L’infedeltà
La Corte dei conti, sez. giur. Emilia – Romagna, con la sentenza n. 142 del 12 agosto 2022, nel condannare una condotta infedele all’obbligo di imparzialità, ex art. 97 Cost. (bene giuridico da salvaguardare a fronte di azioni in dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici)[1], fornisce alcune indicazioni sulla pervasività del fenomeno e delle mafie, soffermandosi sulle diverse profilazioni del danno erariale e della sua esibizione concreta.
La prestazione di lavoro pubblico trova anche altri riferimenti costituzionali sul dovere di essere «al servizio esclusivo della Nazione», ex art. 98 Cost., un obbligo negoziale che si concretizza anche nel dovere di fedeltà nei confronti del datore di lavoro pubblico, ex art. 2105 cod. civ., inteso in senso ampio, posto che non attiene solo agli aspetti patrimoniali del rapporto, e dunque al divieto di conflitto di interessi o di concorrenza, ma anche ai più generali canoni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto tra le parti, che proietta la sua violazione sull’immagine e sull’onorabilità della PA (il richiamo si associa al secondo comma dell’art. 54 Cost.), quell’aspettativa di legalità e credibilità in essa riposta dai cittadini (ex art. 2 e 3 Cost.).
La condanna penale e la nozione di corruzione
I danni sanzionati, eziologicamente riconducibili alla condotta di un funzionario pubblico[2] qualificata – in sede di imputazione penale – in termini di associazione di tipo mafioso, in ragione della consapevole partecipazione dell’associazione di stampo ‘ndranghetistico («appartenenza al sodalizio criminoso»)[3], nonché di estorsione e truffa ai danni di società, di corruzione propria in relazione a un’operazione doganale di importazioni estere (questa è la lettura del giudice penale).
Il caso può essere esteso oltre, tale da ricomprendere le diverse categorie di lavoro pubblico.
Giova rammentare sotto il profilo:
- dell’art. 318, Corruzione per l’esercizio della funzione, cod. pen., si perfeziona quando «Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa», integra un reato a forma libera, plurisoggettivo, di natura bilaterale, fondato sul pactum sceleris tra privato e pubblico ufficiale, non richiedendosi necessariamente l’asservimento dell’agente all’interesse privato si sia protratto nel tempo[4];
- dell’art. 319, Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, cod. pen., si presenta quando «il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa», applicabile solo se il funzionario viola le regole che disciplinano il potere che gli è attribuito in funzione di una non corretta ponderazione degli interessi in campo, facendo cioè prevalere l’interesse privato di cui è portatore l’extraneus che gli ha corrisposto il denaro e svalutando l’interesse pubblico generale (la vendita della parzialità).
Sulla determinazione dell’atto di ufficio deve essere colta la differenza tra i due tipi di corruzione:
- se il privato corrisponde denaro o altra utilità per assicurarsi l’asservimento della funzione pubblica agli interessi privati, senza che la condotta del pubblico agente sia riferita nell’accordo a specifici atti, troverà applicazione l’art. 318 cod. pen. (c.d. corruzione impropria);
- qualora, invece, il patto tra privato e agente pubblico prevede l’asservimento della funzione attraverso l’individuazione, anche solo nel genere, di atti contrari, vi sarà spazio per l’art. 319 cod. pen. (c.d. corruzione propria).
Nell’art. 318 cod. pen. la previsione di una pena meno grave rispetto a quella stabilita per la corruzione propria, si giustifica perché il patto riguarda atti aventi ad oggetto futuri favori; in altri termini, il denaro ovvero l’utilità versata dal privato è in funzione di precostituire condizioni favorevoli nei rapporti con soggetto pubblico (la stabilità dell’asservimento, la c.d. “messa a disposizione”)[5].
