Il partenariato tra Pubbliche Amministrazioni rientra tra i modelli consensuali di collaborazione nell’esercizio organizzativo dell’azione amministrativa, quando l’interesse pubblico coincide, o quanto meno, si sovrappone, consentendo di esercitare il potere in modo semplificato, riducendo la frammentazione delle competenze e la concentrazione dei termini di conclusione del procedimento, giungendo al risultato (senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica)[1].
Questi meccanismi (virtuosi) organizzativi si perfezionano attraverso la sottoscrizione di un accordo/convenzione in forma digitale e trovano la fonte in una moltitudine di leggi nazionali/regionali/speciali, nel modello generale descritto dall’art. 15 della legge n. 241/1990[2], in una evidente prospettiva o tendenza di interazione di interessi e concentrazioni decisionali, evitando la dispersione delle risorse e massimizzando l’effetto utile della cooperazione, mancando quelle componenti che caratterizzano gli accordi con i privati, ove l’utile (contendibile) coincide con l’interesse pubblico (la c.d. perequazione economica del valore sotteso).
Accordi di collaborazione
La sez. II Roma, del TAR Lazio, con la sentenza 1° ottobre 2024, n. 17010, interviene per legittimare un accordo di collaborazione tra PPAA per l’espletamento delle attività comuni afferenti alla gestione coordinata delle funzioni istituzionali di controllo del rispetto delle norme sull’esercizio e sulla manutenzione degli impianti termici e di condizionamento, a fronte di un ricorso di un operatore economico (gestore uscente)[3] interessato alla concessione del servizio.
Indici di legittimità
Il Collegio giudicante, avuto specifico riguardo alle caratteristiche del “servizio”, annota:
- l’insussistenza dei presupposti del trasferimento di un rischio operativo, ossia mancata assunzione da parte del proponente di un rischio operativo legato alla gestione del servizio[4];
- lo strumento della concessione, come quello del project finance, rientra nel più ampio genus del partenariato pubblico il cui tratto distintivo è proprio l’allocazione del “rischio operativo” sulla parte privata (proponente o concessionario);
- l’Accordo di collaborazione sarebbe la funzione pubblica di controllo e certificazione degli impianti termici prevista in capo alle Autorità competenti secondo la normativa regionale che la esercitano «privilegiando accordi tra gli enti locali», ex 9, comma 2, del d.lgs. n. 192/2005, con conseguente legittimazione per gli Enti locali di svolgere in autoproduzione la descritta attività (data la presenza di una fonte primaria nazionale e regionale legittimante);
- ne discende piena coerenza con la norma dell’art. 15 della legge n. 241/1990, riferita al favor del legislatore nazionale e regionale per gli Accordi di collaborazione tra PPAA (Comune/Provincia/Città Metropolitana), specie ovi si consideri la funzionalità/comunanza del coordinamento in chiave di attività di accertamento ed ispezione su servizi (“manutenzione degli impianti di riscaldamento e di condizionamento”) in continuità territoriale (stesso bacino d’utenza): piena sussistenza di un’“interesse comune” tra le stesse, con esclusione che l’una intenda avvalersi delle prestazioni dell’altra dietro pagamento di un corrispettivo, aspetto ampiamente descritto all’interno dell’Accordo (riportato a livello probatorio negli atti di giudizio)[5].
Finalità condivise
Dall’analisi del contenuto dell’Accordo si profila la condivisione dei controlli (una reciprocità di interessi e una uniformità di funzioni che non mina la concorrenza ben potendo essere svolto in autoproduzione, secondo i modelli individuati dalla disciplina nazionale e regionale citata), che enuncia una condivisione di fini (ovvero, uniformare e coordinare le operazioni di manutenzione e verifica degli impianti e a consentire la gestione unitaria e coordinata del Catasto Impianti), rilevando che:
- non risulta ostativo la presenza di una copertura dei costi tra PPAA, visto che il ristoro non fa mutare la natura dell’Accordo, atteso che il coordinamento può anche implicare la regolamentazione di profili di carattere economico, come necessario riflesso delle attività amministrative che in esso sono interessate (una sorta di rimborso dei costi, già presente nelle coprogettazioni del Terzo Settore)[6];
- non rappresenta un ostacolo alla configurazione “dell’interesse comune” la circostanza che l’apporto collaborativo o i servizi forniti dalle Amministrazioni non siano identici, bensì complementari[7];
- il servizio può essere svolto (una facoltà) sia in autoproduzione, con le modalità organizzative ritenute maggiormente idonee al perseguimento dell’interesse pubblico, sia da parte di società in house.
