«Libero Pensatore» (sempre)

L’art. 12 della Legge n. 241/1990 stabilisce che «la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati» esige una misura preventiva di “trasparenza” con la determinazione ex ante dei criteri e delle modalità a cui attenersi per l’erogazione, indicando nel provvedimento il rispetto della citata misura e le norme regolamentari di riferimento, comunque sempre proiettate al perseguimento (mediato) dell’interesse pubblico, secondo i principi di sussidiarietà orizzontale (ex art. 118, ultimo comma, Cost.).

Nella sua essenzialità, la norma intende rendere in chiaro il processo di individuazione dei beneficiari, senza possibilità di interferenze e/o condotte arbitrarie, con l’esercizio di una discrezionalità tecnica fondata su regole certe e predefinite, a garanzia dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dei principi di eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini e le forme sociali di fronte alla legge (ex art. 97 e 3 Cost.).

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Erogazioni contributi pubblici: criteri generali

Erogazioni contributi pubblici: criteri generali

L’art. 12 della Legge n. 241/1990 stabilisce che «la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati» esige una misura preventiva di “trasparenza” con la determinazione ex ante dei criteri e delle modalità a cui attenersi per l’erogazione, indicando nel provvedimento il rispetto della citata misura e le norme regolamentari di riferimento, comunque sempre proiettate al perseguimento (mediato) dell’interesse pubblico, secondo i principi di sussidiarietà orizzontale (ex art. 118, ultimo comma, Cost.).

Nella sua essenzialità, la norma intende rendere in chiaro il processo di individuazione dei beneficiari, senza possibilità di interferenze e/o condotte arbitrarie, con l’esercizio di una discrezionalità tecnica fondata su regole certe e predefinite, a garanzia dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dei principi di eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini e le forme sociali di fronte alla legge (ex art. 97 e 3 Cost.).

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La sez. controllo Lombardia della Corte dei Conti, con la delibera n. 164 del 8 maggio 2019, chiarisce che il Comune non può fare donazioni.

La donazione si caratterizza per incrementare il patrimonio altrui con la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità), consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elemento di carattere obbiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione[1].

In generale, occorre tenere presente che tutti gli atti di disposizione del patrimonio pubblico, a prescindere dalla forma giuridica adottata non possono che essere funzionalizzati, in ogni caso, all’interesse pubblico, dovendo rilevare che la perdita di un cespite deve essere adeguatamente compensata da una partita di carattere finanziario o con un’“utilitas” di carattere patrimoniale (in termini di uso, proprietà, servizi)[2].

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Impossibilità o limiti per la P.A. di fare donazione

Impossibilità o limiti per la P.A. di fare donazione

La sez. controllo Lombardia della Corte dei Conti, con la delibera n. 164 del 8 maggio 2019, chiarisce che il Comune non può fare donazioni.

La donazione si caratterizza per incrementare il patrimonio altrui con la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità), consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elemento di carattere obbiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione[1].

In generale, occorre tenere presente che tutti gli atti di disposizione del patrimonio pubblico, a prescindere dalla forma giuridica adottata non possono che essere funzionalizzati, in ogni caso, all’interesse pubblico, dovendo rilevare che la perdita di un cespite deve essere adeguatamente compensata da una partita di carattere finanziario o con un’“utilitas” di carattere patrimoniale (in termini di uso, proprietà, servizi)[2].

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La prima sez. Bologna del T.A.R. Emilia Romagna, con la sentenza n. 462 del 21 maggio 2019, interviene sull’illegittimità di un provvedimento disciplinare basato sull’errata rappresentazione della sfera privata dell’interessato: consapevolezza dei fatti da parte di un agente della Polizia di Stato.

Pare giusto rammentare che per i dipendenti della P.A. anche il comportamento nella vita privata può assumere rilievo ai fini disciplinari, qualora in contrasto con le discipline interne per aver mantenuto magari un contegno tale da “ingenerare rimarchi”: una condotta al di fuori del servizio che assume rilievo di meritevolezza, incidendo sulla carriera professionale, valutata secondo il più rigoroso parametro dell’esigibilità relativa ad un appartenente ad una determinata Amministrazione dello Stato.