La richiesta erariale
Il danno (responsabilità amministrativa) ripartito per somme veniva all’inizio così distinto (la richiesta della procura erariale):
- danno erariale diretto, pari al mancato introito dei dazi ricollegabili all’operazione doganale[6];
- danno da tangente pari alle dazioni illecite percepite[7];
- danno all’immagine ricollegabile ai gravissimi reati[8];
- danno da disservizio, da parametrarsi alle spese sostenute dalla PA per l’organizzazione e lo svolgimento dell’attività amministrativa e a quelle impiegate ai fini degli accertamenti espletati dall’Agenzia sui fatti di causa e della necessaria riorganizzazione dei servizi incisi dal comportamento illecito;
- danno da interruzione del nesso sinallagmatico, coincidente con la retribuzione indebitamente corrisposte.
Si rende opportuno precisare, per meglio esprimere le diverse forme di responsabilità, che la giurisprudenza contabile è spesso pervenuta a quantificare il danno all’immagine nel doppio della tangente percepita dal reo[9], criterio presuntivo poi fatto proprio dal legislatore con la legge n. 190/2012 (c.d. legge Severino), di cui comma 62 dell’art. 1, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, che introduce all’art. 2 della legge n. 20 del 1994, dopo il comma 1 quinquies, i commi:
- 1 sexies: «Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente» (c.d. forfettizzazione del danno d’immagine)[10];
- 1 septies: «Nei giudizi di responsabilità aventi ad oggetto atti o fatti di cui al comma 1-sexies, il sequestro conservativo di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, è concesso in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale».
La norma, introdotta dal comma 62, dell’art. 1, della legge n. 190/2012, secondo la prevalente giurisprudenza, ha una valenza sostanziale e non processuale, in quanto introduttiva di una presunzione iuris tantum in ordine alla quantificazione del danno arrecato al pubblico erario, e, pertanto, vada applicata alle sole fattispecie realizzatesi dopo l’entrata in vigore della cit. legge: il nuovo criterio di liquidazione assume carattere meramente indicativo per il Giudice in quanto suscettibile di essere superato dalla prova contraria e dal limite intrinseco della norma stessa[11].
La giurisdizione erariale
La Corte accoglie parte delle richieste della procura, per i fatti ex actis, relative a condotte di particolare gravità, sia per il loro ontologico atteggiarsi sia per la posizione rivestita dal convenuto all’epoca dei fatti (vengono richiamate le imputazioni penali, la relativa sentenza, con relative intercettazioni telefoniche, soffermandosi sulle parti indicative del «mercimonio della sua funzione pubblica» dalle quali «si desume da questo atteggiamento di facile semplicità che egli ha, l’esistenza da parte sua di una lunga consuetudine a questa tipologia di vicende», con un evidente eccitazione del modus operandi infiltratosi nel decisore pubblico).
Il catalogo delle condotte
Il catalogo delle condotte antigiuridiche rimproverabili, penalmente rilevanti in presenza del “voluto” (ossia, la consapevolezza in senso psicologico, c.d. dolo)[12] e fonte irreversibile di danno erariale:
- permessa alterazione (un centinaio) delle operazioni doganali relative allo stesso prodotto, mediante l’utilizzo dello stesso codice, ovvero, di una voce più conveniente per l’interessato;
- riduzione dei controlli e mancate contestazioni, ovvero, evitando quelle attività dovute in relazione al proprio apporto attivo nell’eludere la legge (frutto di una esperienza trentennale sulla materia)[13];
- partecipazione alle riunioni degli esponenti della consorteria mafiosa, con promozione dell’allargamento del sodalizio entro il sistema economico territoriale, con la messa stabile disposizione delle prerogative professionali e amicali per il perseguimento degli interessi del gruppo criminoso;
- truffa ed estorsione nei confronti di società, millantando agevolazioni presso gli ambienti della PA;
- favorito atti contrari ai doveri d’ufficio, mediante il pagamento di quanto dovuto in misura inferiore a quello prescritto dalla legge (sdoganando merce senza alcun visto), ovvero indicando merce diversa da quella effettiva, con documentazione falsificata, arrecando un illecito vantaggio a terzi (e mancati introiti riconducibile alle operazioni doganali).
