«Libero Pensatore» (sempre)

Il whistleblowing è un istituto di prevenzione della corruzione, derivato dall’esperienza dei Paesi anglosassoni (oltreoceano), recepito a livello ordinamentale dalla Legge n. 190/2012, con l’inserimento nel Testo Unico del Pubblico Impiego (TUPI) dell’art. 54 bis a tutela del dipendente, fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro: la disciplina, assicura delle garanzie minime contro eventuali sanzioni o misure discriminatorie, dirette o indirette, avente effetti sulle condizioni di lavoro per ragioni collegate alla denuncia.

La proposta di legge «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato» (approvata dalla Camera e modificata dal Senato. La proposta di legge C. 3365-B è stata trasmessa dal Senato il 18 ottobre 2017, in Commissione iniziato l’iter il 24 ottobre 2017 e concluso il 9 novembre 2017; discussione in Assemblea Camera iniziata il 14 novembre 2017 e conclusa il 15 novembre 2017, approvato definitivamente), intende rivedere la materia sostituendo integralmente l’articolo 54 bis del D.Lgs. n. 165/2001 (art. 1), prevedendo una tutela maggiore anche nel settore privato, incidendo sul c.d. modello 231, «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica» (art. 2), integrando la disciplina sul segreto (art. 3).

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Le novità normative in materia di whistleblowing

Le novità normative in materia di whistleblowing

Il whistleblowing è un istituto di prevenzione della corruzione, derivato dall’esperienza dei Paesi anglosassoni (oltreoceano), recepito a livello ordinamentale dalla Legge n. 190/2012, con l’inserimento nel Testo Unico del Pubblico Impiego (TUPI) dell’art. 54 bis a tutela del dipendente, fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro: la disciplina, assicura delle garanzie minime contro eventuali sanzioni o misure discriminatorie, dirette o indirette, avente effetti sulle condizioni di lavoro per ragioni collegate alla denuncia.

La proposta di legge «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato» (approvata dalla Camera e modificata dal Senato. La proposta di legge C. 3365-B è stata trasmessa dal Senato il 18 ottobre 2017, in Commissione iniziato l’iter il 24 ottobre 2017 e concluso il 9 novembre 2017; discussione in Assemblea Camera iniziata il 14 novembre 2017 e conclusa il 15 novembre 2017, approvato definitivamente), intende rivedere la materia sostituendo integralmente l’articolo 54 bis del D.Lgs. n. 165/2001 (art. 1), prevedendo una tutela maggiore anche nel settore privato, incidendo sul c.d. modello 231, «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica» (art. 2), integrando la disciplina sul segreto (art. 3).

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Gli organi di partecipazione si sono sempre caratterizzati, nella storia recente dello Stato, per una loro particolare individualità che veniva riconosciuta dall’Ordinamento nel suo momento di massima astrattezza che caratterizzava l’unitarietà dei diversi elementi che costituivano la sua essenza, attribuendo loro una posizione giuridica ben distinta rispetto a quella di tutti gli altri soggetti.

La partecipazione è, quindi, una necessità fisiologica al sistema e metodologica per la struttura in quanto permette di operare in piena coscienza con le indicazioni formulate dagli interessati e le mediazioni di carattere politico, che sono alla base delle scelte strategiche e delle prerogative degli organi di “governo”.

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Referendum consultivo: il caso Veneto

Referendum consultivo: il caso Veneto

Gli organi di partecipazione si sono sempre caratterizzati, nella storia recente dello Stato, per una loro particolare individualità che veniva riconosciuta dall’Ordinamento nel suo momento di massima astrattezza che caratterizzava l’unitarietà dei diversi elementi che costituivano la sua essenza, attribuendo loro una posizione giuridica ben distinta rispetto a quella di tutti gli altri soggetti.

La partecipazione è, quindi, una necessità fisiologica al sistema e metodologica per la struttura in quanto permette di operare in piena coscienza con le indicazioni formulate dagli interessati e le mediazioni di carattere politico, che sono alla base delle scelte strategiche e delle prerogative degli organi di “governo”.

