«Libero Pensatore» (sempre)

Il T.A.R. Lazio – Roma, sez. III bis, con la sentenza 2 settembre 2013 n. 8061 interviene per dichiarare l’annullamento del rigetto della richiesta di assegnazione di un insegnante di sostegno ad un minore (in situazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della Legge 104/1992), imponendo alla P.A. di attivarsi con ogni mezzo per garantire il diritto del minore all’insegnamento di sostegno per un orario adeguato.

È noto che “l’istruzione dell’obbligo per i portatori di handicap deve ormai avvenire non più con gli strumenti delle classi differenziali, ma nelle classi normali della scuola pubblica, salvo ipotesi residuali ed eccezionali di sezioni staccate della scuola statale in centri di degenza e ricovero. A tal fine, per agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità (come diritto primario della persona senza distinzioni, argomentando dagli artt. 2, 3, 34, primo comma, e 38, terzo comma, della Costituzione), sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap con impiego di docenti specializzati (sentenza n. 215 del 1987). I particolari titoli di specializzazione per l’adempimento delle ineliminabili (anche sul piano costituzionale) forme di integrazione e di sostegno a favore dei suddetti alunni costituiscono un requisito per l’utilizzazione dei docenti in tali funzioni, con conseguente obbligo per l’Amministrazione di provvedersi degli insegnanti di sostegno forniti di idonei titoli di specializzazione” (Corte Cost., sentenza n.52 del 2000).

 

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Il diritto allo studio non va discriminato

Il T.A.R. Lazio – Roma, sez. III bis, con la sentenza 2 settembre 2013 n. 8061 interviene per dichiarare l’annullamento del rigetto della richiesta di assegnazione di un insegnante di sostegno ad un minore (in situazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della Legge 104/1992), imponendo alla P.A. di attivarsi con ogni mezzo per garantire il diritto del minore all’insegnamento di sostegno per un orario adeguato.

È noto che “l’istruzione dell’obbligo per i portatori di handicap deve ormai avvenire non più con gli strumenti delle classi differenziali, ma nelle classi normali della scuola pubblica, salvo ipotesi residuali ed eccezionali di sezioni staccate della scuola statale in centri di degenza e ricovero. A tal fine, per agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità (come diritto primario della persona senza distinzioni, argomentando dagli artt. 2, 3, 34, primo comma, e 38, terzo comma, della Costituzione), sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap con impiego di docenti specializzati (sentenza n. 215 del 1987). I particolari titoli di specializzazione per l’adempimento delle ineliminabili (anche sul piano costituzionale) forme di integrazione e di sostegno a favore dei suddetti alunni costituiscono un requisito per l’utilizzazione dei docenti in tali funzioni, con conseguente obbligo per l’Amministrazione di provvedersi degli insegnanti di sostegno forniti di idonei titoli di specializzazione” (Corte Cost., sentenza n.52 del 2000).

 

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Riprendendo l’intervento “sine die” e la notizia che si (s)paventa l’abolizione del Giudice amministrativo e del Consiglio di Stato (giudice che taluni vorrebbero abolire), in nome di un futuro “competitivo”; a margine, si potrebbe affermare (?) che è il giudice amministrativo che minaccia lo sviluppo economico e il progresso della Nazione, evitando l’esercizio dell’“Autolavaggio”?

Non sarebbe più conveniente – per rilanciare l’economia – invece di “Abolire Tar e Consiglio di Stato per non legare le gambe all’Italia” eliminare i costi della (sovra)struttura dello Stato e i grand commis (con le loro pensioni d’oro: intoccabili); eliminare i “signori del vapore” che producono leggi che non si comprendono e non servono; eliminare i diversi livelli istituzionali (quali, le Regioni) che spendono più dell’80% in sanità; eliminare…

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Sine die e senza giudice

Riprendendo l’intervento “sine die” e la notizia che si (s)paventa l’abolizione del Giudice amministrativo e del Consiglio di Stato (giudice che taluni vorrebbero abolire), in nome di un futuro “competitivo”; a margine, si potrebbe affermare (?) che è il giudice amministrativo che minaccia lo sviluppo economico e il progresso della Nazione, evitando l’esercizio dell’“Autolavaggio”?

