La tripartizione del diritto di accesso nelle sue dimensioni essenziali viene affrontata, dopo aver chiarito le sue definizioni, procedendo nel dipingere le distinzioni tra il nuovo diritto di accesso civico (d’ora in avanti “accesso generalizzato”), con gli altri diritti: di accesso civico semplice (d’ora in poi “accesso civico”) e il diritto di accesso documentale o difensivo.
Il diritti di “accesso generalizzato” è quello previsto dal comma secondo dell’articolo 5 del d.lgs. n. 33/2013, che si traduce in un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti (le “informazioni” non sono riportate nel citato comma, riprodotte invece nel primo comma) detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto al diritto di “accesso civico”, quello definito dal primo comma dell’art. 5 con obbligo di pubblicazione.
Il diritto di “accesso generalizzato”:
a. ha la finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, ed ecco perché non va motivato;
b. è uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa;
c. integra il diritto ad una buona amministrazione;
d. concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino.
Per tali ragioni coincide con gli scopi del diritto di “accesso civico”, rispondendo entrambi i diritti ad un principio generale di “trasparenza” dell’azione amministrativa e di strumento di controllo democratico sul suo operato, ma contiene l’“accesso generalizzato” qualcosa in più, rispetto al diritto di “accesso civico semplice”, non essendo solo strumentalmente all’adempimento degli obblighi di pubblicazione, essendo proiettato a costituire un diritto “di libertà” all’accesso totale dei dati e dei documenti, in analogia agli ordinamenti aventi il Freedom of Information Act (F.O.I.A.), ove il diritto all’informazione è generalizzato e la regola generale è la trasparenza mentre la riservatezza e il segreto eccezioni.
In termini diversi, il diritto di accesso generalizzato (quello del comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013) si configura come diritto alla titolarità diffusa, trovando gli unici limiti tra quelli previsti espressamente dall’art. 5 bis del decreto trasparenza: tali principi devono essere recepiti in sede di interpretazione applicativa: i dinieghi (ma anche gli accessi, come avremo modi di chiarire) devono essere motivati nei limiti tassativi della norma.
Da queste premesse, l’ANAC intende approfondire l’argomento, segnando il terreno dell’accesso generalizzato rispetto agli altri accessi:
a. “Distinzione fra accesso generalizzato e accesso civico”: l’accesso generalizzato non sostituisce l’accesso civico “semplice” che rimane circoscritto agli obblighi di pubblicazione del decreto trasparenza e coincide per legittimazione ma l’accesso generalizzato, si legge nella Linea guida, è destinato a muoversi su binari differenti (questo per l’inciso inserito all’inizio del comma 5 dell’art. 5, “fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria”). La distinzione risiede nella diversa natura e autonomia dell’“accesso generalizzato” rispetto a quello “civico semplice” (limitato ai obblighi di pubblicazione) non trovando alcun ristringimento se non nei casi delle eccezioni assolute (quelle dell’art. 5 bis, comma 3), o dei limiti relativi o qualificati (quelli dell’art. 5 bis, commi 1 e 2);
b. “Distinzione fra accesso generalizzato e accesso agli atti ex l. 241/1990”: l’accesso generalizzato va distinto dalla disciplina dell’accesso documentale della legge n. 241/1990, avendo quest’ultimo una finalità differente ed è quella di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari. Più precisamente nel “diritto di accesso documentale” è necessaria la dimostrazione di una legittimazione soggettiva e non può essere il mezzo per sottoporre l’amministrazione a un controllo generalizzato, ciò che invece perseguono l’accesso civico e l’accesso generalizzato.
L’accesso agli atti della legge n. 241/1990 ha presupposti diversi rispetto agli altri due accessi e opera più in profondità rispetto al diritto di accesso generalizzato, quest’ultimo più esteso perché comporta, di fatto, una larga conoscibilità e diffusione di dati, documenti e informazioni, rilevando – in ogni caso – che l’accesso tradizionale prevale sulle ragioni di riservatezza quando la conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (ex comma 7 dell’art. 24 della legge n. 241/1990): tutto questo non è ammissibile per l’accesso generalizzato.
