La presentazione di un’istanza finalizzata all’acquisizione di un titolo edilizio (permesso di costruire o autorizzazione), oltre a rispettare i requisiti richiesti dalla disciplina urbanistica in generale (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, ex D.P.R. n. 380/2001 e norme tecniche interne alla singola Amministrazione) richiede che la documentazione sia corrispondente alle reali situazioni di fatto e che sia formulata da un soggetto proprietario del terreno, o suo legittimato.
Va preliminarmente osservato, su questo ultimo aspetto, che in termini generali nella materia edilizia, la rilevanza dei rapporti tra i privati ricorre nei limiti in cui sia ictu oculi percepibile dall’Amministrazione procedente, richiedendo una verifica sulla legittimazione del soggetto, ovvero una dimostrazione della proprietà (o il dominio indiretto) su cui insiste il bene da edificare o manutentare: «Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo» (ex art. 11, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001).
Un accertamento reale sulla disponibilità dell’immobile oggetto d’intervento, non potendo realizzare una utilità su bene alieno, quanto meno a livello di possesso diretto della parvenza di un diritto reale[1], dovendo al momento dell’istanza ma anche al rilascio del titolo (se la situazione di fatto o di diritto è cambiata) verificare il possesso dei citati requisiti.
Si deve affermare, allora, che in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi, senza necessità di procedere ad un’accurata ed approfondita disanima dei rapporti tra privati[2].
Giova precisare che il possesso o la semplice disponibilità di un area non è sufficiente per conseguire l’effetto finale conseguente all’instaurazione di un procedimento amministrativo preordinato al rilascio di un titolo autorizzatorio (concessione edilizia), in presenza di un esplicito atto di opposizione del proprietario[3].
Il tutto detto in termini diversi, il RUP deve verificare:
- sia al momento dell’istanza la presenza del titolo di proprietà;
- sia al rilascio del titolo (tempus regit actum), soprattutto ove sia appurata l’incerta o contestata proprietà.
È noto che i requisiti legittimanti devono permanere e essere presenti al termine del procedimento con la sottoscrizione del provvedimento finale (rectius permesso di costruire).
Il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus regit actum, secondo cui i provvedimenti dell’Amministrazione, in quanto espressione attuale dell’esercizio di poteri rivolti al soddisfacimento di pubblici interessi, devono uniformarsi, sia per quanto concerne i requisiti di forma e procedimento, sia per quanto riguarda il contenuto sostanziale delle statuizioni, alle norme giuridiche vigenti nel momento in cui vengono posti in essere, e ciò in applicazione del principio della immediata operatività delle norme di diritto pubblico[4].
Le disposizioni legislative di cui sopra (ex art. 11 del Testo Unico dell’Edilizia) relative ai soggetti legittimati a chiedere al Comune di poter svolgere attività edilizia, sono interpretate dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che l’Amministrazione comunale è certamente chiamata allo svolgimento di un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia, il che spiega perché il permesso di costruire ed in genere i titoli edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti salvi i diritti dei terzi”[5].
La Pubblica Amministrazione deve svolgere un’attività istruttoria rivolta non a risolvere un conflitto fra parti private sull’assetto dominicale dell’area, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente[6], per la quale la rilevanza giuridica della licenza o permesso di costruire si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico fra P.A. e privato, senza estendersi ai rapporti tra privati e, per la quale il ruolo del giudice amministrativo ha per oggetto il controllo di legittimità dell’esercizio del potere da parte della P.A., senza incidere o impedire le azioni civilistiche fra vicini[7].
Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza, sussiste bensì l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, ma soltanto alla condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici[8].
Il Comune, quindi, sia in ragione del fatto che, nella materia edilizia non è tenuto, in linea di principio, a verificare i rapporti tra privati né ad entrare nel merito dei medesimi, sia alla luce della stessa prospettazione dell’istante in sede procedimentale tale da dimostrare l’esclusività del bene, può procedere legittimamente al rilascio del titolo edilizio, senza ulteriore valutazione.
Si ricava che l’attività posta a carico dell’Amministrazione civica che, disponendo dei dovuti strumenti di verifica, è di accertamento effettivo[9], e in modo specifico:
- la legittimazione attiva a chiedere il rilascio del titolo abilitativo edilizio si configura in capo non solo al proprietario del terreno, ma pure al soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo, che lo autorizzi a disporne al riguardo[10];
- vi è il contestuale onere della P.A. di accertare con serietà e rigore la legittimazione a chiedere il titolo edilizio[11], dovendo pertanto la P.A. accertare che l’istante sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria[12].
