La terza sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 2 maggio 2019 n. 2841 (Est. Manzione), delinea gli effetti e le modalità del ricorso alla revisione prezzi, quale condizione negoziale che si impone in via automatica nei contratti di fornitura continuativa o periodica (caso di specie, fornitura triennale di guanti monouso e chirurgici), meccanismo di bilanciamento del sinallagma contrattuale voluto dal legislatore, che necessariamente proprio ai sensi dell’art. 1339 c.c. trova ingresso nel contratto.
La questione si presenta nella richiesta di revisione prezzi subito dopo la stipulazione del contratto, giustificata dall’innalzamento dei costi di mercato delle materie prime e del conseguente aumento unilaterale del prezzo convenuto; al termine del contratto l’operatore economico ingiungeva il pagamento della differenza, pagamento contestato ripetutamente dall’Amministrazione aggiudicataria, ergo il ricorso in giudizio.
Il Tribunale di prime cure rigettava le richieste revisionali per mancanza di prova dell’aumento dei costi, rinvenibile – a detta del ricorrente – dalle rilevazioni delle Camere di commercio; di contro l’Azienda ospedaliera invocava un precedente sulla correttezza del prezzo convenuto ab origine con il contratto[1].
Il giudice di seconde cure, analizza il precetto normativo sulla revisione del prezzo dei contratti pubblici di appalto di fornitura di beni e di servizi che prevedeva l’obbligo di introdurre nei contratti – ad esecuzione periodica o continuativa – una clausola di revisione del prezzo, da attivare a seguito di apposita istruttoria condotta dai dirigenti responsabili[2] sulla base dei costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura pubblicati annualmente a cura dell’Osservatorio dei contratti pubblici, ex art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, applicabile pro tempore alla fattispecie, e in precedenza l’art. 6, comma 4, della legge n. 537/1993 (ora previsto dell’art. 106, lettera a) del D.Lgs. n. 50/2016 quale clausola di revisione da inserirsi negli atti di gara e poi nel contratto, come una facoltà e non più un obbligo)[3].
In tale contesto normativo (oggi abrogato) la mancata previsione esplicita di tale clausola nel contratto che si limita ad indicare l’importo complessivo della fornitura per l’intero periodo, non ne pregiudica in alcun modo l’applicabilità, essendo principio consolidato in giurisprudenza il carattere imperativo della stessa, per cui finanche un’eventuale clausola difforme dovrebbe ritenersi nulla.
Ciò posto nel ritenere il ricorso infondato, si desume:
- la prevista periodicità non implica affatto che si debba azzerare o neutralizzare l’alea sottesa a tutti i contratti di durata, dovendo in ogni caso dimostrare la sussistenza di eventuali circostanze imprevedibili che abbiano determinato aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, non potendo arguire in via unilaterale un automatismo negoziale di revisione ad ogni aumento del prezzo;
- non risulta conforme ai principi di imparzialità e buon andamento (ex 97 Cost.), né ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità sanciti dall’ordinamento nazionale e comunitario, un’interpretazione che non ancori l’aumento del prezzo alla dimostrazione dell’aumento dei costi di produzione;
- il procedimento di revisione dei prezzi rientra in una facoltà discrezionale, sia in relazione all’an della revisione che al quantum, che sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve essere impugnato nel termine decadenziale di legge[4], anche in caso di diniego[5], rilevando che in caso di inerzia l’impugnazione del silenzio inadempimento prestato dall’Amministrazione non comporta in via diretta l’accertamento del diritto da parte del giudice, non potendo questi sostituirsi all’Amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa[6];
- la finalità dell’istituto è da un lato quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle Pubbliche Amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte[7], dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto[8].
Nei termini delineati, il diritto alla revisione dei prezzi, inteso come diritto alla rinegoziazione degli stessi, a prescindere dai relativi esiti, consegue alla sopravvenienza di fattori imprevedibili che hanno alterato l’originario equilibrio sinallagmatico comporta per l’aggiudicatario un onere di documentare concretamente le sopraggiunte necessità di aspirare ad un diverso bilanciamento delle reciproche posizioni economiche, che verranno valutate dalla P.A. avuto riguardo alla comparazione con l’interesse pubblico alla qualità della fornitura.
In assenza di una allegazione probatoria l’aumento unilaterale del prezzo negoziato non può ritenersi ammissibile: l’adeguamento ex post si palesa piuttosto come una contestazione delle condizioni condivise, confermando – nel quadro normativo vigente – l’obbligatorietà di prevedere tale condizione revisionale al momento della lex specialis, essendo vietata ogni modificazione (rectius variante) al contratto in sede di esecuzione[9], con le riserve previste dell’art. 106 «Modifica di contratti durante il periodo di efficacia» del d.lgs. n. 50/2016 e con autorizzazione del RUP (e le comunicazioni ANAC in tema di trasparenza)[10].
L’indicazione operativa è l’inserimento nel bando di gara di una clausola di revisione dei prezzi da riprodurre nel contratto al di sopra di una certa (nel senso di definita puntualmente in numero) percentuale di aumento, in presenza di elementi probatori e documentati oggettivamente, rientrando nell’alea dell’operatore economico quelle oscillazioni di mercato che conseguono nelle ordinarie negoziazioni[11].
[1] Cons. Stato, 14 luglio 2014, n. 3684.
[2] Si tratta di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del privato contraente, Cons. Stato, sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25.
[3] Cons. Stato, sez. III, 19 giugno 2018, n. 3768, dove è stato chiarito che nel nuovo Codice degli appalti la revisione non è obbligatoria per legge come nella previgente disciplina, ma opera solo se prevista dai documenti di gara, questo comporta l’inapplicabilità della giurisprudenza precedente sulla natura imperativa e sull’inserimento automatico delle clausole relative alla revisione prezzi e alla loro sostituzione delle clausole contrattuali difformi.
[4] Cons. Stato, sez. V, 27 novembre 2015, n. 5375; sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4207; sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465 e 3 agosto 2012, n. 4444; Cass., SS.UU., 30 ottobre 2014, n. 23067.
[5] In ipotesi di condotta inerte o diniego dell’Amministrazione compulsata vi è la necessità di avvalersi dei rimedi previsti a tutela dell’interesse legittimo nella forma del silenzio – rifiuto conseguente ad istanza formale, Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465.
[6] Cons. Stato, sez. III, 29 marzo 2019, n. 2107.
[7] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295 e sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994.
[8] Cons. Stato, sentenza n. 25/2017.
[9] Neppure la P.A. dispone di un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto, ma solo di un diritto potestativo di recesso in caso di mancato accordo tra le parti sulla riduzione del prezzo o delle prestazioni, controbilanciato da analoga potestà dell’appaltatore di sciogliersi dal vincolo, ai sensi dell’art. 9 ter, d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con legge 6 agosto 2015, n. 125, Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1937.
[10] Cfr. ANAC, Atto di segnalazione n. 4 del 13 febbraio 2019 «Concernente gli obblighi di comunicazione, pubblicità e controllo delle modificazioni del contratto ai sensi dell’art. 106 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50».
[11] L’oggetto può essere esteso, rispetto alla previsione originaria, esclusivamente se previsto ab origine in fase di pubblicazione del bando di gara, a condizione dell’esatta individuazione dell’oggetto della stessa, circoscrivendo più possibile l’ambito della potenziale estensione e determinando in via anticipata il corrispettivo massimo rispetto all’impegno che l’aggiudicatario assume, in modo da garantire una effettiva par conditio tra i concorrenti, T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 7 febbraio 2018, n. 74.