In termini diversi, taluni comportamenti estranei alla propria funzione (al lavoro prestato) rilevano in una prospettiva funzionale all’esigenza di tutela dei “valori” dell’Istituzione di appartenenza (da cui dipende e presta servizio), sicché le condotte “irreprensibili” devono essere sempre mantenute in funzione della fiducia riposta dai consociati nei suoi appartenenti.

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Frequentazioni extralavorative, procedimento disciplinare, istruttoria e onere della prova

Frequentazioni extralavorative, procedimento disciplinare, istruttoria e onere della prova

La prima sez. Bologna del T.A.R. Emilia Romagna, con la sentenza n. 462 del 21 maggio 2019, interviene sull’illegittimità di un provvedimento disciplinare basato sull’errata rappresentazione della sfera privata dell’interessato: consapevolezza dei fatti da parte di un agente della Polizia di Stato.

Pare giusto rammentare che per i dipendenti della P.A. anche il comportamento nella vita privata può assumere rilievo ai fini disciplinari, qualora in contrasto con le discipline interne per aver mantenuto magari un contegno tale da “ingenerare rimarchi”: una condotta al di fuori del servizio che assume rilievo di meritevolezza, incidendo sulla carriera professionale, valutata secondo il più rigoroso parametro dell’esigibilità relativa ad un appartenente ad una determinata Amministrazione dello Stato.

In termini diversi, taluni comportamenti estranei alla propria funzione (al lavoro prestato) rilevano in una prospettiva funzionale all’esigenza di tutela dei “valori” dell’Istituzione di appartenenza (da cui dipende e presta servizio), sicché le condotte “irreprensibili” devono essere sempre mantenute in funzione della fiducia riposta dai consociati nei suoi appartenenti.

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La sez. VII del T.A.R. Campania, Napoli, con la sentenza n. 2706 del 21 maggio 2019, interviene sulla corretta determinazione dell’importo da porre a base d’asta (superiore alla soglia comunitaria di € 636.788,44) in una concessione non potendosi limitare al solo importo concessorio (inferiore alla soglia comunitaria di € 32.000).

La questione, nella sua sinteticità, riguarda l’impugnazione (di un già affidatario e unico concorrente alla gara) di un annullamento d’ufficio di una procedura di selezione del concessionario della gestione di un campo sportivo per la durata di anni quattro.

Tra i motivi del ricorso:

  • l’assenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990, in particolare, delle ragioni di interesse pubblico, l’omessa considerazione dell’affidamento del privato e la partecipazione;
  • l’aver investito ingenti risorse nelle attività preparatorie ed organizzative per la partecipazione ai vari campionati per l’anno sportivo 2018/2019, oltre a quelle destinate ai lavori di manutenzione dell’impianto.

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Determinazione del valore a base d’asta di una concessione di impianti sportivi

Determinazione del valore a base d’asta di una concessione di impianti sportivi

La sez. VII del T.A.R. Campania, Napoli, con la sentenza n. 2706 del 21 maggio 2019, interviene sulla corretta determinazione dell’importo da porre a base d’asta (superiore alla soglia comunitaria di € 636.788,44) in una concessione non potendosi limitare al solo importo concessorio (inferiore alla soglia comunitaria di € 32.000).

La questione, nella sua sinteticità, riguarda l’impugnazione (di un già affidatario e unico concorrente alla gara) di un annullamento d’ufficio di una procedura di selezione del concessionario della gestione di un campo sportivo per la durata di anni quattro.

Tra i motivi del ricorso:

  • l’assenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990, in particolare, delle ragioni di interesse pubblico, l’omessa considerazione dell’affidamento del privato e la partecipazione;
  • l’aver investito ingenti risorse nelle attività preparatorie ed organizzative per la partecipazione ai vari campionati per l’anno sportivo 2018/2019, oltre a quelle destinate ai lavori di manutenzione dell’impianto.

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Le sez. Unite Civ. della Corte Cassazione, con ordinanza 16 maggio 2019, n. 13245, nel definire il riparto di giurisdizione per l’illecito utilizzo di denaro pubblico chiarisce le finalità pubbliche per il corretto esercizio dell’azione amministrativa quando viene concesso un contributo.