Non sarebbe più conveniente – per rilanciare l’economia – invece di “Abolire Tar e Consiglio di Stato per non legare le gambe all’Italia” eliminare i costi della (sovra)struttura dello Stato e i grand commis (con le loro pensioni d’oro: intoccabili); eliminare i “signori del vapore” che producono leggi che non si comprendono e non servono; eliminare i diversi livelli istituzionali (quali, le Regioni) che spendono più dell’80% in sanità; eliminare…

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Il T.A.R. Liguria, sezione I, con la sentenza 704/2013, interviene sull’interpretazione dell’articolo 20 della Legge 241 del 1990 (strumento di semplificazione), ovvero “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nei termini” il provvedimento di diniego o indice una conferenza di servizi, superando l’inerzia della P.A. con il divenire di un “assenso” previsto astrattamente dalla legge e concretamente anelato dal privato con la presentazione dell’istanza.

È subito da precisare che l’articolo 2, della Legge n.241 del 1990, prevede un provvedimento espresso e la Legge n.190 del 2012 attenziona – il mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento – quali indicatori di attività potenzialmente a rischio (“corruttiva”) sanzionabile sotto diversi profili (il ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).

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Silenzio assenso e attività istruttoria

Il T.A.R. Liguria, sezione I, con la sentenza 704/2013, interviene sull’interpretazione dell’articolo 20 della Legge 241 del 1990 (strumento di semplificazione), ovvero “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nei termini” il provvedimento di diniego o indice una conferenza di servizi, superando l’inerzia della P.A. con il divenire di un “assenso” previsto astrattamente dalla legge e concretamente anelato dal privato con la presentazione dell’istanza.

È subito da precisare che l’articolo 2, della Legge n.241 del 1990, prevede un provvedimento espresso e la Legge n.190 del 2012 attenziona – il mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento – quali indicatori di attività potenzialmente a rischio (“corruttiva”) sanzionabile sotto diversi profili (il ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).

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La prima sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza 17 maggio 2013 n. 12060, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le norme circa l’attribuzione del premio di maggioranza per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica e l’esclusione del voto di preferenza della legge elettorale (c.d. “Porcellum”).

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La legge elettorale (c.d. “Porcellum”) è anticostituzionale?

La prima sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza 17 maggio 2013 n. 12060, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le norme circa l’attribuzione del premio di maggioranza per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica e l’esclusione del voto di preferenza della legge elettorale (c.d. “Porcellum”).

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Il Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n.1230 depositata il 28 febbraio 2013 interviene (in riforma della sentenza del T.A.R. Veneto, sezione III, n.881/2012) per definire, alla luce del quadro normativo vigente al momento del rilascio dell’autorizzazione (alla costruzione e all’esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato da “pollina”), se le deiezioni animali, ed in particolare la “POLLINA”, siano da considerare “RIFIUTI”, oppure possano essere considerati “SOTTOPRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE”, ovvero direttamente “BIOMASSE” ai sensi del D.Lgs. n.183/2003.

In primis, è noto che il principio del tempus regit actum governa ordinariamente il procedimento amministrativo e pretende che la legittimità del provvedimento finale, per qualsiasi aspetto che riguardi la sua essenza, la struttura o i requisiti, sia raffrontato al paradigma legale del tempo in cui è posto in essere, ovvero è stato sottoscritto il provvedimento (al momento dell’autorizzazione, erano già vigenti l’art.18 della legge 96/2010 modificativo dell’art. 2 bis del DL 3 novembre 2008, n.171, e il Decreto Legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, modificativo dell’art. 185 del Codice ambiente)

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La “pollina” non è un rifiuto ma una biomassa, nota a margine della sentenza del Consiglio di Stato n.1230/2013

Il Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n.1230 depositata il 28 febbraio 2013 interviene (in riforma della sentenza del T.A.R. Veneto, sezione III, n.881/2012) per definire, alla luce del quadro normativo vigente al momento del rilascio dell’autorizzazione (alla costruzione e all’esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato da “pollina”), se le deiezioni animali, ed in particolare la “POLLINA”, siano da considerare “RIFIUTI”, oppure possano essere considerati “SOTTOPRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE”, ovvero direttamente “BIOMASSE” ai sensi del D.Lgs. n.183/2003.

