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Articolo Pubblicato il 19 Marzo, 2025

Diniego del rimborso spese legali in presenza del conflitto di interessi

Diniego del rimborso spese legali in presenza del conflitto di interessi

In linea generale, le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di un dipendente pubblico in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, esige da una parte, la verifica della congruità della spesa e il “gradimento” del legale, dall’altra parte, dovrà essere accertato (una concreta valutazione) la diretta connessione tra fatto e assolvimento della funzione.

La sez. II del Consiglio di Stato, con la sentenza 11 marzo 2025, n. 2028 (Est. Frigida), esclude la rimborsabilità delle spese legali in assenza di un nesso tra i fatti oggetto del giudizio e l’adempimento dei doveri istituzionali: manca effettivamente l’adempimento della funzione, quell’immedesimazione organica tra dipendente e Amministrazione (l’agere in suo nome, per conto e nell’interesse), senza un rapporto meramente occasionale.

L’aver agito al di fuori del ruolo e della competenza, comporta l’esclusione di un’imputazione della condotta alla PA, dimostrando che l’azione viene posta fuori dai doveri affidati dalla legge: l’obbligo di diligente servizio, non potendo liquidare le spese quando il dipendente ha messo in atto una condotta/comportamento senza il rispetto delle norme a presidio della legittimità e legalità dei propri doveri istituzionali, quelli negoziali di servizio nell’interesse dell’Amministrazione (ex art. 2105 c.c. e 97 Cost.), tranciando ogni legame con la prestazione di pubblico dipendente.

Il giudizio in appello viene promosso avverso il diniego del rimborso di spese legali, ai sensi dell’art. 18, Rimborso delle spese di patrocinio legale, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 convertito in legge 23 maggio 1997, n. 135, in relazione a un procedimento penale conclusosi con l’archiviazione: la vicenda riguardava una falsa attestazione di servizio (un verbale di accertamento).

L’avvocatura interpellata esprimeva parere sfavorevole, reputando mancante «il nesso tra il fatto che ha originato il giudizio ed il diligente, corretto e legittimo esercizio dei compiti istituzionali», escludendo, quindi, la sussistenza del requisito oggettivo richiesto dal citato art. 18, ovverosia la connessione dei fatti di causa con l’espletamento del servizio, oppure con l’assolvimento di obblighi istituzionali.

Il giudice di seconde cure rigetta il ricorso (con condanna alle spese) sulla base del dato normativo, che attribuisce alla PA un particolare potere valutativo con riferimento all’an ed al quantum, dovendo:

  • verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, potendo dar corso favorevole alla richiesta solo alla condizione che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione, ovverosia laddove, in relazione alla condotta, sia ravvisabile il nesso di immedesimazione organica e non di occasionalità, mera o necessaria che sia;
  • tale nesso stringente è sempre reciso in presenza di conflitto d’interesse tra l’Amministrazione e il dipendente agente;
  • nonché – quando sussistano detti presupposti – se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso, con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria, posto che la relativa acquisizione è prescritta dalla legge e non può essere pretermessa, e carattere vincolante, poiché l’Amministrazione non può disattendere l’indicazione quantitativa resa dall’organo tecnico, rilevando che tale verifica dovrà, comunque, avvenire in ogni PA, non potendo liquidare senza un parere di congruità.

La sentenza si sofferma (ubi consistam) sulla presenza del conflitto di interessi che postula due contrapposti interessi confliggenti e preclude ogni forma di liquidazione, facendo venire meno la stretta relazione e interdipendenza tra prestazione e Amministrazione: il conflitto può verificarsi, inter alia, laddove la condotta, attiva od omissiva non sia scevra di elementi di antinomia rispetto alla corretta, integrale e puntuale esecuzione dei doveri istituzionali e degli obblighi di servizio.

Il precipitato valoriale porta ad escludere il rimborso quando la condotta costituisca di per sé una violazione dei doveri d’ufficio, mancando, invero, in siffatta ipotesi il requisito dell’assenza del conflitto di interesse.

Infatti, la condotta assunta, come rilevato in sede penale, si è caratterizzata da superficialità, disorganizzazione e mancanza di cura, violando le regole minime di diligenza ascrivibile a tutti coloro che operano all’interno della PA: difettando, dunque, il presupposto della diligenza della condotta (la scrupolosa osservanza ai doveri di condotta)[1], il cui univoco mancato riscontro determina la presenza di un conflitto d’interesse idoneo ad impingere in modo esiziale sul nesso d’immedesimazione organica.

(estratto pubblicato in gruppodelfino.it, 13 marzo 2025)

[1] L’accertamento dell’assenza di diligenza è strumentale alla verifica del conflitto di interessi, non rilevando ai fini di attivare l’apertura di un procedimento disciplinare, cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 5 dicembre 2023, n. 1507; sez. IV, 4 gennaio 2022, n. 25.