Le diverse responsabilità erariali
La Corte, dal quadro probatorio, determina:
- la condanna, definendo il “danno patrimoniale diretto” corrispondente all’omesso introito, da parte dell’Agenzia delle Dogane, dei dazi riconducibili all’operazione, compiuta alla luce delle precise indicazioni fornite ai soggetti interessati, che ne hanno incassato il correlato pretium sceleris;
- sussistente, altresì, il “danno da disservizio” che concepito quale danno, pur non patrimoniale (ferma la valenza del criterio, per la ratio che sottende, anche in relazione a quello patrimoniale), quale «categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate»[14];
- questa categoria di danno (“danno da disservizio in senso lato”) dovrebbe essere parametrata dalle spese sostenute dalla PA per l’organizzazione e lo svolgimento dell’attività amministrativa e a quelle impiegate ai fini degli accertamenti espletati per far emergere la condotta illecita, da ricomprendere i costi della necessaria riorganizzazione dei servizi incisi dal comportamento, mentre il “danno da interruzione del nesso sinallagmatico” dovrebbe essere identificato nel pregiudizio corrispondente alla retribuzione indebitamente corrisposta (nel periodo considerato);
- queste due ultime voci risarcitorie non possono essere meramente reiterative, allo scopo – di notevole rilevanza ordinamentale – di ovviare a ipotesi di overcompensation, ritenendole non sovrapponibili[15], e non per questo, in considerazione della loro significativa prossimità possono essere considerate nella loro unitarietà[16], sia allo scopo di rispettare appieno gli imperativi di proporzionalità e ragionevolezza del risarcimento[17];
- si afferma, dunque, una categoria di “danno da disservizio”, sintesi di contegni disfunzionali (da provarsi in forza di peculiari figure sintomatiche, come nel caso di specie), rimanendo fermo l’orientamento che identifica questa categoria laddove l’azione pubblica non raggiunga, sotto il profilo quantitativo e/o qualitativo, quelle utilità o risultati che ordinariamente possono essere attesi dall’impiego di determinate risorse, posto che il disservizio determina uno spreco delle risorse stesse, negativamente incidendo su efficienza, efficacia e produttività della Pubblica Amministrazione in termini di maggiori costi per il personale e risorse economiche impiegate[18];
- sotto un altro profilo, la retribuzione lorda percepita dall’agente, nei limiti della prova ex actis della “inutilità”, “dispersione” e “distrazione” della risorsa finanziaria[19], da includere sicuramente le attività “extraistituzionali” indebite a favore di terzi compiute nel corso dello svolgimento del servizio, seguendo un criterio per la determinazione percentuale (della retribuzione lorda), secondo il canone di cui all’art. 1226, Valutazione equitativa del danno, cod. civ., onde renderla proporzionale e ragionevole[20];
- di converso, analoghi canoni devono essere applicati con riferimento al “danno da disservizio” in senso lato, da rideterminarsi, anche alla stregua delle gravi, precise e concordanti presunzioni emergenti agli atti (ex 2727 e 2729 cod. civ.): vi è la prova provata.
Esaurito il giudizio sulla qualificazione del danno e la sua gradualità nel quantum addebitabile, il giudice erariale passa ad un’altra componente del danno erariale, quella del danno da tangente.
