Una lettura (diritto di) critica e creativa: sempre più spesso nel mondo degli influencer e dei social network si pretenderebbe di postare ogni cosa (termine generico), pensando (il legislatore) di imbrigliare le opinioni con norme (l’art. 11 ter, Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media, di nuovo innesto nel DPR n. 62/2013) discutibili sulle libertà di pensiero (ex art. 21 Cost.), confondendo il diritto (quello incerto dei socratici ai postulati della scienza) da rivendicazioni arbitrarie, dove il vivere comune esigerebbe più che prudenza un nobile ritegno, nel senso di pretendere il possibile (sono i tempi moderni del “tutto e subito”, antitetici all’ideale stoico: saggezza, temperanza, giustizia e coraggio).
Il mondo dell’accesso
Fatta questa soave premessa di fondo, in nome di una dimensione (suggestiva) della trasparenza, non necessariamente sul modello FOIA (dell’accesso civico generalizzato introdotto dal d.lgs. n. 97/2016, il riconosciuto “right to know”), si ricorre al giudice per esigere l’accesso al “verbo” (logos), sia nella sua rappresentazione grafica (appunti/minute) che in quella verbale (dialoghi), dando a questi aspetti (inconsueti del diritto) una dimensione “salvifica” al sapere (invocando l’art. 15 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789: «La società ha il diritto di chiedere conto della sua amministrazione ad ogni pubblico funzionario»), impugnando atti “endoprocedimentali”, privi di ogni valenza documentale o provvedimentale (capaci di creare il c.d. arresto, ossia una lesione immediata), per rimanere essenzialmente “impressioni/opinioni” non ancora assunte ad una qualche funzione istruttoria o procedimentale, rimanendo intimamente legati alla sfera personale invalicabile, cioè (con funzione dichiarativa) indifferente al mondo della tutela (ex art. 24 Cost.) e dell’accesso procedimentale (ex art. 22 ss. della legge n. 241/1990).
Le sentenze che seguono esprimono orientamenti consolidati in termini di diniego di accesso agli atti inesistenti e endoprocedimentali.
I colloqui privi di lesività
La sez. III Milano del TAR Lombardia, con la sentenza 29 novembre 2023, n. 2861, nega una qualche funzione provvedimentale ad un colloquio (digitale) tra Sindaco e Dirigente, relativo al rilascio di un titolo (autorizzazione ad un passo carraio): la richiesta di giustizia, con l’adozione di una decisione in forma semplificata, viene ritenuta inammissibile per difetto di interesse, essendo un atto privo di attitudine lesiva.
Invero, il ricorso viene rivolto ad una comunicazione, tramite posta elettronica, tra Dirigente e Capo dell’Amministrazione, con la quale si vorrebbe (dal ricorrente) attribuire un diniego al rilascio (diniego manifestato dal Sindaco, un organo incompetente ex lege, ai sensi dell’art. 107 del TUEL e del Codice della strada), ergo si determinerebbe un arresto procedimentale, assumendo così una portata direttamente lesiva.
Il colloquio mediante scambio di corrispondenza:
- è privo di valore provvedimentale, in quanto non reca alcuna determinazione amministrativa, non incide la sfera giuridica del destinatario in ordine alla richiesta: manca la decisione;
- la nota rimane una comunicazione con la quale il Dirigente riferisce l’esito del colloquio avuto con il Sindaco (peraltro, sollecitato dalla parte ricorrente);
- nemmeno la nota dei motivi ostativi assume valore provvedimentale, rimane un atto endoprocedimentale, come tale non impugnabile.
La nota, precisa il GA, si colloca nella dialettica di un procedimento aperto ma non concluso a fronte di una istanza, seppure riporta l’opinione del Sindaco, «cui, del resto, non compete l’adozione del provvedimento finale, riservato alla valutazione del Dirigente di settore».
In effetti, siamo in presenza, seppure riportato in un appunto scritto di lavoro, di un dialogo tra chi manifesta un intento di politica territoriale (il Sindaco) e il Dirigente che riferisce su una questione amministrativa, come dovrebbe essere nei corretti rapporti tra “Politica” e “Amministrazione” e come riporta il Tribunale: «non si tratta di un parere vincolante, né di un atto che manifesta una precisa determinazione amministrativa, limitandosi a riferire dell’“intenzione” dell’amministrazione di non autorizzare alcuna richiesta ad operare all’interno della “futura fascia di allargamento di via …”; intenzione riferita anche ad attività di “posa di cartellonistica” e pertanto neppure calibrata in modo puntuale sulla specifica istanza presentata»: solo a fronte di un provvedimento decisionale, espresso al termine del procedimento, la tutela processuale opera.
Il brogliaccio
In altro contesto, è stato negato l’accesso al c.d. brogliaccio (appunti)[1], a prescindere dalla natura “segreta” dello svolgimento della seduta deliberante, poiché costituisce un mezzo con il quale un soggetto (caso di specie, un Segretario comunale) riporta la sintesi degli interventi che poi sono riprodotti nel verbale di seduta, documento che viene allegato al provvedimento deliberativo.
La sez. V del Cons. Stato, con la sentenza del 1° dicembre 2023, n. 10430, nell’affrontare una actio ad exhibendum ha confermato l’inesistenza in fatto di un verbale, documento che fa prova fino a querela di falso e contiene una sintesi dettagliata delle attività svolte dall’organo e gli estremi necessari ad individuare l’imputazione della volontà decidente, compresa la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha compilato, non potendo assumere tale funzione il “brogliaccio” del verbalizzante: l’atto è dunque inesistente.