La questione nella sua essenzialità verte:

  • sulla condanna inflitta dalla Corte dei Conti ad un percettore di denaro pubblico (in conto capitale) mediante la produzione di documentazione falsa per l’ammissione al contributo;
  • l’eccezione sollevate dall’interessato sul difetto di giurisdizione del Giudice contabile (ex 362 cod. proc. civ), in assenza di una norma che sancisse espressamente l’assoggettabilità dei privati, percettori o utilizzatori di pubblici contributi, alla responsabilità amministrativa e alla giurisdizione contabile;
  • la disattesa eccezione effettuata dalla Corte dei Conti che rimarca – a contrario – la propria competenza ove vi sia uno sviamento dalle finalità perseguite nell’acquisizione a garanzia del bene, costituzionalmente tutelato, del buon funzionamento degli enti pubblici (ex 97 Cost.).

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Rapporto di servizio nell’illecito utilizzo di contributi pubblici e riparto di giurisdizione

Rapporto di servizio nell’illecito utilizzo di contributi pubblici e riparto di giurisdizione

Le sez. Unite Civ. della Corte Cassazione, con ordinanza 16 maggio 2019, n. 13245, nel definire il riparto di giurisdizione per l’illecito utilizzo di denaro pubblico chiarisce le finalità pubbliche per il corretto esercizio dell’azione amministrativa quando viene concesso un contributo.

La questione nella sua essenzialità verte:

  • sulla condanna inflitta dalla Corte dei Conti ad un percettore di denaro pubblico (in conto capitale) mediante la produzione di documentazione falsa per l’ammissione al contributo;
  • l’eccezione sollevate dall’interessato sul difetto di giurisdizione del Giudice contabile (ex 362 cod. proc. civ), in assenza di una norma che sancisse espressamente l’assoggettabilità dei privati, percettori o utilizzatori di pubblici contributi, alla responsabilità amministrativa e alla giurisdizione contabile;
  • la disattesa eccezione effettuata dalla Corte dei Conti che rimarca – a contrario – la propria competenza ove vi sia uno sviamento dalle finalità perseguite nell’acquisizione a garanzia del bene, costituzionalmente tutelato, del buon funzionamento degli enti pubblici (ex 97 Cost.).

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Il Garante per la protezione dei dati personali (doc. web n. 8997418. Registro dei provvedimenti n. 260 del 3 maggio 2018) interviene nel limitare il diritto di accesso civico ai titoli edilizi[1].

È noto che l’art. 5 «Accesso civico a dati e documenti» del D.Lgs. n. 33/2013 (c.d. decreto Trasparenza) stabilisce:

  • al primo comma, l’accesso civico (c.d. semplice), inteso come «L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione», ovvero tutto ciò che è previsto dal cit. decreto[2];
  • al secondo comma, l’accesso civico generalizzato (denominato anche accesso universale), «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5 – bis»[3], rilevando che il diritto di accesso civico generalizzato è escluso nei casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti (vedi, ad es., l’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016 che detta espressamente una disciplina sull’accesso in parte derogatoria rispetto alle ordinarie regole)[4].

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Diniego di accesso civico generalizzato ai titoli edilizi

Diniego di accesso civico generalizzato ai titoli edilizi

Il Garante per la protezione dei dati personali (doc. web n. 8997418. Registro dei provvedimenti n. 260 del 3 maggio 2018) interviene nel limitare il diritto di accesso civico ai titoli edilizi[1].

È noto che l’art. 5 «Accesso civico a dati e documenti» del D.Lgs. n. 33/2013 (c.d. decreto Trasparenza) stabilisce:

  • al primo comma, l’accesso civico (c.d. semplice), inteso come «L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione», ovvero tutto ciò che è previsto dal cit. decreto[2];
  • al secondo comma, l’accesso civico generalizzato (denominato anche accesso universale), «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5 – bis»[3], rilevando che il diritto di accesso civico generalizzato è escluso nei casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti (vedi, ad es., l’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016 che detta espressamente una disciplina sull’accesso in parte derogatoria rispetto alle ordinarie regole)[4].

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