La quinta sez. del Cons. Stato, con la sentenza 14 gennaio 2019, n. 283 annota – sul piano sostanziale – gli obblighi di trasparenza e gli effetti del conflitto di interessi sulla nomina della commissione di gara: l’assenza del conflitto di interessi non inficia l’operato, anche nei casi di mancato controllo da parte del RUP in sede di nomina.
È noto che, ai sensi della seconda parte del comma 9, dell’art. 77 del D.Lgs. n. 50/2016, «le stazioni appaltanti, prima del conferimento dell’incarico, accertano l’insussistenza delle cause ostative alla nomina a componente della commissione giudicatrice di cui ai commi 4, 5 e 6 del presente articolo, all’articolo 35 bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 e all’articolo 42 del presente codice».
Tale attività istruttoria è finalizzata ad avere una commissione di gara composta di soggetti competenti, privi di impedimenti di natura giuridica (ovvero, che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale), senza conflitti di interessi, avendo lo scopo di valorizzare la neutralità del processo decisionale.
La ratio legis è volta ad evitare la partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti, interni o esterni, alla stazione appaltante che abbiano avuto un ruolo significativo, tecnico o amministrativo, nella predisposizione degli atti di gara, o che possano direttamente o indirettamente condizionare le scelte per la presenza di interessi, ovvero, più in generale, minare l’imparzialità dell’attività valutativa delle offerte.
In effetti, l’incompatibilità sussiste quando è dimostrato in concreto la presenza di una causa di impedimento incidente nello svolgimento della determinata procedura di gara, con il connesso obbligo di segnalazione e sostituzione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 2018, n. 6299): il principio di imparzialità va declinato nel senso di garantire loro la c.d. virgin mind, ossia la totale mancanza di un pregiudizio nei riguardi dei partecipanti alla gara stessa o la presenza di un interesse (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 29 giugno 2017, n. 1074).
Invero, si potrebbe anche affermare (anche se per il momento l’obbligo è stato rinviato, vedi Comunicato ANAC 9 gennaio 2019, «Differimento dell’operatività dell’Albo dei Commissari di gara di cui all’articolo 78 del Decreto Legislativo 19 aprile 2016, n. 50» al 15 aprile 2019) che l’istituzione dell’Albo dei commissari presso l’ANAC risponde sia all’esigenza della non sovrapponibilità fra figure amministrative e figure tecniche che all’assenza di coinvolgimento nell’ambito della stessa procedura di gara, precludendo la presenza del conflitto di interessi (ambientali).
La neutralità, a ben vedere, risulta un principio generale dell’ordinamento di settore, applicabile naturalmente anche ai concorsi pubblici, dove ogni commissario deve anche essere libero di svolgere in autonomia le proprie valutazioni, il che sarebbe fortemente ostacolato dal fatto che uno dei membri possa esercitare, anche inconsciamente, una qualche “pressione” su uno o più degli altri componenti, anche solo per rapporti di gerarchia a prescindere dal fatto che in concreto non sia fornita la prova di uno sviamento di potere (cfr. T.A.R. Marche, Ancona, sez. I, 6 febbraio 2017, n. 108).
L’accertamento della presenza del conflitto di interessi comporta la caducazione della nomina dei commissari di gara incompatibili; un caso di travolgimento per illegittimità derivata di tutti gli atti successivi della procedura di gara fino all’affidamento del servizio (Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 2018, n. 6299).
Ciò posto, la quinta sez., dei Giudici di Palazzo Spada, con la sentenza n. 283/2019, entra nel merito di un presunto vizio di «omessa pubblicazione dei curricula dei commissari», nonché «delle dichiarazioni di assenza di cause di incompatibilità», che portano alla violazione di una serie di norme:
- la violazione dell’art. 29 del D.Lgs. n. 50 del 2016 e del D.Lgs. n. 33 del 2013 (c.d. decreto Trasparenza);
- l’impossibilità di verificare le effettive competenze dei commissari chiamati in qualità di esperti a partecipare alla commissione, ai sensi dell’art. 77, comma 3, del D.Lgs. n. 50/2016;
- l’esistenza di cause di incompatibilità, ai sensi dell’art. 77, comma 9, del Codice dei contratti pubblici, nonché di conflitti di interesse, ai sensi dell’art. 42 del cit. Codice;
- l’esistenza ancora di cause di inconferibilità, di cui all’art. 35 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 77, comma 6, del cit. Codice e 51 cod. proc. civ.