In primis, è noto che il principio del tempus regit actum governa ordinariamente il procedimento amministrativo e pretende che la legittimità del provvedimento finale, per qualsiasi aspetto che riguardi la sua essenza, la struttura o i requisiti, sia raffrontato al paradigma legale del tempo in cui è posto in essere, ovvero è stato sottoscritto il provvedimento (al momento dell’autorizzazione, erano già vigenti l’art.18 della legge 96/2010 modificativo dell’art. 2 bis del DL 3 novembre 2008, n.171, e il Decreto Legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, modificativo dell’art. 185 del Codice ambiente)

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Vanno fatte alcune considerazioni.

PRIMO PUNTO: L’Italia ha bisogno di nuovi saggi, di nuove leggi, di nuove autorità, ed è per questo che si moltiplicano le norme sulla semplificazione e sulla delegificazione; aumentando la trasparenza e l’accessibilità dei dati on line delle amministrazioni pubbliche si garantisce il controllo sociale e si diminuisce la burocrazia e la corruzione.

Si partoriscono nuove procedure, nuove adempimenti, nuovi obblighi e poi si pretenderebbe di eliminare i costi della pubblica amministrazione, i costi degli apparati amministrativi.

Hanno scoperto la separazione delle funzioni: ai politici gli atti di indirizzo e di programmazione, ai tecnici l’attività gestionale, poi… se i tecnici non seguono… (vedi) i politici hanno importato (pure) lo spoils system.

La dirigenza di “fiducia” o “a chiamata”, sul mito della libertà di mandato (con l’elezione diretta del sindaco), viene scelta quale dirigenza di staff e/o uffici alle dirette dipendenze degli organi (elettivi) di vertice: un concetto di democrazia alquanto singolare che non coincide con i principi costituzionali “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge” (art. 97 Cost.).

La scelta avviene direttamente o previa selezione (avviso pubblico): di fatto la nomina è prodotta su indicazione diretta dell’eletto, ovviamente in base alle valutazione del c.d. curriculum, anzi sul merito e la preparazione (su questi ultimi profili qualche dubbio permane).

SECONDO PUNTO: (estratto: “Prospettive e tendenze del rapporto tra Politica e Amministrazione nell’Ordinamento Italiano”, in Rivista della Corte dei Conti, 1998, n.2)

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Brevi considerazioni sulla “Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali”

Vanno fatte alcune considerazioni.

PRIMO PUNTO: L’Italia ha bisogno di nuovi saggi, di nuove leggi, di nuove autorità, ed è per questo che si moltiplicano le norme sulla semplificazione e sulla delegificazione; aumentando la trasparenza e l’accessibilità dei dati on line delle amministrazioni pubbliche si garantisce il controllo sociale e si diminuisce la burocrazia e la corruzione.

Si partoriscono nuove procedure, nuove adempimenti, nuovi obblighi e poi si pretenderebbe di eliminare i costi della pubblica amministrazione, i costi degli apparati amministrativi.

Hanno scoperto la separazione delle funzioni: ai politici gli atti di indirizzo e di programmazione, ai tecnici l’attività gestionale, poi… se i tecnici non seguono… (vedi) i politici hanno importato (pure) lo spoils system.

La dirigenza di “fiducia” o “a chiamata”, sul mito della libertà di mandato (con l’elezione diretta del sindaco), viene scelta quale dirigenza di staff e/o uffici alle dirette dipendenze degli organi (elettivi) di vertice: un concetto di democrazia alquanto singolare che non coincide con i principi costituzionali “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge” (art. 97 Cost.).

La scelta avviene direttamente o previa selezione (avviso pubblico): di fatto la nomina è prodotta su indicazione diretta dell’eletto, ovviamente in base alle valutazione del c.d. curriculum, anzi sul merito e la preparazione (su questi ultimi profili qualche dubbio permane).

SECONDO PUNTO: (estratto: “Prospettive e tendenze del rapporto tra Politica e Amministrazione nell’Ordinamento Italiano”, in Rivista della Corte dei Conti, 1998, n.2)

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