L’art. 38, comma 2 prima parte, del d.lgs. n. 267/2000 dispone: «Il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento, approvato a maggioranza assoluta, che prevede, in particolare, le modalità per la convocazione e per la presentazione e la discussione delle proposte».
Nella sua essenzialità e chiarezza espositiva la norma rinvia al regolamento del consiglio comunale le modalità di convocazione, rectius i termini e la decorrenza degli avvisi di convocazione per celebrare la seduta (nelle sedute ordinarie: i cinque giorni):
- dies a quo: il giorno dal quale decorre, ovvero a partire dal quale si computa un determinato termine (giorno a partire dal quale decorrono i termini, dies a quo non computatur in termine), di regola non viene contato per calcolare un determinato termine, nel senso che il giorno da cui un termine decorre non è computato, ossia il termine in giorni si conta a cominciare da quello successivo a quello di inizio (cinque giorni liberi, non computando il giorno dell’invio e quello della seduta: il consiglio si può svolgere dopo sette giorni dall’invio, ossia il settimo giorno).
- dies ad quem: il giorno dal quale spira il termine (dies ad quem computatur), ovvero scadono i termini nel senso che il giorno finale si computa (cinque giorni, computando il giorno di invio e di scadenza: il consiglio si può svolgere al quinto giorno dall’invio).
Il termine è, altresì, rilevante anche ai fini del deposito della documentazione visto che la violazione incide direttamente sui diritti dei consiglieri al consapevole esercizio della funzione[1]: un insanabile vulnus alle loro prerogative: un’ipotesi idonea a legittimare i consiglieri a ricorrere contro i provvedimenti adottati solo nell’ipotesi di violazione del loro ius ad officium[2].
I consiglieri comunali hanno un interesse protetto e differenziato all’impugnazione delle deliberazioni dell’ente del quale fanno parte, salvo il caso in cui venga lesa in modo diretto ed immediato la propria sfera giuridica per effetto di atti direttamente incidenti sul diritto all’ufficio o sullo status ad essi spettante, che compromettano il corretto esercizio del loro mandato, come nel caso di erronee modalità di convocazione dell’organo, violazione dell’ordine del giorno, inosservanza del termine della documentazione necessaria per poter consapevolmente deliberare: del resto il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organo di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive[3].
Si devono stabilire – in sede regolamentare – i termini di decorrenza al fine del computo dei giorni, includendo o meno il giorno della convocazione e quello della seduta, assicurando i c.d. giorni liberi per intero o meno, rilevando che l’avviso di convocazione pur essendo notificato, non è completamente soggetto alle particolari regole previste per la notificazione degli atti giudiziari[4]:
- cinque giorni liberi, togliendo quello di convocazione e quello della seduta, l’avviso dovrà pervenire almeno sette giorni prima della seduta (ordinaria);
- tre giorni liberi, togliendo quello di convocazione e quello della seduta, l’avviso dovrà pervenire almeno cinque giorni prima della seduta (straordinaria);
- oppure, non computando solo quello di convocazione (sei o quattro).
Ciò posto, per quanto concerne il computo dei termini per la convocazione delle sedute (ordinarie o straordinarie) di tre e di cinque giorni, va rilevato che art. 125 del r.d. 4 febbraio 1915, n. 148 (abrogato), «Approvazione del nuovo testo unico della legge comunale e provinciale» stabiliva che «l’avviso per le sessioni ordinarie, con l’elenco degli oggetti da trattarsi, deve essere consegnato ai consiglieri almeno cinque giorni prima, e per le altre sessioni almeno tre giorni prima di quello stabilito per la prima adunanza. Tuttavia, nei casi d’urgenza, basta che l’avviso col relativo elenco sia consegnato 24 ore prima: ma in questo caso, quante volte la maggioranza dei consiglieri presenti lo richiegga, ogni deliberazione può essere differita al giorno seguente»[5].
Una prima lettura ammetterebbe che le sessioni ordinarie devono avvenire, ossia convocate, «almeno cinque giorni prima» della seduta da intendersi «fra cinque giorni dopo quello della consegna dell’avviso stesso», non computando quello della convocazione, mentre quello per le sedute in sessioni non ordinarie (alias tutte le altre che rientrano nelle sedute «straordinarie» con l’abbreviazione del tempo) il termine deve essere di «almeno tre giorni prima di quello stabilito» per la seduta: secondo questa impostazione i giorni dovrebbero essere interi, «non si possono computare né il giorno della consegna, né quello dell’adunanza»[6].
Nei casi d’urgenza il termine è di 24 ore prima della seduta, con un’indicazione che non lascia dubbi sul suo computo: la seduta si può tenere 24 ore dopo la convocazione.
Una lettura coordinata delle norme con l’articolo 40, «Convocazione della prima seduta del consiglio» del d.lgs. n. 267/2000 dove si stabilisce che «la prima seduta del consiglio comunale e provinciale deve essere convocata entro il termine perentorio di dieci giorni dalla proclamazione e deve tenersi entro il termine di dieci giorni dalla convocazione», fa propendere per un computo del termine che decorre dalla proclamazione, computando il giorno della stessa («entro … dalla») per la seduta non imponendo, tuttavia, precisi termini per la consegna della convocazione, ovvero che debbano esservi giorni liberi prima della data stabilita per l’adunanza[7].