Danno da tangente
Diversamente, non viene riconosciuto il “danno da tangente”, dovendo ritenere che a fondare l’addebito erariale non sia in sé l’illecita percezione di denaro (rilevante ai fini della contestazione delle correlate fattispecie criminose e, comunque, necessaria anche nell’ottica dell’addebito contabile), ma la sola percezione contra legem che si risolva in un pregiudizio certo alle casse erariali da dimostrarsi concretamente, non potendo supplire a tale mancanza di “onere della prova” il giudice contabile[21];
- pare giusto, rammentare che il danno da tangente (un c.d. costo occulto), anche quando non costituisce danno per un “prezzo” maggiorato pagato dall’Amministrazione in ragione di appalti o servizi, determina comunque un complessivo e generale danno connesso ai benefici illegittimi, poiché la tangente è una dazione che può ritenersi “sinallagmatica” anche se il percettore di essa dà in cambio non suoi beni, ma beni pubblici economicamente valutabili[22];
- in termini più esplicativi, l’indebita dazione (rilevando che la stessa è stata incassata) deve riflettersi (deve spalmarsi, nel senso che viene traslata sul prezzo del bene o del servizio della PA, alterando i regolari rapporti tra concorrenti/operatori economici)[23] in un maggior costo o in una minore entrata per l’Amministrazione[24], da dimostrarsi puntualmente non costituendo in re ipsa danno, posto che se la tangente consente di presumere l’esistenza di un nocumento per l’erario, la stessa non è automatica fonte di danno, né permette di ritenere sottesi o impliciti tutti gli altri elementi costitutivi dell’addebito erariale: deve erigersi la prova effettiva del pregiudizio recato alla PA, insieme a quella degli altri elementi costitutivi della responsabilità amministrativa[25];
- la Corte, tiene a precisare che la somma corrisposta (la tangente) non si è tradotta, per la PA, in alcuna effettiva deminutio patrimonii, rispetto alla quale difetta ogni elemento di prova, neppure sotto il profilo eziologico (il nesso) strumentale alla causazione del contegno illecito: «il fatto in sé della tangente non assorbe la prova del danno né del nesso di occasionalità necessaria, parimenti indefettibile ai fini dell’addebito contabile».
In definitiva, la condanna al risarcimento si risolve a titolo di danno patrimoniale in senso stretto e a titolo di danno da disservizio complessivamente inteso, rivalutazione inclusa, con conversione in pignoramento del sequestro conservativo, escludendo il danno da tangente.
Corruzione ed esigenze probatorie erariali
La sentenza nella sua estesa esposizione e requisitoria, mostra il bisogno di anteporre una serie di presidi per contrastare condotte illecite, sia sotto il profilo del rafforzamento delle misure di prevenzione della corruzione, che dell’esigenza indilazionabile di valutare e assicurare la rotazione del personale (o la segregazione delle funzioni) come misura che possa recidere malsane relazioni tra PA e terzi.
Strumenti di per sé non sufficienti quando le “interessenze” governano una molteplicità di ambienti lavorativi, quando la c.d. pervasività delle “mafie” opera ardentemente nel sistema economico e territoriale, quando il soggetto privato viene coinvolto, inserendosi in un “sistema”[26] nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della “tangente”, sotto le sue molteplici dimensioni, sia costante, mancando completamente lo stato di soggezione del privato, che tende ad assicurarsi vantaggi illeciti, approfittando dei meccanismi criminosi e divenendo anch’egli protagonista dell’“organigramma”[27], figurando che nonostante una moltitudine di norme e di PNA il fenomeno non arretra, pur in presenza di un indice (CPI) in crescita[28].
Nel quadro di una molteplicità di condotte corruttive, accertate in sede penale, non vi è stata prova – in sede erariale – del “danno da tangente”, dovendo dimostrare gli effetti negativi prodotti nella PA (il collegamento diretto, semplificando tra dazione e maggiori costi sostenuti) mostrando una diversa valutazione dei fatti nelle due giurisdizioni (le prove formatesi nel giudizio penale possono essere acquisite nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile per essere oggetto di valutazione del giudice, anche diversa giacché nel giudizio erariale vanno valutate tutte le prove addotte dall’attore ivi compresi gli elementi desunti dal giudizio penale)[29], operando su piani differenti: una (quella penale) si occupa di accertare il reato, l’altra (quella erariale) si occupa di accertare gli effetti sulla PA dell’illegittima acquisizione del danaro (o altre utilità), escludendo il mero binomio “tangente e danno” (non può essere presunto) dovendo rendere prova in maniera certa (il cit. aumento del prezzo del lavoro o diminuita entrata) non essendo rilevante la riscossione ex se[30].
In breve, non è sufficiente portare all’evidenza il pactum sceleris, avente ad oggetto lo scambio tra “favori” e la dazione della tangente, servendo un quid ulteriore nell’appalesare (rendere conto) tale incidenza sul maggior costo amministrativo sostenuto o sulla minore entrata dovuta.