In assenza di prova della effettiva esistenza e disponibilità della documentazione richiesta, non è possibile ingiungere a un’Amministrazione di consentire l’accesso ad alcunché, perché si tratterebbe di ordine che risulterebbe per definizione insuscettibile di essere eseguito: al cospetto di una dichiarazione espressa di inesistenza di un determinato atto, non vi sono margini per ordinare l’accesso, rischiandosi altrimenti una statuizione impossibile da eseguire per mancanza del suo oggetto, che si profilerebbe, dunque, come inutiliter data[2].
Viene precisato che gli appunti del Segretario comunale non equivalgono di certo al verbale vero e proprio della seduta (che costituiva l’effettivo oggetto della richiesta dell’appellante) e non è, comunque, ostensibile trattandosi di una “brutta copia” che non può essere considerata documento, ai sensi degli artt. 22 ss. della legge n. 241 del 1990, in quanto le “minute” «rappresentano semplici appunti finalizzati alla redazione di documenti veri e propri”, tanto più se essi integrano “scritti informali […] privi di firma o di sigla, ancorché presenti nel fascicolo di ufficio”»[3].
Le minute che riportano gli scritti/appunti del verbalizzante non corrispondono al “verbale”[4], quest’ultimo atto che possiede l’efficacia dell’atto pubblico (ex art. 2700 c.c.) accessibile una volta formato e sottoscritto nei termini previsti dalla disciplina di riferimento: gli “appunti interni”, ovvero i “documenti preparatori”, da includere “brogliacci” oppure le note “informali interne al singolo ufficio privi di firma o di sigla”[5], non si innestano in alcun modo all’iter procedimentale, essendo privi di alcun valore amministrativo non assumendo la natura giuridica di documento amministrativo accessibile (rimanendo nella sfera di dominio del suo autore, che può farne libero uso, compresa la sua cancellazione o dispersione nel cestino on line e in quello in cui «si gettano le carte inutili»)[6].
La registrazione personale
In solare aderenza la sez. I Parma, del TAR Emilia Romagna, con la sentenza 29 settembre 2022, n. 275, conferma che la registrazione quando eseguita non in adempimento di una mansione d’ufficio, ma al solo scopo di facilitare il soggetto verbalizzante nella stesura del verbale (atto amministrativo), da sottoporre all’approvazione dell’organo titolato, risulta equiparabile alla c.d. minuta o brogliaccio[7].
La registrazione fatta da colui che deve poi stendere il verbale di seduta non assurge alla qualità di documento amministrativo accessibile, secondo l’accezione di cui all’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241/1990, neppure ad atto interno, endoprocedimentale, ovvero preparatorio del ridetto verbale.
Il Giudice di prime cure, ribadisce che non si tratta infatti di documento amministrativo, ma di un mero ausilio, riconducibile a semplici appunti, che il Segretario verbalizzante utilizza per la formazione del verbale della seduta: quest’ultimo soltanto è il documento amministrativo accessibile.
In assenza di un obbligo giuridico di registrare, non vi è neppure un correlato dovere alla sua conservazione, dovendo affermare che risulta pacifico che il contenuto della registrazione, posta in essere volontariamente dal Segretario per sua mera comodità nella successiva verbalizzazione, si configura come una minuta accessibile per la parte che confluirà nel verbale di seduta, sottoscritto con l’atto deliberativo.
(pubblicato, dirittodeiservizipubblici.it, 11 dicembre 2023)
[1] Il c.d. brogliaccio, formato dal Segretario comunale per la successiva redazione del testo di una delibera consiliare, in quanto relativo ad appunti in ordine alle opinioni espresse e alle valutazioni manifestate dai membri consiliari non integrano un documento amministrativo, TAR Lombardia, Brescia, 31 dicembre 2003, n. 1823.
[2] Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 2023, n. 9622.
[3] Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 1663 del 2014.
[4] Va precisato che il verbale redatto dal pubblico ufficiale «non attiene al procedimento deliberativo, che si esaurisce e si perfeziona con la proclamazione del risultato della votazione, ma assolve ad una funzione di mera certificazione dell’attività dell’organo deliberante», rilevando che «la deliberazione consiliare ha una autonomia rispetto al verbale di seduta e che la “cura della verbalizzazione” delle sedute del consiglio e della giunta sono riservate, ai sensi dell’art. 97, comma 4, del … decreto legislativo n. 267/00, direttamente al segretario comunale. La manifestazione di volontà del consiglio comunale, infatti, necessita, ad substantiam, di una esternazione costituita dal processo verbale, redatto dal segretario dell’ente, il quale pone in essere, mediante la verbalizzazione, un’attività strumentale di documentazione dell’atto», MI, Territorio e autonomie locali, Parere, Impossibilità di sottoscrizione a termini di legge dei verbali di seduta consiliare, 20 gennaio 2021.
[5] TAR Lazio, Roma, sez. I quater, 30 giugno 2023, n. 10947.
[6] Nella sua prima definizione, reperibile in treccani.it/vocabolario/cestino/.
[7] TAR, Lombardia, Milano, sez. III, 13 marzo 2009, n. 1914.