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Diritti dei consiglieri comunali, condotte ostruzionistiche e tumulti in Consiglio comunale: trasparenza e bilanciamento di poteri per una soluzione concreta

La regolarità dei lavori assembleari e, più in generale, dell’attività del consiglio comunale è definita all’interno e nei limiti delle norme regolamentari che affidano, al suo presidente, il compito di garantire il corretto esercizio della funzione, ma soprattutto dei diritti inerenti lo status di consigliere comunale, pena l’inevitabile vulnus alle prerogative dell’eletto.

Il Testo Unico degli Enti locali (ex D.Lgs. n. 267/2000, cd. Tuel), all’articolo 38, commi 2, 3 e 7, prevede espressamente che il funzionamento del consiglio comunale, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento, fonte secondaria che delinea su – distinti gruppi di norme – la struttura e le facoltà del plenum, in particolare:

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Tumulti, sedute a porte chiuse e in diretta streaming

Tumulti, sedute a porte chiuse e in diretta streaming

Diritti dei consiglieri comunali, condotte ostruzionistiche e tumulti in Consiglio comunale: trasparenza e bilanciamento di poteri per una soluzione concreta

La regolarità dei lavori assembleari e, più in generale, dell’attività del consiglio comunale è definita all’interno e nei limiti delle norme regolamentari che affidano, al suo presidente, il compito di garantire il corretto esercizio della funzione, ma soprattutto dei diritti inerenti lo status di consigliere comunale, pena l’inevitabile vulnus alle prerogative dell’eletto.

Il Testo Unico degli Enti locali (ex D.Lgs. n. 267/2000, cd. Tuel), all’articolo 38, commi 2, 3 e 7, prevede espressamente che il funzionamento del consiglio comunale, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento, fonte secondaria che delinea su – distinti gruppi di norme – la struttura e le facoltà del plenum, in particolare:

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Nella nuova visione del diritto di accesso, sul modello freedom of information act (cd. F.O.I.A.), avvenuta dall’approvazione del d.lgs. n. 97/2016 che ha riscritto l’art. 5 “accesso civico ai dati e documenti” del d.lgs. n. 33/2013, il titolo di legittimazione è alla base dell’istanza ostensiva: il soggetto richiedente non deve dimostrare alcun interesse qualificato e non deve motivare la sua pretesa informativa (full disclosure), essendo tale diritto di libertà riconosciuto a “chiunque”, senza limiti oggettivi e soggettivi.

Il diritto di accesso, nella sua forma di diritto di “accesso civico” non esige alcuna registrazione perché la sua natura si fonda sulla volontà di garantire un controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena partecipazione alla realizzazione del principio “trasparenza” (right to know), assolvendo, diversamente dal diritto di accesso, di cui alla legge n. 241/1990, il reclamo collettivo di conoscere le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche e, più in generale, l’attività e l’organizzazione della pubblica amministrazione (P.A.), anche in funzione di misura di contrasto e prevenzione della corruzione.

Con l’accesso civico chiunque ha il “potere” di controllare democraticamente la conformità dell’attività dell’amministrazione pubblica, determinando anche una maggiore responsabilizzazione di coloro che ricoprono ruoli strategici al suo interno, soprattutto nelle aree più sensibili al rischio corruzione, così come individuate dalla legge n. 190 del 2012.

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Vicinitas, trasparenza e accesso agli atti

Vicinitas, trasparenza e  accesso agli atti

Nella nuova visione del diritto di accesso, sul modello freedom of information act (cd. F.O.I.A.), avvenuta dall’approvazione del d.lgs. n. 97/2016 che ha riscritto l’art. 5 “accesso civico ai dati e documenti” del d.lgs. n. 33/2013, il titolo di legittimazione è alla base dell’istanza ostensiva: il soggetto richiedente non deve dimostrare alcun interesse qualificato e non deve motivare la sua pretesa informativa (full disclosure), essendo tale diritto di libertà riconosciuto a “chiunque”, senza limiti oggettivi e soggettivi.

Il diritto di accesso, nella sua forma di diritto di “accesso civico” non esige alcuna registrazione perché la sua natura si fonda sulla volontà di garantire un controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena partecipazione alla realizzazione del principio “trasparenza” (right to know), assolvendo, diversamente dal diritto di accesso, di cui alla legge n. 241/1990, il reclamo collettivo di conoscere le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche e, più in generale, l’attività e l’organizzazione della pubblica amministrazione (P.A.), anche in funzione di misura di contrasto e prevenzione della corruzione.

