La competenza gestionale tra organi elettivi e organi tecnici impone il rispetto del principio di separazione, principio di derivazione costituzionale in relazione ai parametri di imparzialità e buon andamento (ex art.97 Costituzione Italiana).
L’obiettivo è quello di garantire nella gestione della res pubblica (del denaro pubblico) l’affermarsi di regole di trasparenza e pubblicità (di derivazione comunitaria), consentendo – a tutti – (caso di specie professionisti, imprese) di poter partecipare all’esercizio dell’azione amministrativa in condizioni di parità e di concorrenza (libertà di mercato).
Ciò posto, il sistema delineato affida l’attività gestionale agli organi tecnici (scelti generalmente per concorso o procedura selettiva), capaci di rispondere secondo regole prestabilite dalla legge (ex art. 98 Costituzione Italiana: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”) e senza vincoli di consenso (politico), agendo – in definitiva – secondo norme protese alla scelta del migliore contraente (a seguito di gara, senza osservare regole di vicinanza o colleganza).
Forse (?) è per questo che abbiamo ricevuto “in dono” la Legge 6 novembre 2012, n.190, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, protesa ad impedire fenomeni di deviazione o devianza; perché, si direbbe, la corruzione si combatte con le leggi…
Infatti, basterebbe fare una legge è la corruzione… “Felice Roma, se si fosse accontentata di queste poche leggi e avesse cercato poche novità… nei tempi recenti in cui la legislazione è aumentata in misura così sorprendente l’ordinamento pubblico della città è stato corrotto dall’accumularsi di tante leggi”, PAGANO, Il mito “delle Dodici Tavole”: le leggi poche e chiare, in Politicum universae Romanorum nomothesiae examen, 1768.
Invero, la trasparenza, insieme alla responsabilità e all’efficienza amministrativa, si “configura come elemento chiave specie di prevenzione di fenomeni patologici, sino a quelli, particolarmente gravi, della corruzione. La semplificazione vale a dire un drastico ridimensionamento della iper – regolamentazione che complica e ingolfa, talvolta addirittura ingessa, l’economia con grave danno di essa. Semplificare significa, comunque, rispettare il principio di legalità: la necessità, cioè, di affermare il primato della legge nell’esercizio del potere politico, amministrativo ed economico, a prescindere dalle variabili e contingenti maggioranze politiche, dal momento che il principio di legalità, inteso in tutta la sua ricchezza costituzionale di forza e misura dell’esercizio del potere, è la precondizione della libertà e del rilancio economico, sociale del Paese… Il non rispetto delle regole è un problema non soltanto etico e di politica, del modo cioè di essere e di configurarsi dei poteri dei pubblici apparati ad essi strumentali, ma anche economico”, GIAMPAOLINO (Presidente Corte Dei Conti), Il problema economico richiede una nuova coscienza sociale: è possibile far quadrare i conti?, Verona 14 settembre 2012.
Una classe dirigente (anche quella politica) non nasce ex nihilo, ma è reclutata, soprattutto in passato (sic!), “mediante cooptazione; di conseguenza essa è specchio di un popolo, sì che è vera la massima che ogni popolo ha il governo che si merita: una classe dirigente scadente è l’espressione di una nazione scadente”, BOBBIO, Saggi sulla scienza politica in Italia, Roma Bari, 1996, pag.232.
Andando oltre al tema, è opportuno soffermarsi sui principi enunciati di “differenziazione”, tra competenza tecnica e competenza politica, oggetto di recente e consolidati pronunciamenti giurisprudenziali (T.A.R. Veneto, sez. I, 6 marzo 2013, n.352).
È noto che “all’interno del sistema di cui al d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.) esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e relativa dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire), e alla seconda quelli di gestione (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 07.04.2011, n. 2154).
