Il diritto di accesso agli atti amministrativi, delineato dalla Legge n. 241 del 1990, rappresenta un diritto riconosciuto all’interessato (singolo o portatore di interessi pubblici o diffusi) di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi, detenuti da un soggetto che esercita una funzione pubblica, con lo scopo di garantire da una parte, la tutela di una situazione giuridica rilevante (in grado di incidere i propri interessi), dall’altra garantire la partecipazione all’azione amministrativa, assicurando (così facendo) l’imparzialità e la trasparenza.
Imparzialità e trasparenza ritenuti valori primari dell’agire pubblico, in aderenza ai principi costituzionali di eguaglianza e buona amministrazione (ex artt. 3 e 97 Cost.), in un rapporto di collaborazione e fiducia tra P.A. e cittadino, dove l’agire pubblico (ovvero, l’esercizio della discrezionalità amministrativa) deve sempre poter essere scrutinato nella sua finalizzazione con l’interesse pubblico, sia nell’attività organizzativa del potere (ex art. 5 del D.Lgs. n. 33 del 2013) che in quella eminentemente pratica del rilascio di un titolo (provvedimento autorizzatorio o concessorio).
L’accesso, una volta concesso, è comprensivo dell’estrazione del documento.
Il diritto di accesso risponde all’esigenza conoscitiva del cittadino di essere informato e di poter controllare l’attività pubblica per esercitare i propri diritti fondamentali di libertà, e in questa evoluzione la riforma cd. Madia (Legge n. 124 del 2015) si spinge oltre, garantendo l’accessibilità “ai dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni”, con un’evidente estensione del diritto di accesso, in una visione condivisa, partecipata e on line.
La nuova disciplina riformata esplicita che sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscere i dati, le informazioni e i documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria; viceversa, l’accesso ai documenti amministrativi, disciplinato in generale dalla Legge 1990 n. 241 (per la parte che rimane in vigore, ex artt. 22 ss.), non si correla alla violazione del generale dovere di pubblicità (alias trasparenza) dell’attività amministrativa, declinato secondo i parametri appena richiamati, ma è riferito al “diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi”, intendendosi per interessati tutti i soggetti che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale (la presenza di tale interesse è lo spartiacque), corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso e proprio in funzione di tale interesse “qualificato” la domanda di accesso deve essere motivata.
In effetti, a ben guardare il diritto di accesso a “chiunque vi abbia interesse”, non ha tuttavia introdotto alcun tipo di azione popolare diretta a consentire un qualche controllo generalizzato sulla Amministrazione tout court, ma l’accesso è sempre collegato alla dimostrazione e/o presenza di un “interesse” che, a seconda dei casi definiti dal legislatore, si collega strumentalmente ad una particolare posizione dell’interessato rispetto alla richiesta ostensiva.
In presenza di un collegamento all’attività, all’organizzazione, alle risorse pubbliche impiegate l’interesse è quello “generale” (erga omnes) con la piena accessibilità nei confronti di un soggetto indeterminato e generalizzato (assolvendo alla funzione di trasparenza e pubblicità); mentre, in presenza di un collegamento specifico, l’interesse è quello “particolare” (erga partes) attribuito ad un soggetto determinato.
L’interesse, come finalizzato alla “tutela” di “situazioni giuridicamente rilevanti”, legittima la richiesta di accesso a condizioni prestabilite e qualificate, dando la dovuta prova che tale interesse oltre a essere serio e non emulativo, deve essere “personale e concreto”, ossia ricollegabile alla persona dell’istante da uno specifico rapporto, non presente nella generalità dei consociati: essendo anche necessario che la documentazione, cui si chiede di accedere, sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento.
L’effettiva essenza della qualificazione dell’interesse risiede nell’accertamento della sussistenza di una situazione giuridica differenziata, legittimante la pretesa ad avere accesso agli atti ad un procedimento particolare: l’accesso va garantito qualora sia funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale.
Ne consegue che l’interesse all’accesso ai documenti deve essere valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso e quindi la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante.
Da tempo la giurisprudenza ha sganciato la fondatezza della pretesa all’accesso dalla sussistenza di un preciso interesse legittimo o diritto soggettivo da tutelare e dalla concreta possibilità dell’utilizzazione del provvedimento cui si chiede l’accesso in giudizio, ovvero dalla fondatezza della pretesa fatta valere nel giudizio principale.
