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Articolo Pubblicato il 22 Ottobre, 2020

Il diritto di accesso documentale con finalità esplorativa

Il diritto di accesso documentale con finalità esplorativa

La sentenza 20 ottobre 2020 n. 10660 del T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, interviene per affermare la legittimità di un diniego di accesso documentale quando la richiesta si manifesta del tutto generica e con una funzione esplorativa, priva di una legittimazione capace di azionare quell’interesse qualificato tutelato dall’ordinamento, contrario ad attività della P.A. prive di un valore sostanziale o di una qualche utilità per il destinatario e, più in generale, al buon andamento dell’azione amministrativa.

Va aggiunto che la prova della “necessarietà” della conoscenza dei documenti per curare e difendere i propri interessi giuridici essa deve essere dimostrata su basi meramente presuntive, in relazione, cioè, all’“utilità” che il richiedente potrebbe presumibilmente ricavare dalla conoscenza dei documenti richiesti, da valutarsi in relazione alla situazione giuridica sottesa alla domanda di accesso e all’interesse dedotto dagli istanti[1].

Tale regola è espressione del principio di derivazione costituzionale, ex art. 97 Cost., poiché un obbligo generale come quello di rispondere a tutte le istanze costringerebbe, in ultima analisi, l’Amministrazione ad un impegno sproporzionato di risorse di fronte a qualsivoglia richiesta, per assurdo, anche manifestamente infondata o soltanto emulativa[2].

Il comma 3, dell’art. 24 della legge n. 241/1990 dispone che «non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni», esprimendo una volontà normativa che rifiuta l’ostensione dei documenti amministrativi intesa come strumento di controllo generalizzato sull’operato della Pubblica Amministrazione nei cui confronti l’accesso viene esercitato, dovendo allo stesso tempo dimostrare che:

  • la richiesta è riferita ad un determinato documento – identificato o identificabile – atteso che l’onere della prova, anche dell’esistenza dei documenti rispetto ai quali si esercita il diritto di accesso, incombe sulla parte, non potendo imporsi all’Amministrazione la prova del fatto negativo della non detenzione di essi;
  • la domanda non può comportare la necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte della Pubblica Amministrazione destinataria della predetta richiesta[3].

In effetti, alla luce del principio ad impossibilia nemo tenetur, anche l’eventuale ordine del giudice di esibizione degli atti può riguardare, per evidenti ragioni di buon senso, che i documenti esistenti e non anche quelli non più esistenti o mai formati, spettando (in questo caso) all’Amministrazione destinataria dell’accesso indicare, sotto la propria responsabilità, quali sono gli atti inesistenti che non è in grado di esibire.

Occorre, tuttavia, precisare che non è necessario che, nell’istanza di accesso, il richiedente indichi tutti gli estremi identificativi (organo emanante, numero di protocollo, data di adozione) dell’atto, ma che è sufficiente che nella stessa venga individuato l’oggetto e lo scopo cui l’atto di cui si chiede l’ostensione è indirizzato, così da mettere l’Amministrazione nelle condizioni di comprendere la portata ed il contenuto della domanda e di individuare i documenti senza dover procedere ad alcuna attività istruttoria.

Ne consegue che una richiesta generalizzata di tutta la documentazione tout court, ovvero l’incapacità di provare l’effettiva esistenza e/o di individuare, anche soltanto genericamente, il relativo oggetto, più che essere diretto all’esercizio del diritto di accesso, ha carattere meramente esplorativo, per cui va dichiarata inammissibile[4].

Giova osservare, per ciò che interessa, la distinzione e non sovrapponibilità tra i due istituti dell’accesso documentale e civico generalizzato (ex art. 5, comma 2, del decreto Trasparenza) visto che le nuove disposizioni dettate con il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte della P.A. regolino situazioni non ampliative, né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990.

Con il d.lgs. n. 33/2013, infatti, si intende procedere al riordino della disciplina volta ad assicurare a tutti i cittadini la più ampia accessibilità alle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle P.A., allo scopo di attuare il principio democratico, nonché i principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, quale integrazione del diritto ad una buona amministrazione e per la realizzazione di un’Amministrazione aperta, al servizio del cittadino, potendosi spingere ad una richiesta anche per gli atti che l’Amministrazione non ha l’obbligo di pubblicare (come previsto per l’accesso civico semplice).

La finalità dell’accesso documentale, ex legge 241/90, è ben differente da quella sottesa all’accesso generalizzato ed è quella di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive –che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari:

  • più precisamente, dal punto di vista soggettivo, ai fini dell’istanza di accesso documentale, di cui alla legge n. 241/1990, il richiedente deve dimostrare di essere titolare di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso»[5];
  • mentre la legge n. 241/1990 esclude, inoltre, perentoriamente l’utilizzo del diritto di accesso ivi disciplinato al fine di sottoporre l’Amministrazione a un controllo generalizzato;
  • il diritto di accesso generalizzato, oltre che quello “semplice”, è riconosciuto proprio «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico»;
  • l’accesso agli atti, di cui alla legge n. 241/1090 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non, ex 5 del d.lgs. n. 33/2013), operando sulla base di norme e presupposti diversi;
  • tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi[6].

