La quinta sez. del Consiglio Di Stato, con la sentenza 22 aprile 2020. n. 2552 (estensore Rotondano) conferma che la concessione del suolo pubblico rientra tra i poteri discrezionali della P.A. nella valutazione del migliore perseguimento dell’interesse pubblico incensurabile nel merito.
La questione viene assolta a fronte del diniego del rinnovo (per la durata di nove anni) di una concessione di suolo pubblico per un impianto di distribuzione carburanti: rinnovo concesso solo per un anno con obbligo di ripristino e bonifica dell’area interessata, a fronte di un provvedimento giuntale con il quale si manifestava una volontà di politica territoriale, massima espressione dell’Autonomia decisionale inerente lo sviluppo urbano, da una parte, l’invito del Comune di delocalizzazione dell’impianto, dall’altra parte, della volontà di qualificare l’intera area posta nel centro storico, sia sotto il profilo estetico- architettonico che della fruibilità pedonale e viaria.
Il Regolamento Comunale Tosap rendeva legittima la revoca e il diniego di rinnovo della concessione di suolo pubblico alla loro scadenza «per sopravvenute ragioni di pubblico interesse».
Norma del tutto superflua a fronte di un principio generale codificato, oltre che nel testo costituzionale, anche espressamente dalla legge n. 241 del 1990, che si occupa di garantire negli atti amministrativi concessori (con effetti durevoli) la presenza costante dell’interesse pubblico, in mancanza del quale è giustificata la revoca.
La valutazione dell’interesse pubblico è affidata agli organi elettivi, i quali – è noto – rappresentano la Comunità, segno di quella sovranità che un tempo apparteneva al popolo uti universi (ex comma 2 dell’art. 1 Cost.) nella sua formale enunciazione di principio, con la quale «in nome del popolo » si amministra la giustizia (ex comma 1 dell’art. 101 Cost.): lo scopo della norma, secondo i Padri costituenti, è quello di ribadire che la fonte di legittimazione di tutte le funzioni statuali sono esercitate in suo nome dalla Stato- soggetto[1].
Il ricorrente motiva il ricorso:
- per la genericità delle ragioni addotte per il diniego, in assenza di una programmazione urbanistica territoriale che suffragasse, in concreto, l’asserita volontà;
- per la maturazione di un legittimo e consolidato affidamento al rinnovo della concessione, «fonte di un obbligo, per l’amministrazione, di comportarsi secondo buona fede, tenendo in adeguata considerazione l’interesse dell’amministrato», in relazione alla risalente presenza nel territorio (settanta anni), quasi un adagio biblico e simbolico “di generazione in generazione”, cioè senza fine[2].
Il giudice d’appello lo dichiara infondato, «non meritando al riguardo la sentenza appellata le critiche che le sono state appuntate».
In effetti, si annota che la sentenza ha bene evidenziato le motivazioni degli indirizzi contenuti nella deliberazione della Giunta Comunale a sostegno del diniego all’istanza di rinnovo.
Il testo deliberativo riportava il percorso motivazionale, partendo proprio dalla situazione di fatto per poi giungere alla determinazione di riassetto ambientale ed urbanistico dell’area interessata, requisiti su cui si fonda la motivazione del provvedimento, ex art. 3 della legge n. 241/1990: «sono dunque esternate compiutamente nel provvedimento… le ragioni oggettive di pubblico interesse».
Le scelte discrezionali, annota il Consiglio di Stato, dell’Amministrazione sono dunque esenti dai profili di illogicità, irragionevolezza e sproporzione, dovendo, pertanto, acclarare che le censure prospettate si configurano come un inammissibile sindacato di merito nelle scelte dell’Amministrazione che risultano ampiamente motivate e ragionevoli.
Si conferma un primo orientamento: le scelte dell’Amministrazione sono incensurabili quando fondano su basi argomentative logiche, ragionevoli e proporzionate non potendo il giudice sostituirsi ad una scelta che rientra nelle ragioni di opportunità squisitamente affidate alla politica, specie ove sono congrue e giustificate, anche sotto il profilo tecnico (il miglioramento viario del centro urbano e il ricollocamento dell’impianto).
