A seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, alla struttura burocratica della P.A. è stata attribuita la competenza “esclusiva” nella gestione dell’attività amministrativa, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mentre agli organi di governo sono rimaste le funzioni di indirizzo politico; con specifico riguardo agli Enti locali, il D.Lgs. n. 267/2000 dispone all’art. 107 che gli statuti ed i regolamenti si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico – amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica compete in via esclusiva ai dirigenti.
Vi è poi da dire che la scelta della dirigenza, o più in generale, di un dipendente pubblico da assumere in servizio nella P.A. dovrebbe avvenire per “concorso” (cfr. ultimo comma articolo 97 Cost.) o, quanto meno, attraverso una procedura pubblica di “comparazione” tra più candidati al posto (in una vera forma di selezione sotto il profilo sostanziale).
L’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico nella P.A., necessità di una procedura aperta e trasparente con l’obiettivo di selezionare la professionalità che dimostra maggiore capacità e preparazione.
La prima sezione del T.A.R. Basilicata, con la sentenza 14 agosto 2013 n. 499, si sofferma su tali tematiche, dichiarando che la nomina in servizio nella P.A. – senza concorso – non è legittima.
Allora, come si potrebbero conciliare (dall’astrattezza al concreto) questi precetti con le previsione inserite nella Legge 190 del 2012 (c.d. “legge Severino”) “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”?
Leggiamo l’articolo 1, comma 39 della citata legge: “Al fine di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché le aziende e le società partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici, in occasione del monitoraggio posto in essere ai fini dell’articolo 36, comma 3, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, comunicano al Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite degli organismi indipendenti di valutazione, tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione. I dati forniti confluiscono nella relazione annuale al Parlamento di cui al citato articolo 36, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e vengono trasmessi alla Commissione per le finalità di cui ai commi da 1 a 14 del presente articolo”.
Uno potrebbe chiedersi… “ma il principio di separazione, quale metodo di rafforzamento dell’imparzialità (ergo lotta alla corruzione; ergo abuso dell’esercizio della funzione pubblica a fini personali), è ancora conciliabile con la scelta discrezione della dirigenza?”.
La risposta è (forse) inserita nella domanda: “L’esaminatore fu prima stanco d’interrogare, che la sventurata di mentire: e, sentendo quelle risposte sempre conformi, e non avendo alcun motivo di dubitare della loro schiettezza, mutò finalmente linguaggio; si rallegrò con lei, le chiese, in certo modo, scusa d’aver tardato tanto a far questo suo dovere; aggiunse ciò che credeva più atto a confermarla nel buon proposito; e si licenziò”, MANZONI, I promessi sposi, Milano, 1840, cap. X, pag.205.