Fatte queste premesse introduttive, soffermandosi sulla questione affrontata dal giudice amministrativo si tratta di un rigetto ad un’istanza di accesso documentale (anche in relazione al diritto di accesso generalizzato), con la quale si richiedeva l’intera documentazione di un provvedimento di decadenza di una concessione demaniale, nonché della documentazione riferita ad altri operatori economici, il tutto per verificare eventuali disparità di trattamento (discriminazione).

Il Collegio in via preliminarmente inquadra la richiesta come un’istanza di accesso formulata in equivocamente ai sensi della legge n. 241, anche ammettendo che – in via generale – la P.A. ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato[7].

In termini diversi, una volta formulata una richiesta secondo una determinata disciplina non è possibile mutarne l’azione, in una sorta di mutatio libelli nello scrutinio della domanda proposta ai sensi dell’art. 116 c.p.a.., non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere stato nemmeno sollecitato dall’istante: «in altri termini, electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica amministrazione né ammessa – ancorché su impulso del privato».

Il giudizio, quindi, deve essere valutato esclusivamente ai sensi della normativa individuata, non potendo trovare in alcun modo applicazione la diversa modalità di accesso, di cui al d.lgs. n. 33/2013 (c.d. accesso civico/generalizzato), non essendo consentita la conversione della domanda di accesso in corso di giudizio[8].

Ciò posto, la richiesta ostensiva è stata legittimamente rigettata secondo le seguenti motivazioni:

  • è necessario che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto;
  • che preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza;
  • l’esistenza dell’interesse deve collocarsi anteriormente «all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post»;
  • l’interesse deve essere presente e dimostrato ex ante, diversamente un accesso documentale così congegnato assolverebbe ad una finalità espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle Pubbliche Amministrazioni;
  • la finalità esplorativa (caso di specie) è insita nell’istanza volta a invocare circostanze, da verificare tramite l’accesso, che in un modo del tutto eventuale ed ipotetico potrebbe provare una supposta disparità di trattamento;
  • la genericità dell’istanza si connota ex se dal contenuto della stessa avente ad oggetto «tutti gli atti e documenti concernenti i procedimenti di eventuale decadenza e di dilazione dei pagamenti di tutti i concessionari di stabilimenti balneari», difettando, dunque, di qualsivoglia connotato di sia pure solo sufficiente specificazione.

In definitiva, rileva che la richiesta è del tutto generica, obbligando la P.A. ad un’attività di indagine e ricerca di tutti gli atti e i documenti riferiti ai concessionari, o alle relative vicende concessorie, di stabilimenti balneari, in assenza di una delimitazione temporale e di un interesse caratterizzato: l’accesso agli atti della P.A. deve avere ad oggetto una specifica documentazione in possesso dell’Amministrazione, indicata in modo sufficientemente preciso e circoscritto e non può riguardare dati ed informazioni generiche relative ad un complesso non individuato di atti di cui non si conosce neppure con certezza la consistenza, il contenuto e finanche la effettiva sussistenza, assumendo un precipuo carattere di natura meramente esplorativa.

A fronte di una tale vicenda dai lati oscuri e indefinibili, mancando un richiamo se non puntuale almeno delimitativo dei documenti il diniego di accesso agli atti può essere legittimamente opposto in ragione della genericità dell’istanza, sia sotto il profilo dei documenti richiesti, sia sotto quello del labile interesse all’ostensione, atteggiandosi l’indeterminatezza della domanda ad un sostanziale controllo generalizzato sull’attività amministrativa, così per realizzare una sorta di accesso “esplorativo”, senza alcuna chiara indicazione dello specifico e concreto interesse giuridico che dovrebbe sorreggere l’istanza di ostensione, vista anche la mole e l’eterogeneità dei documenti richiesti[9].

[1] T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 11 ottobre 2016, n. 1193.

[2] Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2017, n. 2099.

[3] T.A.R. Marche, Ancona, sez. I, 17 luglio 2020, n. 456.

[4] Cons. Stato, sez. III, 25 maggio 2017, n. 2401.

[5] T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 9 dicembre 2014, n. 1046.

[6] Delibera ANAC n. 1309/2016, «Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art.5 co.2 del d.lgs.33/2013 art. 5-bis, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 14/03/2013».

[7] Cfr. Cons. Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 10 del 2020.

[8] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, sentenza n. 1748/2019.

[9] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 23 gennaio 2020, n. 154. Il diniego di accesso agli atti può essere legittimamente opposto in ragione della genericità dell’istanza, sia sotto il profilo dei documenti richiesti, sia sotto quello del labile interesse all’ostensione, atteggiandosi l’indeterminatezza della domanda in un sostanziale controllo generalizzato sull’attività amministrativa, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 5 marzo 2020, n. 2955.