Nelle politiche di prevenzione del rischio corruttivo, e più in generale, nell’esercizio di una funzione pubblica, l’azione posta in essere, sia a livello istruttorio che decisorio, deve perseguire – senza limiti interni – l’interesse generale affinché l’agire neutro possa raggiungere lo scopo finalistico (rectius il bene comune) libero da condizionamenti: il potere discrezionale allo stato puro, assolvendo i canoni costituzionali di buon andamento e imparzialità (ex art. 97 Cost.).
Il conflitto di interesse si insinua in questo processo decisionale alterandone il percorso, immettendo una componente estranea (quella personale) alla comparazione dei fini (generali), indebolendo la linearità del processo dispositivo, entrando in contrasto con una posizione particolare che può astrattamente oscurare o limitare l’equilibrio psicologico, esitando nell’assolvere i compiti istituzionali in posizione di terzietà, aprendo la strada all’utilità individuale in danno all’interesse pubblico.
In evidenza, l’imparzialità è un primario valore giuridico, immesso a presidio della stessa credibilità degli uffici pubblici, posto che in assenza della fiducia dei cittadini, gli apparati burocratici non sarebbero in grado di conseguire in maniera adeguata, come loro dovere, gli obiettivi prefissati dal Legislatore, e il danno all’immagine tutela la lesione di questa credibilità e del prestigio dell’Amministrazione pubblica quando condotte illecite del pubblico dipendente incrinano la rappresentazione dell’immagine di questa come univocamente ispirata a criteri di buon andamento e corretta amministrazione delle risorse pubbliche, di cui all’art. 97 della Costituzione.
In questo senso, ai fini della sussistenza in capo al soggetto decidente dell’obbligo di astensione per incompatibilità è sufficiente che il medesimo sia portatore di interessi personali anche soltanto potenzialmente confliggenti o divergenti rispetto all’interesse generale affidato alle sue cure, risultando ininfluente che, nel corso del procedimento, il detto soggetto abbia proceduto in modo imparziale, ovvero che non sussista prova del condizionamento eventualmente subito in sede di adozione delle proprie determinazioni dalla partecipazione di un soggetto portatore di interessi personali diversi (la cd. prova di resistenza), atteso che l’obbligo di astensione per incompatibilità è espressione del principio generale di imparzialità e di trasparenza al quale ogni dipendente (o incaricato) della P.A. deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione.
Si tratta di una soglia anticipata di tutela, che a differenza degli altri vizi, pone la violazione del principio di imparzialità in una prospettazione che non richiede, la “consumazione” dell’illegittimità e nemmeno la dimostrazione pratica della sussistenza di un “elemento sintomatico” del vizio, come diversamente è necessario e sufficiente per l’eccesso di potere.
Ciò posto, la terza sezione del T.A.R. Lombardia – Milano, con ordinanza n. 1486 del 23 novembre 2016 interviene sospendendo l’attività posta in essere da una commissione concorsuale, disponendo in via cautelare la nomina di una diversa, in presenza di un Presidente della commissione in “conflitto di interessi” per aver espresso giudizi personali, in contrasto con i divieti imposti dall’art. 7 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
Nel caso di specie, viene sospeso il provvedimento con il quale si dispone e si pubblica l’elenco dei candidati ammessi a sostenere la prova orale di un concorso indetto dal MIUR e si dispone la nomina di una nuova Commissione giudicatrice, con conseguente ripetizione delle prove scelte dalla Commissione o della sola correzione negli altri casi.
La questione posta all’attenzione del giudice di prime cure, attiene alle dichiarazioni rese dal Presidente della Commissione sulla stampa, ove vengono espressi “giudizi negativi relativamente allo svolgimento del concorso in quanto le nuove assunzioni porterebbero alla perdita di un patrimonio di competenze e di esperienze per effetto di un’improvvisa e radicale sostituzione della maggioranza degli insegnanti in servizio”.
Tali pubbliche affermazioni, annota il Tribunale, si pongono in contrasto con l’art. 7 del D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 secondo il quale per il dipendente pubblico esiste un dovere di astensione anche qualora decisioni o attività “possano coinvolgere interessi propri… oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale”.
È noto che la “frequentazione abituale” denota reciproci interessi di una certa “intensità” che impone l’obbligo di astensione, tale cioè da fare sorgere il comprovato “sospetto” che le parti operano in “comunanza di interessi”: laddove si è in presenza di legami idonei a radicare il sospetto di parzialità, non è necessario comprovare che questi si possano concretizzare in un effettivo favore verso il candidato, essendo sufficiente a radicare l’incompatibilità anche il “solo pericolo” di una compromissione dell’imparzialità di giudizio.
Si osserva, infatti, in sede pretoria, che il dovere di astensione è funzionale al principio di imparzialità della funzione pubblica che ha rilievo costituzionale ex art. 97 Cost., che deve orientare l’interprete ad un’applicazione ragionevole della disposizione di cui all’art. 51 c.p.c., rifuggendo da orientamenti formalistici e riconoscendo invece il giusto valore a quelle situazioni sostanziali suscettibili in concreto di riflettersi negativamente sull’andamento del procedimento per fatti oggettivi di anche solo potenziale compromissione dell’imparzialità; oppure, tali da suscitare ragionevoli e non meramente strumentali dubbi sulla percepibilità effettiva dell’imparzialità di giudizio nei destinatari dell’attività amministrativa e nei terzi, circostanza che il perimetro dell’art. 51 c.p.c. è parimenti volto a presidiare.
La terza sezione del T.A.R. Lombardia – Milano, nella conclusione dell’ordinanza motiva che “l’interesse alla stabilizzazione del personale insegnante applicato non abilitato si ponga in contrasto con il sereno svolgimento del concorso per l’assunzione del personale abilitato esterno”, involgendo un evidente contrasto interno (di un componente) con l’operato imparziale della Commissione, precludendo l’esercizio della funzione nel suo concreto agire: non si sofferma, quindi, sull’analisi della singola posizione rispetto all’organo, ma la presenza del conflitto di interesse inficia ex se l’attività, ordinando la nomina di una nuova Commissione giudicatrice.
Nella sua estensione normativa e relazionale, come interpretato dagli arresti giurisprudenziali, persegue lo scopo di garantire e tutelare l’esercizio concreto dell’azione amministrativa spoglia da ogni condizionamento e/o legame e/o pressione esterna, libera da lacci e lacciuoli che possano deviare dal fine: un’azione amministrativa posta in essere da soggetti indipendenti e terzi, liberi da pregiudizi e/o preconcetti, dovendo affermare che ogni alterazione alla serenità individuale incide non solo sulla singola condotta umana ma quella dell’intero organo deliberante ed esige l’astensione, pena il travolgimento dell’intera procedura.
(Estratto, Sospensione e nomina di una nuova commissione concorsuale in presenza di conflitto di interessi, Risorse Umane, 2017, n. 1)