I ricorrenti, dal quadro normativo, deducono l’illegittimità dell’intera procedura di gara: gli atti sarebbero nulli per violazione dell’art. 1, comma 15, della Legge n. 190 del 2012 e degli artt. 19 «Bandi di concorso» e 23 «Obblighi di pubblicazione concernenti i provvedimenti amministrativi» del D.Lgs. n. 33 del 2013, i quali fisserebbero obblighi di pubblicazione che sarebbero elemento essenziale degli atti della P.A., nel caso specifico, del provvedimento di nomina della commissione.
Dalle lamentate censure,. il Consiglio di Stato nel pronunciamento perviene a statuire che il motivo risulta infondato atteso che nessuna delle forme di pubblicità richieste dalla legge, ai diversi fini perseguiti dalle norme in tema di trasparenza nella P.A. costituisce “elemento essenziale” dell’atto di nomina dei commissari di gara, la cui mancanza –analogamente alla violazione degli obblighi di forma prescritti appunto per gli atti formali- ne causi l’illegittimità o, addirittura, la nullità.
Si deve annotare sul punto, che ai fini della piena conoscenza e impugnabilità degli atti (per proporre il ricorso ex art. 120, comma 2 bis, cod. proc. Amm.) deve farsi riferimento esclusivo alla data di pubblicazione sul profilo del committente dei provvedimenti relativi alla fase di ammissione, ai sensi dell’art. 29 del Codice dei contratti pubblici (Cons. Stato, sez. V, 21 novembre 2018, n. 6574): con la pubblicazione si perfeziona il segmento procedimentale delle ammissioni la cui anticipata ed autonoma impugnabilità rispetto alla successiva fase della aggiudicazione postula la sincronicità dei tempi delle differenti azioni giurisdizionali che i diversi partecipanti possono esperire, la quale può essere perseguita solo a partire dall’individuazione di un dies a quo per l’impugnazione dei provvedimenti di ammissione/esclusione uguale per tutti (cfr. T.A.R. Toscana, sez. I, 17 gennaio 2019, n. 103).
Emerge con immediatezza, nella sua essenzialità di giudizio, che la mancata pubblicazione nel profilo del Committente, nella sezione «Amministrazione trasparente», della stazione appaltante non comporta l’illegittimità o la nullità della nomina, rectius delle attività della commissione di gara.
Si aggiunge, inoltre, che la conoscenza del provvedimento di nomina della commissione di gara veniva comunque assicurata mediante la pubblicazione sull’Albo pretorio, rilevando che la funzione di trasparenza è stata in ogni caso rispettata, se lo scopo del c.d. decreto Trasparenza tende ad assolvere tale funzione conoscitiva.
Infatti, chiarisce subito il giudice d’Appello, che la procedura di gara può essere inficiata soltanto dall’effettiva esistenza, in concreto, delle situazioni di incompatibilità o di conflitto di interessi che l’adempimento dei detti obblighi di trasparenza e di pubblicità mira soltanto a prevenire, favorendo la conoscenza (o conoscibilità) delle diverse situazioni ivi considerate.
In termini diversi, si deve valutare – caso per caso – i fatti e assegnare alla trasparenza una funzione primaria di conoscenza che non può, qualora non prevista ai fini dell’efficacia (vedi, ad art. 15, comma 2, 15 bis, comma 2, 26, comma 3 e 39, comma 3 del D.Lgs. n. 33/2013), giungere al punto di minare la validità (ergo efficacia) degli atti: ciò che interessa è l’assenza effettiva di cause di impedimento o conflitti di interessi non la mancata pubblicazione degli atti, atteso che la verifica può comunque essere stata effettuata, anche se manca la pubblicazione dei curricula.
Allora, si deve affermare, in un ambito più esteso e generale dell’azione amministrativa, che se in una fase di natura istruttoria dovesse mancare ex ante, per qualche ragione, una doverosa verifica sulla presenza del conflitto di interessi e/o di cause di incompatibilità e/o inconferibilità è indispensabile, ex post, accertare l’effettiva e concreta presenza di una causa che imporrebbe l’astensione, e qualora l’esito dell’accertamento risultasse negativo, l’approdo non potrà inficiare il procedimento amministrativo posto in essere dal soggetto (il componente nominato o l’incaricato), e non sarà necessario adottare alcun atto trattandosi di una mera irregolarità di natura amministrativa, senza riflessi di natura procedimentali o effetti sugli atti adottati.
A margine, va ricordato che ad integrare la prova dell’esistenza di una situazione di incompatibilità di un membro di una commissione di gara per lo svolgimento non è sufficiente il mero sospetto di una possibile situazione ostativa: non può desumersi ex se: sussiste un onere di prova che grava sulla parte che deduce la condizione di incompatibilità o il conflitto di interessi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2018, n. 6082).