(Pubblicato, dirittodeiservizipubblici.it, 21 ottobre 2022)
[1] Cfr. Corte cost., 15 dicembre 2010, n. 355, ove è stato chiarito che l’art. 97 Cost. «impone la costruzione, sul piano legislativo, di un modello di pubblica amministrazione che ispiri costantemente la sua azione al rispetto dei principi generali di efficacia, efficienza e imparzialità. Si tratta di regole che conformano, all’“interno”, le modalità di svolgimento dell’attività amministrativa. È indubbio come sussista una stretta connessione tra la tutela dell’immagine della pubblica amministrazione e il rispetto del suddetto precetto costituzionale. Può ritenersi, infatti, che l’autorità pubblica sia titolare di un diritto “personale” rappresentato dall’immagine che i consociati abbiano delle modalità di azione conforme ai canoni del buon andamento e dell’imparzialità. Tale relazione tendenzialmente esistente tra le regole “interne”, improntate al rispetto dei predetti canoni, e la proiezione “esterna” di esse, giustifica il riconoscimento, in capo all’amministrazione, di una tutela risarcitoria».
[2] La responsabilità amministrativa si sostanzia nell’esistenza di una relazione funzionale tra l’autore dell’illecito e l’ente pubblico danneggiato, che è configurabile non solo in presenza di un rapporto organico, ma anche quando sia ravvisabile un rapporto di servizio in senso lato, Cass. civ., SS.UU., 21 maggio 2014, n. 11229.
[3] Su questo “genere” di mafia, si rinvia al progetto ANAC, Misurazione del rischio di corruzione a livello territoriale e promozione della trasparenza, anticorruzione.it/il-progetto, dove alla sez. “Indicatori di rischio a livello comunale”, sono formulati una serie di indicatori di rischio associati al verificarsi di episodi di corruzione di una singola Amministrazione. Si comprende che il “Rischio di contagio” (punto 1), misura la frequenza dei casi di corruzione nei comuni limitrofi appartenenti alla stessa provincia, correlati alla teoria di riferimento del c.d. “contagion effect”, secondo la quale un dato fenomeno sociale (nel nostro caso la corruzione) si diffonde in maniera epidemica in un certo contesto spaziale: «I test statistici condotti hanno confermato un’associazione significativa tra la diffusione della corruzione nei comuni vicini e il verificarsi di casi di corruzione nei comuni target». Al punto 2) il “Scioglimento per mafia”, dove l’indicatore segnala una situazione di degrado istituzionale (infiltrazione mafiosa) misurato attraverso la rilevazione della circostanza che il comune sia stato interessato o abbia subito gli effetti di un provvedimento di scioglimento per mafia: «l’ipotesi esaminata è quella che l’infiltrazione mafiosa sia positivamente associata al verificarsi di episodi di corruzione nell’amministrazione oggetto del provvedimento di scioglimento». È stato rilevato anche che «maggiore è la popolazione residente, più articolata e complessa è la gestione amministrativa dell’ente comunale. L’ipotesi di partenza è che ad una maggiore dimensione e complessità organizzativa sia associato un maggior rischio di corruzione», precisando, altresì, che «a livelli maggiori di reddito (qualità delle istituzioni) si associ un minor livello (e quindi rischio) di corruzione».
[4] Cass. pen., sez. VI, 26 maggio 2021, n. 33251.
[5] Cass. pen, sez. VI, sentenza n. 7020/2021.
[6] La responsabilità amministrativa o erariale è connotata dalla combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, Corte Cost., sentenze n. 355 del 2010, n. 453 e n. 371 del 1998, ciò che giustifica anche la possibilità di configurare la stessa solo in presenza di una condotta, commissiva o omissiva, imputabile al pubblico agente per dolo o colpa grave, al fine precipuo di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità «ragione di stimolo, e non di disincentivo», Corte Cost, sentenza n. 371 del 1998.