Infatti, l’apprezzamento sull’utilità o meno della documentazione richiesta in ostensione non spetta né all’Amministrazione destinataria dell’istanza ostensiva né allo stesso giudice amministrativo adito con la “actio ad exibendum”, bensì al giudice (sia esso amministrativo che ordinario), eventualmente adito dall’interessato, al fine di tutelare l’interesse giuridicamente rilevante sotteso alla pregressa domanda di accesso.
In modo specifico, il responsabile del procedimento di accesso dovrà limitarsi al solo giudizio estrinseco sull’esistenza di un legittimo e differenziato bisogno di conoscenza in capo a chi richiede i documenti, purché non preordinato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato sull’azione amministrativa, espressamente vietato dall’art. 24, comma 3 della Legge n. 241/1990.
Le considerazioni che precedono abilitano l’interprete a sostenere che l a richiesta di accesso agli atti della P.A. può essere proposta anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare la proposizione del ricorso giurisdizionale, dovendosi ribadire l’autonomia dell’interesse a chiedere l’ostensione di determinati documenti rispetto a quello che conduce, eventualmente, l’interessato, ad agire in giudizio per la tutela di determinate posizioni giuridiche.
In sostanza, occorre che il richiedente intenda poter supportare una situazione di cui è titolare, che l’ordinamento stima di suo meritevole di tutela, rientrante nella sfera personale ed esigibile dall’interessato e non collettivamente: non è sufficiente addurre il generico e indistinto interesse di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon andamento dell’attività amministrativa, posizione diversamente azionabile in funzione di dell’accesso civico.
La domanda di accesso non può essere un mezzo per compiere una indagine o un controllo ispettivo, cui sono ordinariamente preposti organi pubblici, perché in tal caso nella domanda di accesso è assente un diretto collegamento con specifiche situazioni giuridicamente rilevanti.
Pertanto, al fine di consentire detto vaglio, il titolare della posizione legittimante deve esternare le ragioni (ex art. 3 della Legge n. 241/1990) per cui intende accedere e, soprattutto, la coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui realizzazione il diritto d’accesso è preordinato.
È noto, in tale disegno, che il differimento dell’accesso va motivato ed è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi, o per salvaguardare specifiche esigenze dell’Amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione ai documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa.
Siffatto potere di controllo, generale e preliminare, è del tutto ultroneo alla norma sull’accesso, che non conferisce ai singoli funzioni di vigilanza, ma solo la pretesa individuale a conoscere dei documenti collegati a situazioni giuridiche soggettive: l’associazione non è titolare di una situazione soggettiva che valga a conferirle un potere di vigilanza sulla P.A. (che offre un pubblico servizio), ma solo della legittimazione ad agire perché vengano inibiti comportamenti od atti che siano effettivamente lesivi.
Il precipitato delle osservazioni poste approda a ritenere che il diritto di accesso non si configura mai come un’azione popolare (fatta eccezione per il peculiare settore dell’accesso ambientale e di quello definito dal D.Lgs. n. 33/2013), ma postula sempre un accertamento concreto dell’esistenza di un interesse differenziato della parte che richiede i documenti.
Il diritto di accesso, peraltro non è esercitabile soltanto per i provvedimenti amministrativi (dotati di perdurante efficacia giuridica), ma anche per meri atti o documenti non più idonei ad incidere sulla sfera giuridica dei soggetti ai quali si riferiscono, quante volte chi agisce ad exibendum sia, o possa essere, comunque titolare di una situazione giuridicamente tutelata in quanto connessa al contenuto di siffatti atti o documenti, compresi i documenti storici presenti in archivio.
In aggiunta, l’accesso agli atti e ai documenti amministrativi è ammissibile solo se ha ad oggetto documenti ed attività qualificabili come amministrative, quanto meno in senso oggettivo e funzionale, anche se espresse mediante atti di diritto privato; di contro, non è ammissibile la domanda di accesso agli atti processuali ed a quelli espressione della funzione giurisdizionale, ancorché non immediatamente collegati a provvedimenti che siano espressione dello “iusdicere”, purché intimamente e strumentalmente connessi a questi ultimi.
(Estratto, Ultimi approdi su diritto di accesso, L’Ufficio Tecnico, 2016, n. 5)