È noto, in linea generale, che la disciplina del whistleblower in ambito pubblico/privato (ex d.lgs. 10 marzo 2023, n. 24) impone un obbligo di riservatezza, sottraendo il nominativo del segnalante all’accesso di “terzi” per evidenti ragioni di tutela da atti ritorsivi, oltre a voler costituire una forma di “incentivazione” del valore etico, a fronte di condotte “illecite” all’interno dell’organizzazione lavorativa: «la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato» (comma 1, dell’art. 1, Ambito di applicazione soggettivo, del d.lgs. cit.).
L’atto di impulso
Ciò posto, al di fuori del contesto della norma possiamo rilevare che in presenza di una fase di impulso, capace di dar corso/avvio ad un’attività istruttoria che successivamente segue un procedimento accertativo autonomo e distinto, la segnalazione non entra nel “processo” amministrativo (c.d. endoprocedimentale), costituendo un momento esterno di spinta (nudge, come nell’epoca della “puntura” salvifica) rivolto all’Amministrazione, in grado di innestare un potere discrezionale di vigilanza/verifica insito nell’esercizio dell’attività di controllo (ex post), non necessariamente d’ufficio.
In termini più semplici, sussiste un obbligo di vigilanza della PA a fronte di un atto di impulso con il quale viene segnalato una irregolarità o illecito amministrativa/o, ben potendo escludersi l’avvio (ossia, la segnalazione) dall’istruttoria conseguente, quando questo avvio non porti un contributo significativo/fattivo, ma si limiti a compulsare l’esercizio del potere (inesauribile) pubblico[1].
La segnalazione funge da “richiamo” affinché l’Amministrazione valuti o meno di dar corso ad un procedimento, in presenza di fatti ritenuti meritevoli di approfondimento nell’ambito dell’esercizio dell’attività di controllo, specie in settori particolarmente delicati, incidenti su valori degni di tutela e/o costituzionalmente sensibili.
Escluso l’accesso del segnalante
La sez. II Bologna, del TAR Emilia – Romagna, con la sentenza 31 gennaio 2024, n. 70, conferma l’orientamento secondo il quale può essere negato l’accesso alla segnalazione quando essa stessa non abbia un contenuto tale da entrare nel procedimento, essendosi fermata ad allertare/attenzionare la PA senza introdurre elementi istruttori significativi (nel senso di prospettare profili di consistenza valutativa).
Nel caso di specie, il Comune ha negato l’ostensione del nominativo della persona da cui avrebbe preso le mosse il procedimento amministrativo concluso con l’atto di revoca della residenza al ricorrente.
A nulla sono valse le motivazioni a base della richiesta ostensiva rivolta al TAR: l’interesse alla conoscenza del segnalante.
In effetti, l’Amministrazione comunale ha dimostrato in giudizio che l’esito del procedimento (di cancellazione della residenza) è stato fondato dall’attività degli uffici comunali, anche tramite la Polizia municipale, escludendo che la segnalazione di terzi abbia contribuito sulla determinazione finale: l’onere motivazionale del diniego (condiviso dal GA) risiedeva nel fatto che le segnalazioni «sono rimaste estranee a detto procedimento».
Pare giusto annotare che il giudizio in materia di accesso, quale modellato dall’art. 116 del d.lgs. n. 104/2010, pur seguendo lo schema impugnatorio, è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un c.d. giudizio sul rapporto, come evincibile dal comma 4 del citato art. 116 cit., secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, «ordina l’esibizione dei documenti richiesti»[2].
Il diritto di accesso precluso
Invero, l’accesso documentale, canonizzato dagli articoli 22 e ss. della legge n. 241/1900, è rivolto ai documenti detenuti da una Pubblica Amministrazione e non a dati non contenuti in un documento, dovendo affermare che in mancanza di una prova che la segnalazione sia stata fatta per iscritto, o si sia cioè tradotta in un atto formalmente acquisito dal Comune, l’accesso non può essere accolto.