[7] Danno da corruzione, calcolato nel valore della tangente percepita che si configura come un danno alla PA in termini diretti poiché si deve presumere che tale maggior importo venga poi recuperato sul valore del contratto e si trasformi, quindi, in un maggior costo per l’Amministrazione, Corte conti, sez. I Appello, sentenza n. 102/2002 e sez. giur. Lombardia, sentenza n. 376/2006.
[8] Il “danno all’immagine” ed “al prestigio” della Pubblica Amministrazione – riconducibile alla categoria del danno “non patrimoniale”, ex art. 2059 cod. civ. – consiste nella diminuita reputazione dell’ente presso i consociati, o presso una certa platea di consociati, conseguente alla lesione di diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione all’art. 2 e all’art. 97 per la PA nel suo complesso, Corte conti, sez. giur. Liguria, 30 dicembre 2014, n. 153. Si traduce, infatti, in un’alterazione dell’identità della PA e, più ancora, nell’apparire di una sua immagine negativa, in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile e non responsabilizzata, Corte conti, sez. Riunite, 23 aprile 2003, n. 10/QM.
[9] Corte conti, sez. giur. Campania, 24 marzo 2017, n. 113.
[10] Questa presunzione comporta l’equivalenza del danno erariale al doppio delle somme di denaro o di altri valori illecitamente percepiti, Corte conti, sez. II Appello, 25 luglio 2013, n. 489.
[11] Cfr. Corte conti, sez. giur. Appello Regione siciliana, 6 dicembre 2016, n. 192.
[12] In ordine all’elemento psicologico, l’accertamento della realizzazione del delitto di corruzione, ex art. 319 cod. pen., implica di riflesso l’acclaramento del dolo nell’esecuzione delle azioni produttive di danno in sede erariale, Corte conti, sez. giur. Lombardia, 27 luglio 2015, n. 135.
[13] Il comportamento omissivo dell’agente che pranzava presso il ristorante senza effettuare i controlli sul pagamento del canone di occupazione, va configurato come reato di abuso d’ufficio, in quanto dalla condotta omissiva del lavoratore e conseguito un vantaggio, non solo per sé medesimo, ma anche per il titolare dell’esercizio pubblico, che ha potuto accogliere i clienti all’aperto senza la dovuta autorizzazione, evitando di pagare i canoni di occupazione di suolo pubblico e comunque le sanzioni per l’occupazione abusiva, Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2020, n. 20306.
[14] Cass. civ., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972, spec. § 3.13.
[15] Cfr. Cass. civ., SS.UU., 5 luglio 2017, n. 16601, § 7.
[16] Cass. civ., SS. UU., 11 novembre 2008, n. 26972.
[17] Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), 15 novembre 2016, ric. nn. 24130/11 e 29758/11, A and B v. Norway – nel suo ideale dialogo con gli indirizzi della Corte di giustizia dell’Unione Europea – C. Giust., sentenza 20 marzo 2018, C-524/15, Menci.
[18] Corte conti, sez. giur. Lombardia, sentenza n. 191/2011; sez. giur. Lazio, sentenza n. 80/2015; sez. giur. Emilia-Romagna, sentenza n. 90/2020; sul danno da disservizio come «categoria di sintesi di una serie di condotte colpevolmente disfunzionali che incidono sulla qualità del servizio», Corte conti, sez. III App., sentenza n. 348/2021. Si deve ritenere che rientrino i costi sostenuti per il recupero ed il ripristino della legalità, del servizio o della funzione, Corte conti, sez. III App., sentenza n. 348/2021, le spese non correlate all’ordinario svolgimento dell’auditing interno funzionali all’accertamento dei rilevanti fatti Corte conti, sez. II App., sentenza n. 165/2020.
[19] Corte conti, sez. II App., sentenza n. 406/2019 e sez. III App., sentenza n. 348/2021.
[20] Cfr. Corte conti, sez. giur. Umbria, sentenza n. 69/2021. Il giudice dovrà valutare il danno in via equitativa, consistente nella possibilità di ricorrere, anche d’ufficio, a criteri equitativi per raggiungere la prova dell’ammontare del danno risarcibile, integrando così le risultanze processuali che siano insufficienti a detto scopo ed assolvendo l’onere di fornire l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale ha adottato i criteri stessi, Cass. civ., sez. VI – 1, ord., 31 gennaio 2022, n. 2824.