La giurisprudenza ha formulato i seguenti orientamenti:
- i giorni definiti (tre) debbono essere liberi ed interi, cioè non si possono computare né il giorno della consegna dell’avviso di convocazione (che costituisce il dies a quo) né quello della adunanza (sicché si giunge a cinque giorni, ossia tre liberi), in aderenza con l’art. 416, «Costituzione del convenuto» del c.p.c. ove si stabilisce che «il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza»[8];
- qualora siano presenti giorni festivi da computare o meno nei termini, essi debbano essere inclusi nel computo dei giorni liberi ed interi e che la giurisprudenza ha ritenuto legittime tali disposizioni[9], salvo che la norma regolamentare non preveda diversamente, atteso che le disposizioni suddette traggono origine dall’art. 155, «Computo dei termini», del c.p.c., si dovrà ritenere applicabile tale norma processuale che al comma 3 dispone «i giorni festivi si computano nel termine»[10];
- il termine di tre giorni, di cui all’art. 125, del r.d. 4 febbraio 1915, n. 148, entro il quale gli avvisi di convocazione del consiglio comunale devono essere consegnati ai consiglieri in caso di sessioni straordinarie, deve essere calcolato partendo dal giorno successivo a quello iniziale e comprendendo quello finale (ovvero, quattro giorni)[11];
- in sostanza, nel silenzio della legge che qualifica come “libero” un determinato termine, devono trovare applicazione di principi generali sul computo dei termini riassunti nella formula dies a quo non computatur in termina, dies ad quem computatur[12];
- il computo dei giorni ai fini del termine di convocazione in mancanza di espressa deroga andrebbe effettuato, ai sensi degli artt. 1187, «Computo del termine», e 2963 «Computo dei termini di prescrizione», c.c. in modo da non contare il dies a quo e contare, invece, il dies ad quem, con conseguente tempestività delle convocazioni («l’avviso di convocazione per le adunanze deve essere consegnato ai consiglieri almeno cinque giorni prima della riunione»);
- tale ultima previsione non può che essere intesa nel senso che il termine di cinque giorni, stabilito per la consegna ai consiglieri dell’avviso di convocazione alle adunanze, è termine costituito da giorni liberi e interi, che devono interamente decorrere prima dello svolgimento dell’attività cui sono preordinati e tale da non comprendere né il giorno iniziale della convocazione né quello finale dell’adunanza, in conformità alla giurisprudenza che ha chiarito che ciò garantisce lo svolgimento con pienezza di funzioni del ruolo elettivo da parte del consigliere, garantendo effettiva e consapevole partecipazione ad ogni attività del consiglio[13].
Le considerazioni che precedono, in assenza di un dato regolamentare sulla decorrenza del termine di convocazione del consiglio comunale, si potrebbe graduare su tre diverse posizioni:
- una prima soluzione (più garante delle prerogative dei consiglieri e secondo le indicazioni della giurisprudenza), rende possibile la convocazione del consiglio nel termine ordinario di cinque giorni non computando quello di convocazione e quello della seduta, potendo svolgere il consiglio al settimo giorno, tale da considerare i “giorni liberi”, (sette per i cinque giorni ordinari), riflettendo una regola interpretativa prevista dal T.U. del 1915;
- l’alternativa alla precedente, porta la convocazione del consiglio nel termine ordinario di cinque giorni non computando quello di convocazione dies a quo (sei per i cinque giorni ordinari);
- una soluzione intermedia, mutuando in parte le indicazioni elencate e quelle dell’art. 1183, «Tempo dell’adempimento»,c., la decorrenza del termine non tiene in considerazione il giorno della convocazione, mentre si computa il giorno in cui scade il termine (dies ad quem): i giorni sono effettivi (non liberi), includono quello di convocazione e di seduta: cinque per i cinque giorni ordinari (secondo le regole della convocazione d’urgenza).
[1] Secondo la regola del raggiungimento dello scopo, ovvero la piena conoscenza della documentazione da parte dell’interessato in termini idonei per porre il consigliere nelle condizioni di esercitare le proprie prerogative partecipative, T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 9 gennaio 2018, n. 44.
[2] Cons. Stato, sez. V, 21 marzo 2012, n. 1610; 29 aprile 2010, n. 2457; sez. IV, 26 gennaio 2012, n. 351, 16 ottobre 2007, n. 5396.
[3] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 2010, n. 3130; sez. V, 15 dicembre 2005, n. 7122; 23 maggio 1994, n. 437.
[4] T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 15 luglio 1994, n. 499.
[5] Vedi, l’art. 273, comma 6 del d.lgs. n. 267/2000, ove si dispone che «Le disposizioni degli articoli 125, 127 e 289 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148, si applicano fino all’adozione delle modifiche statutarie e regolamentari previste dal presente testo unico».
[6] SAREDO, La nuova legge sulla Amministrazione comunale e provinciale, Torino, 1885, pag. 17.
[7] Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 2005, n. 6476.
[8] T.A.R. Puglia, Bari, del 19 agosto 1991, n. 346, citato nel parere M.I. «Richiesta parere circa le modalità di convocazione del Consiglio comunale» del 18 gennaio 2005.
[9] T.A.R. Campania, Napoli, 25 marzo 1999, n. 847.
[10] Parere M.I., «Quesito in ordine al computo dei termini previsti per l’invio dell’avviso di convocazione del consiglio comunale ed in particolare se nel computo dei c.d. “giorni liberi” rientrino i giorni festivi» del 18 gennaio 2005.
[11] Cons. Stato, sez. V, 28 gennaio 1992, n. 85.
[12] T.A.R. Lombardia, Brescia, 26 gennaio 2005, n. 41; idem Cass. civ., sez. I, 28 marzo 1997, n. 2807.
[13] Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2019, n. 4047; sez. I, 15 gennaio 2014, n. 461; sez. I, 22 gennaio 2010, n. 2261.