Più in particolare, alla giunta (organo elettivo di nomina sindacale ndr) competono tutti gli atti rientranti nelle funzioni "di indirizzo e controllo politico-amministrativo" che non siano assegnati agli altri organi di governo (artt. 48 – 107 T.U. cit., alias dirigenti – posizioni organizzative – responsabili del procedimento ndr), e per converso ai dirigenti, è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell’adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incombendo sugli stessi la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione (art. 107, commi 3 e 6, T.U. cit.).
Alla stregua del ricostruito quadro normativo, non può dubitarsi che le determinazioni relative al conferimento degli incarichi di esecuzione di lavori pubblici, collocandosi nella fase esecutiva – gestionale delle linee programmatiche degli organi politici, rientrino nell’elenco di cui all’art. 107, comma 3, del d. lgs. 267/2000, e siano, pertanto, di stretta competenza dirigenziale, anche per il decisivo rilevo che, essendo rimessa ai dirigenti la responsabilità delle procedure di appalto, ai medesimi competa anche il conferimento dei relativi incarichi esecutivi, la cui assegnazione è senz’altro contraddistinta dall’esercizio di una discrezionalità di tipo tecnico che non può che ricadere nell’ambito delle competenze gestionali, a meno che non si tratti di incarichi di consulenza di diretto supporto agli organi politici, ricadenti nella competenza del sindaco in base al combinato disposto di cui agli artt. 50 e 110 del richiamato d.lgs. 267/2000 (cfr., T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 23.03.2000, n. 1248).
Alla luce dei rilievi che precedono, deve ritenersi fondata la censura di incompetenza della giunta municipale in ordine all’adozione” della deliberazione “di affidamento dell’incarico di esecuzione dei lavori, in funzione della competenza del dirigente di settore, come dedotta nel primo motivo di ricorso”.
Inoltre è da affermare che il mancato conferimento dell’incarico esecutivo di direttore dei lavori prioritariamente al personale interno è indice di potenziale illegittimità.
“Ed infatti, ai sensi dell’art. 27, comma 2, della legge n. 109/1994, nell’affidamento della direzione dei lavori, l’amministrazione deve procedere nell'ordine indicato dalla norma, ovvero affidare l’incarico di direzione lavori in primo luogo a dipendenti propri o di altra amministrazione convenzionata, poi al progettista e solo in ultima battuta a soggetti esterni diversi, comunque scelti nel rispetto delle norme comunitarie, mentre è illegittimo procedere direttamente all’affidamento esterno, senza che negli atti impugnati si rinvenga la motivazione a supporto di detta scelta (cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 4 marzo 2008, n. 399).
Nel caso di specie, l’Amministrazione comunale dopo aver rilevato la "grave carenza di personale" all’interno dei propri uffici tecnici…, avrebbe dovuto rispettare (ma non l’ha fatto) l’ordine di priorità previsto dal richiamato art 27 della legge 104/1994 e procedere, pertanto, al conferimento dell’incarico esecutivo di direttore dei lavori anzitutto al ricorrente, in qualità di affidatario dei precedenti incarichi di progettazione (preliminare, definitiva ed esecutiva) delle opere in questione, e soltanto in via residuale ad altro professionista, in caso di indisponibilità del menzionato progettista.
Sotto altro profilo, l’impugnata delibera comunale risulta, altresì, affetta dal prospettato vizio di motivazione, non avendo specificatamente esternato le ragioni in base alle quali non è stato rispettato il suesposto ordine di priorità nell’affidamento dell’incarico di direttore dei lavori”.
Tale svista è fonte di colpevolezza da parte della Giunta comunale che il Collegio giudicante individua “nelle palesi illegittimità da essa poste in essere, come censurate nei proposti motivi di doglianza” e “ritiene raggiunti, sia nell’an che nel quantum, adeguati elementi probatori circa la sussistenza del danno cagionato al ricorrente che va quantificato, in via equitativa, nella somma percepita dal controinteressato come compenso per l’espletamento dell’incarico di direttore dei lavori, affidatogli con l’impugnata delibera di giunta comunale”, T.A.R. Veneto, sez. I, 6 marzo 2013, n.352.