Inoltre, come è stato dimostrato, l’atto finale di cancellazione del ricorrente dall’anagrafe dei residenti si è basata esclusivamente sull’attività di verifica svolta dagli uffici comunali, significando che la pretesa segnalazione di terzi non è entrata in alcun modo nel procedimento decisionale: la segnalazione non ha contribuito in quell’attività di natura istruttoria posta alla base del provvedimento dove «i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche» determinano la volontà provvedimentale (la motivazione, ex comma 1, secondo periodo, dell’art. 3 della legge n. 241/1990) capace di incidere la sfera giuridica del destinatario finale.
Si comprende il ruolo assunto dalla segnalazione nel consistere in una funzione «meramente sollecitatoria dell’esercizio dei poteri di controllo e verifica di cui è titolare l’Autorità procedente, senza che vi sia stato un rapporto di strumentalità con l’atto finale adottato, deve ritenersi che l’ostensione degli atti dell’Amministrazione sia sufficiente a soddisfare l’interesse conoscitivo del richiedente»[3].
Il precipitato di tale orientamento porta a ritenere che, anche a voler prescindere dalla riservatezza dell’autore della segnalazione, la richiesta del nominativo:
- non è funzionale all’esigenza difensiva nel procedimento di cancellazione, dimostrando la sostanziale carenza di interesse alla conoscenza dell’autore dell’esposto;
- la pretesa a conoscere il nominativo del segnalante assume, dunque, un carattere emulativo che l’ordinamento non tutela[4].
In conclusione il ricorso è infondato, viene respinto con condanna alle spese.
La strumentalità della segnalazione
In dipendenza di ciò, si deve dedurre che quando il fondamento (alias la motivazione) dell’atto sia fondato su autonomi atti istruttori/accertativi dell’Autorità amministrativa, l’esposto/segnalazione del privato ha il solo effetto di sollecitare il promovimento d’ufficio del procedimento, senza acquisire efficacia probatoria, con la conseguenza che in tali evenienze, di regola, per il destinatario del provvedimento finale non sussiste la necessità di conoscere gli esposti al fine di difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano rappresentate particolari esigenze; questo, del resto, corrisponde al fatto che, di fronte al diritto alla riservatezza del terzo, la pretesa di conoscenza dell’esposto da parte del richiedente, se svincolata dalla preordinazione all’esercizio del diritto di difesa, acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l’ordinamento non può tutelare.
Le argomentazioni, peraltro, si conciliano efficacemente con l’art. 22, comma 1, lettera d), della legge n. 241 del 1990, che definisce l’interesse legittimante all’accesso, indicandolo in «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso», dove la necessità della conoscenza del documento determina il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica “finale”, chiarendo che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica “finale” controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio.
Il profilo conduce alla costatazione che la segnalazione non offre ex se elementi apportabili di difesa: una delibazione condotta sull’astratta pertinenza della documentazione rispetto all’oggetto della res controversa (del tutto assente la strumentalità), con la conseguenza inevitabile che l’accesso alla segnalazione può ritenersi ammissibile solo in casi particolari, in cui emerga chiaramente la strumentalità della conoscenza di tali atti per la difesa dell’interessato.
In questo senso, l’interesse deve essere serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riconducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso[5].
L’approdo dell’assenza di una qualificata strumentalità comporta che non è possibile nemmeno ravvisare alcuna iniziativa, giudiziaria o di altro tipo, contro l’autore della segnalazione (a fondamento del mancato interesse), stante la qualificazione di quest’ultima in termini di “mera occasione sollecitatoria” da parte di privato cittadino, implicante in quanto tale l’assenza di qualsivoglia assunzione di responsabilità a carico dello stesso, ravvisabile invece nei confronti del denunciante, imputabile per il reato di calunnia ricorrendone i presupposti quando eventualmente la segnalazione si configurasse quale prospettazione di fatti o addebiti specifici (nel caso di specie mancanti)[6].