In passato, si riteneva che fosse inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati da parte della P.A.[13], altri all’opposto, invece, ammetteva che il Comune verificasse il rispetto dei limiti privatistici, purché fossero immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traducesse in una semplice presa d’atto[14].
La più recente giurisprudenza, superando l’indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili.
Ciò posto, appare evidente che in presenza di espresse e sollecite contestazioni sull’assenza del titolo di proprietà esclusiva del richiedente da parte di colui che dichiara esserne il titolare, il Comune, per mezzo del Responsabile de procedimento, ha un dovere di diligenza, anche nella misura minima di un controllo sulla legittimazione dei richiedenti il permesso di costruire a disporre, in virtù di un titolo (legale, giudiziale ovvero negoziale), dell’intera area.
In sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio se viene posta in contestazione la titolarità della proprietà il Comune deve verificare l’esistenza di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi esercitato dal richiedente il titolo edilizio.
Il corollario di questo principio di diritto porta al precipitato che la verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere oltre nell’istruttoria[15], giungendo (in alcuni casi) a ritenere che è configurabile il reato di cui all’art. 323 c.p. (abuso d’ufficio) per effetto di un’attività edilizia autorizzata contra ius, nella condotta di chi (il Responsabile del procedimento), omettendo di effettuare i suddetti accertamenti (specie in presenza di una contestazione), rilasci il permesso di costruire ad un soggetto non proprietario né titolare di altro diritto reale sull’area da edificare, ma soltanto parte di un contratto preliminare di vendita[16], senza tralasciare gli oneri di comunicazione all’Autorità giudiziaria di eventuali dichiarazioni mendaci sul possesso del titolo e della perdita dei benefici (ex artt. 75 e 76 del D.P.R. 445/2000)[17].
L’Autorità comunale, in sede di esame della domanda, pur non dovendo compiere approfondite indagini sui rapporti di diritto privato intercorrenti tra gli interessati, è tenuta (deve) a verificare la posizione di avente diritto e, quindi, la legittimazione del richiedente, e qualora alcune opere incidano sul diritto di altri comproprietari, in sede di rilascio del titolo abilitativo si deve ritenere legittimo esigere il consenso degli stessi, e questo vale, a maggior ragione, nel caso vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari, in ordine all’intervento progettato, pena l’evidente illegittimità per un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non si dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta del permesso di costruzione e la titolarità del prescritto diritto di godimento[18].
Si può concludere che in presenza di un bene indiviso tra più soggetti, ovvero in presenza di elementi tali da farne dubitare la proprietà esclusiva, la P.A. è obbligata a fondare i propri atti sulla necessità di una definizione della sottesa vicenda privatistica per effetto di un atto di assenso tra tutti i privati o, in alternativa, di un provvedimento del Giudice Ordinario: si rende indispensabile verificare puntualmente la titolarità della proprietà, non potendo – in questo caso – rilasciare autorizzazioni “salvo diritti di terzi”, avendo un dovere di diligenza rafforzato (c.d. buone fede, ex art. 97 Cost.) o più semplicemente secondo il divieto del neminem laedere (ex art. 2043 c.c.).
Risulta, pertanto, legittimo il provvedimento con il quale un Ente locale ha annullato di ufficio una concessione edilizia in sanatoria, che sia motivato con riferimento al fatto che il Comune ha avuto formale conoscenza della sentenza civile definitiva, pronunciata dalla Corte di Cassazione, con la quale, a seguito di un lungo contenzioso, è stata affermata l’insussistenza del diritto di proprietà dell’area ove è ubicato l’immobile interessato (e, quindi, per accessione, anche l’immobile stesso), in capo al beneficiario della medesima concessione; infatti, avendo una sentenza civile ormai stabilito, in via definitiva, quanto al titolo di provenienza, che l’area sulla quale insiste il fabbricato (e, dunque, per accessione, il fabbricato medesimo) non appartiene al soggetto beneficiario della concessione in sanatoria, quest’ultimo risulta privo, ab origine, dei requisiti legittimanti il rilascio del titolo abilitativo[19].