Con l’accesso civico chiunque ha il “potere” di controllare democraticamente la conformità dell’attività dell’amministrazione pubblica, determinando anche una maggiore responsabilizzazione di coloro che ricoprono ruoli strategici al suo interno, soprattutto nelle aree più sensibili al rischio corruzione, così come individuate dalla legge n. 190 del 2012.

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La sentenza n. 281, della prima sezione del T.A.R. Sardegna, Cagliari, pubblicata il tre maggio 2017, segna un orientamento consolidato in materia di “conflitto di interessi” e risolve il quesito se l’amicizia e la condivisione di interessi in Facebook può o meno incidere sulla posizione di “imparzialità” dell’agere pubblico, e di conseguenza sulla violazione dell’obbligo di astensione.

Giova osservare che, in presenza di legami idonei a radicare il sospetto di parzialità, non è necessario comprovare che questi si possano concretizzare in un effettivo favore verso il candidato, essendo sufficiente a radicare l’incompatibilità anche il “solo pericolo” di una compromissione dell’imparzialità di giudizio: la posizione rivestita del valutatore della selezione (caso, “assunzioni RAI”) deve essere di terzietà rispetto ai concorrenti e non di mera imparzialità.

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Il conflitto di interessi al tempo di Facebook

Il conflitto di interessi al tempo di Facebook

La sentenza n. 281, della prima sezione del T.A.R. Sardegna, Cagliari, pubblicata il tre maggio 2017, segna un orientamento consolidato in materia di “conflitto di interessi” e risolve il quesito se l’amicizia e la condivisione di interessi in Facebook può o meno incidere sulla posizione di “imparzialità” dell’agere pubblico, e di conseguenza sulla violazione dell’obbligo di astensione.

Giova osservare che, in presenza di legami idonei a radicare il sospetto di parzialità, non è necessario comprovare che questi si possano concretizzare in un effettivo favore verso il candidato, essendo sufficiente a radicare l’incompatibilità anche il “solo pericolo” di una compromissione dell’imparzialità di giudizio: la posizione rivestita del valutatore della selezione (caso, “assunzioni RAI”) deve essere di terzietà rispetto ai concorrenti e non di mera imparzialità.

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IL RPCT

Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) è il dominus delle strategie definite dal legislatore, con la legge n. 190/2012, per contrastare il rischio corruttivo all’interno delle pubbliche amministrazioni (nella sua estesa accezione, da ricomprendere anche i soggetti privati esercenti servizi pubblici, compresi coloro che sono tenuti ai modelli 231), assume compiti proiettati a realizzare un sistema di misure idonee a ridurre i fenomeni degenerativi e afflittivi della buona amministrazione, predispone il Piano di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PTPCT), rapportandosi con il personale interno e gli organi esterni di vigilanza, compresa l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).

La prima sezione del T.A.R. Lombardia, Brescia, con la sentenza n. 15 del 4 gennaio 2017, analizza i rapporti tra RPCT e il personale dipendente, che secondo le regole generali ut supra dovrebbe collaborare e mettere a disposizione la documentazione eventualmente richiesta.

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Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza

Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza

IL RPCT

Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) è il dominus delle strategie definite dal legislatore, con la legge n. 190/2012, per contrastare il rischio corruttivo all’interno delle pubbliche amministrazioni (nella sua estesa accezione, da ricomprendere anche i soggetti privati esercenti servizi pubblici, compresi coloro che sono tenuti ai modelli 231), assume compiti proiettati a realizzare un sistema di misure idonee a ridurre i fenomeni degenerativi e afflittivi della buona amministrazione, predispone il Piano di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PTPCT), rapportandosi con il personale interno e gli organi esterni di vigilanza, compresa l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).

La prima sezione del T.A.R. Lombardia, Brescia, con la sentenza n. 15 del 4 gennaio 2017, analizza i rapporti tra RPCT e il personale dipendente, che secondo le regole generali ut supra dovrebbe collaborare e mettere a disposizione la documentazione eventualmente richiesta.

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