Precisazioni sulla segnalazione accessibile
Trasponendo le illustrate coordinate interpretative, il nominativo dell’autore dell’esposto può essere oggetto di legittimo diniego da parte dell’Amministrazione qualora dimostri la sua natura sollecitatoria e la parte non fornisca elementi di interesse strumentale alla difesa.
Tuttavia, si deve anche ricordare l’orientamento secondo il quale chi subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti[7].
I riflessi espongono a valutazioni sulla indispensabilità non tanto dell’accesso all’esposto quanto al nominativo dell’autore dell’esposto.
La risposta coerente con l’intero quadro sopra descritto può ravvisarsi nel fatto (un dato incontrovertibile) che una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione la segnalazione costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività, e, di conseguenza, il denunciante perde consapevolmente la disponibilità sulla propria segnalazione.
Quest’ultima, infatti, può diventare un elemento del procedimento amministrativo e come tale nella disponibilità dell’Amministrazione rendendo la sua divulgazione ammissibile, nemmeno si potrebbe precludere la richiesta da generiche esigenze di tutela della riservatezza, giacché il già menzionato diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi, salvo quando l’Amministrazione in sede di diniego dimostra la consistenza del tutto estranea al procedimento, ovvero sia motivata dalla natura sollecitatoria della segnalazione e la parte, di converso, non dia prova (allegazione) di un interesse qualificato a difesa dei propri diritti o posizioni tutelabili astrattamente dall’ordinamento[8].
La segnalazione e le facoltà difensive
L’esposto costituisce il presupposto dal quale ha origine un’attività amministrativa che si traduce prima in verifiche ispettive, e poi in verbali di accertamento di illeciti amministrativi, a seguito dei quali vengono adottati provvedimenti amministrativi, ovvero altri provvedimenti sanzionatori: la segnalazione, pertanto, non può costituire oggetto di accesso agli atti, in quanto non sussiste il requisito della stretta connessione e del rapporto di strumentalità tra la c.d. denuncia scaturente dalla segnalazione e l’atto finale adottato dalla pubblica amministrazione: è mancata la dimostrazione dell’utilità del nominativo del segnalante per gli scopi difensivi dell’istante, nominativo accessibile solo se strumentale ad avere piena contezza delle modalità formative del provvedimento finale, in quanto funzionale alla piena e consapevole esplicazione delle facoltà difensive (aspetto del tutto estraneo a giudizio del Tribunale)[9].
La pretesa di conoscenza dell’esposto da parte del richiedente, se svincolata dalla preordinazione all’esercizio del diritto di difesa (da dimostrare in giudizio), acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l’ordinamento non può tutelare, dimostrando nella sua essenzialità il dominio del potere da parte della PA, la quale ha assunto le proprie determinazioni non sulla base della denuncia/segnalazione, bensì sulla base delle risultanze della propria attività istruttoria, quell’esercizio pratico dell’azione amministrativa in sede ispettiva, di controllo, di accertamento, di verifica assegnata dall’ordinamento a presidio dell’interesse generale e principio di legalità (ex art. 97 Cost.).
[1] Cfr. LUCCA, Abuso edilizio e segnalazioni del privato, lentepubblica.it, 25 luglio 2022, sul dovere dell’Amministrazione di dare riscontro alle segnalazioni.
[2] Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 2020, n. 6657.
[3] Cons. Stato, sez. III, 1° marzo 2021, n. 1717.
[4] Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 21 aprile 2022, n. 902; idem TAR Veneto, sez. III, 27 aprile 2022, n. 630.
[5] Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2014, n. 176.
[6] Cfr. TAR Umbria, sez. I, 16 settembre 2020, n. 413.
[7] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 2009, n. 3081; sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3601, sez. III, 8 settembre 2014, n. 4539.
[8] Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 2009, n. 3081; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 11 febbraio 2016, n. 396.
[9] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 2 febbraio 2024, n. 1102.