Appurato questo primo aspetto, è di rilievo passare all’analisi giuridica della presentazione di un’istanza fondata su una errata (alias falsa) rappresentazione dei luoghi (allegazioni) che porta alla perdita di ogni beneficio e alla chiamata del giudice penale per rispondere del delitto di falso ideologico.
In questo senso, è responsabile del reato di falso per induzione, commesso in concorso con il tecnico incaricato per la pratica edilizia, colui che con l’inganno conduce il Responsabile dell’ufficio tecnico comunale – mediante false attestazioni ed una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi – a rilasciare il permesso di costruire, da considerarsi ideologicamente falso in quanto fondato su presupposti insussistenti[20].
Più precisamente, risponde del delitto di falso ideologico in autorizzazioni amministrative il privato che alleghi, a corredo della richiesta di rilascio di un permesso di costruire (in sanatoria o no)[21], atto avente natura di autorizzazione amministrativa, documentazione non veritiera attestante una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, così inducendo in errore il pubblico ufficiale destinatario della richiesta[22].
In tema di falso ideologico punibile a norma dell’art. 480 c.p., se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto; tuttavia, se l’atto da compiere fa riferimento a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, anche da ancorarsi al momento del rilascio del titolo o della richiesta, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato[23].
Laddove sussistano i presupposti di entrambe le fattispecie (induzione e falso) ed il pubblico ufficiale abbia emanato l’autorizzazione perché tratto in inganno dalla falsa attestazione, sono ravvisabili sia il delitto di cui all’art. 481 cod. pen. (o, oggi, art. 20, comma 13, D.P.R. 380 del 2001 «Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al medesimo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni. In tali casi, il responsabile del procedimento informa il competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari») e quello di cui agli artt. 48 (Errore determinato dall’altrui inganno) e 480 (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative) cod. pen.[24].
Alla luce delle considerazioni che precedono in presenza di un rilascio del titolo abilitativo fondato:
- su una falsa rappresentazione dei luoghi;
- oppure, su una non veritiera dichiarazione di proprietà (anche nel caso di perdita della stessa successivamente all’istanza e prima del rilascio del titolo, e della conseguente mancata informazione sul venir meno in itinere della proprietà) si può rilevare che l’Amministrazione (ovvero, il titolare il dirigente responsabile);
l’Amministrazione deve procedere con il doveroso annullamento d’ufficio, espressione di un potere discrezionale dell’Autorità pubblica di rimuovere i propri provvedimenti, nell’interesse primario di garantire costantemente il principio di legalità, specie ove fondati su dichiarazioni non veritiere.
Non isolate le indicazioni dell’art. 75 (Decadenza dai benefici) del D.P.R. n 445/200 che dispone «Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera»[25], dove la non veridicità di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con l’autodichiarazione non veritiera, indipendentemente da ogni indagine dell’Amministrazione sull’elemento soggettivo del dichiarante, giacché non vi sono particolari risvolti sanzionatori in gioco, ma solo le necessità di una spedita esecuzione della legge sottese al sistema di semplificazione: la non veridicità rileva, in quanto abbia determinato l’attribuzione di un beneficio[26].
Il potere di riesame (ex art. 21-nonies della Legge n. 241/1990) su provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’Amministrazione anche dopo la scadenza del termine di sbarramento, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali, nonché delle sanzioni previste dal capo VI del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa.
La gravità delle condotte in ambito edilizio che possono aver indotto l’Amministrazione ad un’errata rappresentazione dei fatti o della legittimazione, posti alla base del titolo rilasciato – una volta accertate – portano inesorabilmente all’annullamento doveroso del provvedimento, quale conseguenza necessaria del comportamento “doloso o colposo” della parte, senza poter invocare il termine ragionevole[27].
L’annullamento d’ufficio in materia edilizia, annullamento che non si discosta dal paradigma dell’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990 e dal consolidato orientamento giurisprudenziale[28], secondo il quale quando l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dall’erronea o falsa rappresentazione dello stato di fatto, posto in essere dal privato al momento della richiesta del titolo edilizio, non occorre una particolare motivazione sull’interesse pubblico specifico perseguito in sede di autotutela, di per sé coincidente con l’implicita esigenza di ripristinare la legalità urbanistico – edilizia fraudolentemente compromessa.
