente, a fronte della realizzazione di “efficientemente energetico” dell’illuminazione pubblica (in parte di proprietà privata dell’operatore esecutore dei lavori).

La questione nello sfondo si presenta, a volte, come una proposta di finanza di progetto, dove in funzione dei risparmi energetici (basati su discutibili e oscure formule matematiche) si realizza il rinnovo delle linee di illuminazione pubblica, pagando esclusivamente un canone di ammortamento (o concessorio), con affidamenti senza gara sulla base di un know how non reperibile sul mercato (sic!), riversando – al termine del periodo di concessione – con un patrimonio (riscattato) da riammodernare (a nuovo) e con una lievitazione dei costi di esercizio e dei consumi (delineando nel concreto alcuna convenienza, se non nell’immediato: nessun investimento e una spesa fluttuante).

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