Viene precisato, tuttavia, che se l’ordinamento è proiettato a salvaguardare il favor per la trasparenza totale, che diviene la regola, temperata solo dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi (pubblici e privati) che possono essere lesi/pregiudicati dalla rivelazione di certe informazioni, è altrettanto vero che permangono ipotesi “residuali in cui sarà possibile, ove titolari di una situazione giuridica qualificata, accedere ad atti e documenti per i quali è invece negato l’accesso generalizzato”.
Sarà difficile, quindi, esercitare l’accesso generalizzato in presenza di un diniego di accesso documentale, specie se motivato con esigenze di “riservatezza” pubblica o privata, rilevando (non è vero?) che l’accesso documentale presenta una forza maggiore rispetto all’accesso generalizzato, e, di converso per una relazione di proprietà transitiva, in presenza di un accesso generalizzato ragioni di coerenza sistematica (oltre che di ragionevolezza, si potrebbe dire) impediscono di denegare l’accesso documentale: si ammette che – una identità di fondo – è rispecchiabile tra i due diritti.
Appare evidente che il quadro delineato presenta delle sovrapposizioni (questa circostanza è varie volte ripresa nel documento), sia di ordine metodologico che di contenuto giuridico, apprestando l’operatore ad un’attività di coordinamento di norme che possono creare confusione e fraintendimenti nella collocazione del diritto tra i diversi diritti di accesso analizzati, oltre a indicare il quadro normativo applicabile alla singola richiesta, dove spesso le sfumature possono indurre una qualificazione diversa della fattispecie, soprattutto quando il controinteressato formula le proprie argomentazioni, inserendo l’istanza ostensiva in una diversa posizione rispetto a quella pretesa dal richiedente.
Il precipitato di una errata collocazione si riverbera sul procedimento di accesso e sulle norme ad esso applicabili (intervenendo anche sui profili di responsabilità):
a. l’accesso civico generalizzato trova collocazione nel comma 5 e 6 dell’articolo 5 del d.lgs. n. 33/2013;
b. l’accesso civico semplice nel comma 6 dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013;
c. l’accesso documentale nell’art. 25 della legge n. 241/1990;
d. le altre forme di accesso previste dal Capo V della legge n. 241/1990, ai sensi dal comma 11 dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 (ingenerando non qualche perplessità espositiva).
In caso di diniego totale o parziale o di silenzio i procedimenti sono tutti diversificati, pur mantenendo sugli stessi piani il diritto di accesso civico e quello generalizzato (il comma 7, dell’art. 5 – in verità – si sofferma, nel secondo capoverso, solo sull’accesso generalizzato), con possibilità di riesame al RPCT e di ricorso al Difensore civico o al Tribunale amministrativo regionale, secondo le previsione del d.lgs. n. 104/2010.
Non va sottaciuto che la tecnica legislativa richiama il regolamento in materia di diritto di accesso (ex art. 3 del d.p.r. n. 184/2006) in presenza di controinteressati, anche con un periodo di sospensione prima di dar corso all’accesso civico, consentendo al dissenziente di formulare richiesta di riesame, o di ricorrere al Difensore civico o al giudice (commi 7, 8 e 9 dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013).
Si può comprendere, allora, che tutto l’insieme di regole e di procedure necessitano di un specifico procedimento attuativo, definito direttamente dal legislatore, ma lasciato al singolo “caso per caso” nel stabilire il percorso da seguire, con un estensione di casistiche di non facile coordinamento e comprensione, specie per il continuo uso della tecnica del cd. rinvio mobile alla disciplina della legge n. 241/1990, oltre alle fasi sospensive attinenti alla procedura seguita: la procedimentalizzazione spinta non sembra rispondere a ragioni di semplificazione, facendo coesistere più discipline sul medesimo diritto di accesso civico.
(ESTRATTO Il diritto di accesso: documentale, civico e generalizzato alla luce della linea Guida ANAC n. 1309/2016, Comuni d’Italia, 2017, n. 3)