Quando la rappresentazione dei fatti non corrisponde alla realtà è inutile verificare l’elemento soggettivo (la condotta del richiedente), ciò che importa è il dato oggettivo della non conformità delle dichiarazioni (infedeli) e dei documenti a verità (lo stato dei luoghi); perde, pertanto, meritevolezza l’affidamento (non incolpevole) del privato circa il mantenimento della situazione abusiva, affidamento da considerare di per sé recessivo di fronte all’interesse pubblico alla ricostituzione della cornice di rispetto della disciplina urbanistica violata[29].
Stesse considerazioni all’accertamento della mancanza del titolo di proprietà una volta appurato che la dichiarazione non è veritiera, ovvero che ne è venuta meno in una fase successiva ma si abbia omesso tale circostanza per acquisire ugualmente il titolo edilizio.
[1] T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 2 dicembre 2014, n. 3034, dove si ammette la legittimazione da colui che pur non essendo proprietario, vanti un diritto di servitù, formalmente riconosciuto.
[2] Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2012, n. 4255; 4 maggio 2010, n. 2546.
[3] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 8 luglio 2010, n. 2911.
[4] Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2017, n. 1499.
[5] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 12 gennaio 2016, n. 43; 27 dicembre 2013, n. 2974; 18 giugno 2013, n. 1578; 26 febbraio 2013, n. 529; 10 febbraio 2012, n. 496.
[6] Cass. Civ., sez. II, 18 settembre 2013, n. 21394.
[7] Cass. Civ., sez. II, 19 ottobre 2015, n. 21119.
[8] Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2012, n. 5128; 20 dicembre 2011, n. 6731; sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2546.
[9] T.A.R. Lombardia, Brescia, 28 settembre 2018, n. 924.
[10] Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4557 e 2 settembre 2011, n. 4968.
[11] Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823.
[12] Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990.
[13] Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 1993, n. 1341.
[14] Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2007, n. 1206.
[15] Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2005, n.3730.
[16] Cass. Pen., sez.VI, 27 giugno 2005, n. 33047 e n. 232054/2005.
[17] Secondo la giurisprudenza consolidata assurta a “diritto vivente”, tali disposizioni non lasciano margine di discrezionalità alle Amministrazioni. L’applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 comporta l’automatica decadenza dal beneficio eventualmente già conseguito, non residuando, nell’applicazione della predetta norma, alcun margine di discrezionalità alle PP.AA. che, in sede di controllo (d’ufficio) ex art. 71 del medesimo Testo Unico, si avvedano della (oggettiva) non veridicità delle autodichiarazioni, posto che tale norma prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante, attestandosi (unicamente) sul dato oggettivo della non veridicità, rispetto al quale risulta, peraltro, del tutto irrilevante il complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, ordinanza, 17 settembre 2018, n. 1346.
[18] T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 21 gennaio 2019, n. 70; T.R.G.A., sez. Bolzano, 27 febbraio 2006, n. 81.
[19] T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 2 agosto 2012, n. 1742.
[20] Cass. Pen., sez. III, 5 aprile 2019, n. 15011.
[21] Cass. Pen., sez. III, 9 gennaio 2018, n. 7273, risponde del delitto di falso ideologico in autorizzazioni amministrative e non del delitto di falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale, il privato che alleghi, a corredo della richiesta di concessione edilizia in sanatoria, atto avente natura di autorizzazione amministrativa, documentazione non veritiera attestante l’avvenuta demolizione del manufatto e il ripristino dello stato dei luoghi, così inducendo in errore il pubblico ufficiale destinatario della richiesta.
[22] Cass. Pen., sez. III, 9 gennaio 2018, n. 7273; sez. V, 15 luglio 2008, n. 37555.
[23] Cass. Pen., sez. III, 4 dicembre 2017, n. 30025.
[24] Cass. Pen., sez. V, 7 dicembre 2007, n. 3146.
[25] L’art. 75 del D.P.R. n. 445 del 2000 prevede che la decadenza dal beneficio faccia seguito all’attività di controllo autonomamente svolta dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 71 dello stesso D.P.R. n. 445 del 2000. Al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera consegue l’applicazione delle sanzioni previste dalla predetta norma, T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 31 gennaio 2019, n. 105.
[26] T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 6 novembre 2018, n. 6443.
[27] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, 20 febbraio 2017, n. 1033.
[28] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 dicembre 2015, n. 5830 e sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4552.
[29] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 2012, n. 5691 e 3 agosto 2012, n. 4440; T.A.R. Toscana, sez. III, 27 maggio 2015, n. 825.