[21] Cfr. Corte conti, sez. giur. Lazio, sentenza n. 458/2020 e n. 83/2018. A seguito di sentenza penale di condanna, divenuta irrevocabile ed avente ad oggetto fattispecie di corruzione, spetta alla Procura della Corte dei Conti il potere di accertare il verificarsi di un danno erariale nei confronti della Pubblica Amministrazione, rispetto alle possibili tipologie di danno da tangente, da disservizio, da violazione del sinallagma lavoro/retribuzione e danno all’immagine, dovendo rigorosamente assolvere l’onere della prova degli elementi della responsabilità, venendo meno una presunta affermazione di sussistenza mediante il semplice richiamo a mere nozioni astratte di tali categorie, Corte conti, sez. giur. Lombardia, 7 maggio 2021, n. 160.
[22] Corte conti, sez. giur. Lazio, sentenza n. 21/2018 e 14 ottobre 2019, n. 518.
[23] Vi sono possibili riflessi sulla qualità del servizio, per un importo almeno equivalente al valore dell’illecita dazione, sulla base del principio basilare per cui una gestione imprenditoriale deve essere ontologicamente finalizzata al conseguimento dell’utile economico, Corte conti, sez. III Appello, sentenza n. 642/2016.
[24] La dannosità della tangente si atteggia similarmente alla traslazione in materia tributaria, trasferendosi dal soggetto che effettua le dazioni, ontologicamente equiparabili a un’imposta, al soggetto che ne sopporta in definitiva il peso: l’Amministrazione e, in via derivata, l’erario, Corte conti, sez. giur. Lazio, 22 marzo 2011, n. 474.
[25] Corte conti, sez. giur. Lazio, sentenza n. 56/2020.
[26] Il riferimento divulgativo può rinvenirsi in una molteplicità di ambienti, dove «le lobby hanno tutto l’interesse a infilarsi nel sistema per raggiungere i propri obiettivi economici o politici senza troppi problemi», SALLUSTI – PALAMARA, Lobby & Logge. Le cupole occulte che controllano “Il Sistema” e divorano l’Italia, Milano, 2022, pag. 85.
[27] Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2017, n. 2695.
[28] L’indice di Percezione della Corruzione (CPI) di Transparency International che misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica in numerosi Paesi di tutto il mondo, «l’Italia ha fatto importanti passi avanti. Lo dico con orgoglio, ma anche con responsabilità, perché questo ci impegna a proseguire il cammino… L’obiettivo della trasparenza deve essere prioritario per il Paese, specie in questa fase importante di realizzazione dei progetti del Pnrr… è l’elemento chiave per far sì che la ripresa dell’Italia sia duratura, e non si fermi al 2026. La prevenzione della corruzione va coniugata con efficienza della pubblica amministrazione», Presidente ANAC, Percezione della corruzione: l’Italia migliora di dieci posizioni, 25 gennaio 2022, anticorruzione.it/-/percezione-della-corruzione-in-italia-e-nel-mondo-1.
[29] Gli elementi raccolti nel procedimento penale possono essere oggetto di autonoma valutazione nel giudizio contabile, così come tutti gli altri elementi di prova di cui il giudice dispone, Corte conti, sez. giur., Lombardia, sentenza n. 49/2015 e sez. giur. Liguria, sentenza n. 857/2003.
[30] Vedi, DE PAOLIS, Il danno da tangente nella giurisprudenza della Corte dei conti, Azienditalia, 2022, n. 7, pag. 1322, ove si analizzano gli orientamenti sul punto, «se è vero che, secondo l’id quod plerumque accidit, con l’avvenuto pagamento della tangente si presume un danno pubblico per un implicito costo patrimoniale occulto almeno uguale all’importo di essa, questo criterio non può ritenersi automaticamente applicabile», dovendo concretamente dimostrare: serve la prova.