La sez. IV, del Consiglio di Stato, con la sentenza 1 giugno 2020, n. 3405, interviene per definire la corretta determinazione degli oneri, anche in relazione alla loro esenzione.
La questione parte dall’imposizione del Comune ai ricorrenti del pagamento del contributo concessorio in dipendenza del rilascio di un titolo abilitativo (concessione edilizia per un intervento di ampliamento di un edificio unifamiliare esistente), ritenendo non dovuto, ai sensi dell’art. 9, lett. d), legge n. 10/77 («per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari», una deroga al principio di doverosità), senza possibilità di rideterminazione ex post del contributo, in sede di esercizio del potere di autotutela.
Giova rammentare che in tema di controversie relative all’an e al quantum degli oneri di urbanizzazione, l’azione volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri (di urbanizzazione) può essere intentata a prescindere dall’impugnazione o esistenza dell’atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, e, quindi, avente a oggetto diritti soggettivi, proponibile nel termine prescrizionale dinanzi al giudice amministrativo attesa la sua cognizione esclusiva ex art. 133, comma1, lettera f), cod. proc. amm.[1].
Inoltre, le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio[2].
In prime cure:
- l’accertamento postumo è risultato legittimo, potendo l’Amministrazione, per la natura del contributo, pretenderlo anche dopo il rilascio della concessione edilizia;
- la norma non applicabile in considerazione della sua ratio, posta a favore delle necessità abitative del singolo nucleo familiare verso interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile, senza elevare il valore economico del bene, nell’ottica di migliorare in loro favore le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi;
- non potendo prendere in considerazione, a parametro della norma, il volume e la superficie dell’intero edificio, creando un’ulteriore autonoma unità abitativa, con conseguente mutamento della realtà strutturale e della fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione («non solo un ampliamento “fisico” dell’edificio, ma anche il recupero ai fini abitativi di locali accessori… che venivano ridestinati ad uso abitativo», determinando il superamento del limite normativo per l’esenzione dal contributo).
Il Tribunale di seconde cure rigetta l’appello con le seguenti motivazioni:
- l’Amministrazione dava prova del superamento del limite percentuale: «accertava che il progetto prevedeva un ampliamento della parte abitativa in misura di almeno il 33%» (donde, piena legittimità della richiesta a seguito di un accertamento successivo al rilascio del titolo);
- la verifica dimostrava che l’ampliamento previsto superava di gran lunga il 20%, sia in termini di superficie utile, sia in termini di volume abitabile;
- non risulta possibile prendere a riferimento, ai fini dell’esenzione dal contributo (ex 9 della legge n. 10/1977), l’intero volume dell’edificio, applicando, ai fini del rispetto del limite di legge del 20%, il rapporto volumetrico tra l’esistente e quello di risultanza, essendo l’ampliamento finalizzato a migliorare l’abitabilità dell’edificio: sono esclusivamente le parti abitabili a dover essere prese a riferimento per l’applicazione della percentuale del 20% (una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con la funzione dell’esenzione, finendo per incentivare la realizzazione di ampliamenti di carattere esclusivamente lucrativo);
- il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi[3];
- la determinazione del contributo è indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere;
- sussiste l’assenza di qualsivoglia rapporto di sinallagmaticità tra la realizzazione delle opere di urbanizzazione, da parte dell’Amministrazione comunale, ed il pagamento degli oneri concessori, da parte del richiedente il titolo edilizio[4];
- gli oneri (rectius contributo di costruzione) si qualificano per la loro natura privatistica – e non anche pubblicistica – degli atti con i quali l’Amministrazione comunale ne determina o ridetermina in quantum;
- l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo[5];
- l’atto di imposizione e di liquidazione del contributo si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari, trattandosi di un atto che si sostanzia nella mera quantificazione (alias liquidazione) di una obbligazione ex lege (ai sensi dell’art. 16 d.P.R. n. 380/2001) a carico del richiedente il titolo autorizzatorio edilizio, sul quale grava una posizione giuridica soggettiva di “obbligo” a fronte del diritto soggettivo di credito della P.A.;
- l’Amministrazione ha il potere/dovere di apportare modifiche a siffatte determinazioni tutte le volte in cui la stessa si sia discostata dai parametri summenzionati – aventi natura cogente, con esclusione di qualsivoglia discrezionalità applicativa[6], questo anche in senso “sfavorevole” al privato, purché nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito[7].
- in materia di edilizia il pagamento degli oneri concessori rappresenta la regola, con la conseguenza che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe, da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste dalla legge[8].
Tutte le considerazioni che precedono, impongono alla P.A. (obbligo privo di discrezionalità) di rideterminare il contributo qualora accerti la corretta debenza (in presenza di un precedente erroneo calcolo o valutazione), come nel caso di specie.
[1] Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2016, n. 2394.
[2] Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2017, n. 2567.
[3] Mentre il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla collettività comunale riguardo alla trasformazione del territorio assentita al singolo, il contributo per costo di costruzione, che è rapportato alle caratteristiche e alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé valutata. L’obbligazione contributiva per costo di costruzione, infatti, è fondata sulla produzione di ricchezza connessa all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria, T.A.R. Liguria, sez. I, 28 marzo 2013, n. 552.
[4] Cons. Stato, Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12.
[5] Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2015, n. 5412 e sez. V, 13 giugno 2003, n. 3332.
[6] Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6033.
[7] Cons. Stato, Ad. Plen., n. 12/2018; sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6033 e 17 settembre 2010, n. 6950.
[8] Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3422 e sez. V, 7 maggio 2013, n. 2467.