Con riguardo al regolamento, si annota che la concessione è alla scadenza naturale, con gli effetti che, trattandosi di una concessione (ovvero, di un diritto non preesistente, necessitando di un provvedimento ampliativo a favore del soggetto interessato), non sussiste alcun diritto di insistenza o legittima aspettativa, dovendo l’Amministrazione attivare un procedimento istruttorio e valutativo nuovo: «una mera facoltà per l’Amministrazione di disporre, su istanza dell’interessato, detto rinnovo, che può essere denegato allorquando ricorrano oggettive ragioni di pubblico interesse».
Si conferma un secondo orientamento: di fronte la concessione di un bene pubblico l’interessato è in una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, egli non è titolare di alcuna aspettativa al rinnovo di un rapporto, il cui diniego, nei limiti della ragionevolezza dell’agire amministrativo, è parificabile al rigetto di un’ordinaria istanza di concessione.
In parole diversi, a fronte di un’istanza al termine della concessione (atto con scadenza certa e non perpetua) l’Amministrazione è titolare di un potere discrezionale che può esercitare legittimamente anche con la facoltà di non procedere al rinnovo della concessione di suolo pubblico a fronte di un diverso utilizzo o destinazione dello stesso.
Quando l’Amministrazione, titolare del potere di pianificazione, intende riservare al suolo una destinazione più adeguata ed idonea alle caratteristiche del bene e alla realizzazione degli interessi generali assolve una funzione propria che non può essere controbilanciata da un’aspettativa del privato di ingerenza tale da impedirne la volontà[3].
Né tantomeno può incidere quale “diritto acquisito” la pregressa considerevole durata della concessione, aspettativa che affievolisce sul potere discrezionale dell’Amministrazione a destinare il proprio bene ad usi più coerenti all’interesse pubblico, specie ove tale ponderazione è stata esercitata nelle sue diverse componenti, anche con soluzioni alternative mediante una nuova collocazione dell’impianto privato, realizzando un equo contemperamento con gli interessi pubblici alla cui tutela sono preordinati il diniego di rinnovo e gli atti presupposti.
Questa sentenza affronta compiutamente la corretta stesura dei provvedimenti e l’apparato istruttorio correlato, quando evidenzia che l’Amministrazione con «largo preavviso rispetto alla scadenza della concessione» ha rappresentato proprietario dell’impianto l’intenzione di una riqualificazione dell’area, «chiedendole per tempo di valutare tale opzione ed eventuali soluzioni di delocalizzazione; ha offerto un sito alternativo per riallocare il distributore; ha strutturato il diniego di rinnovo come accoglimento parziale per la durata di un anno, concedendo un ulteriore termine di sei mesi per lo smontaggio e il ripristino dell’area, al fine di consentire alla società proprietaria dell’impianto di riorganizzarsi e pianificare le sue scelte imprenditoriali».
Tali regole redazionali precedono il contenuto del provvedimento (il c.d. deliberato) mostrando in chiaro, alias la motivazione (sotto il profilo compositivo dalle “premesse “ al “ritenuto”) delle oggettive ragioni di pubblico interesse che sorreggono il provvedimento; motivazione ampiamente esternata tale da escludere – alla fonte – che vi sia stata una lesione del legittimo affidamento del titolare del distributore al rinnovo del titolo concessorio venuto a scadenza, mancando conseguentemente quei profili di illogicità o illegittimità nell’operato del Comune (posti alla base del ricorso).
[1] NOBILI TITO ORO, «… anche la sovranità dalla quale la giurisdizione deriva procede dal popolo, al pari della sovranità della Repubblica», Assemblea Costituente, esame degli emendamenti agli articoli del Titolo IV della Parte seconda del progetto di Costituzione «La Magistratura», 20 novembre 1947.
[2] Genesi 17.
[3] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 18 settembre 2014, n. 9836.