L’Accordo di cooperazione in contestazione non si configura come uno scambio di prestazioni di servizi verso un corrispettivo, ma come una modalità di coordinamento tra strutture pubbliche, con esclusione di qualsiasi forma di erogazione di compenso dall’una all’altra parte, salvo il rimborso dei soli costi sostenuti e rendicontati.
Si può sostenere la piena condivisione nel fine, acclarando la presenza di una effettiva cooperazione tra Pubbliche Amministrazioni, avendo dimostrato la previa definizione delle reciproche esigenze, l’individuazione di soluzioni concordate e la suddivisione di compiti e di responsabilità tra le stesse, così che le attività in sinergia convergano nella realizzazione di un obiettivo comune, nella vicenda in esame ampiamente riscontrabile nella sua effettività.
Discrezionalità e interesse privato
Il Tribunale, alla luce delle considerazioni che precedono, dichiara infondato il ricorso, ben potendo l’Amministrazione procedente a rivalutare le modalità di espletamento del servizio, sostituendo – con una deliberazione dichiarata immediatamente esecutiva – la concessione all’Accordo di collaborazione, nel rispetto del principio di buona amministrazione.
Va precisato che la decisione di procedere con l’Accordo di collaborazione non produce alcuna lesione al concessionario uscente, in mancanza di un contratto valido e in presenza di una determinazione di revoca dell’indizione della procedura di gara: il ricorrente non gode di posizione differenziata rispetto a quella di qualsiasi altro operatore potenzialmente interessato a prendere parte alla futura procedura di gara.
L’interesse comune
La sentenza rende chiaro l’interesse comune che consente di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico mediante partenariato tra PPAA, Accordi di collaborazione sempre attuabili tutte le volte in cui la funzione o il servizio è comune agli Enti, ma anche allorché, più in generale, si realizzi una collaborazione istituzionale per lo svolgimento di attività di interesse pubblico comuni e sempre che le attività non abbiano natura patrimoniale ed astrattamente reperibile presso privati.
Il contenuto e la funzione elettiva degli Accordi tra pubbliche amministrazioni è, pertanto, quella di regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti: siamo in presenza di un contratto in posizione di equiordinazione, ma non già al fine di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale, bensì di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune, dove il coordinamento può anche implicare la regolamentazione di profili di carattere economico, ma come necessario riflesso delle attività amministrative che in esso sono interessate.
Si giunge a dimensionare il valore pubblico dell’accordo, di cui all’art. 15 della legge n. 241/1990, il quale deve, dunque, riguardare l’acquisizione di attività erogata da struttura non solo pubblica, ma anche (e soprattutto) priva di alcuna connotazione imprenditoriale, nell’ampia accezione delineata dall’ordinamento europeo: l’“interesse comune” tra le PPAA esclude una posizione di prevalenza e di subordinazione, dove il rapporto si basi sullo scambio di prestazione e corrispettivo, dove, come affermato da ampia giurisprudenza nazionale e comunitaria, l’una intenda avvalersi delle prestazioni dell’altra dietro pagamento della stessa[8].
[1] Cfr. Corte giustizia UE, sez. IV, 28 maggio 2020, n.796, per i casi nei quali i contratti conclusi nell’ambito del settore pubblico non sono soggetti all’applicazione delle norme in materia di appalti pubblici.
[2] Ad esempio, l’Accordo di programma costituisce una species del più ampio genus degli accordi di programmazione negoziata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2018, n. 4413) e, in linea ancora più generale, dell’istituto degli Accordi fra amministrazioni, di cui all’art. 15 legge n. 241 del 1990, che ne scandisce la disciplina residuale, per quanto non espressamente previsto in quella speciale dell’art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, Cons. Stato, sez. IV, 9 marzo 2021, n. 1948; 25 giugno 2013, n. 3458; 24 ottobre 2012, n. 5450.
[3] Cfr. Fasc. Anac n 3388/2024, dove si chiarisce che il nuovo art. 49 del d.lgs. 36/2023, non vieta più il reinvito dell’“operatore economico invitato e non affidatario nel precedente affidamento”, ma soltanto il reinvito del “contraente uscente”, ossia del soggetto che ha conseguito la precedente aggiudicazione. Nello specifico, si vieta il reinvito e l’affidamento (diretto) o l’aggiudicazione di un appalto al contraente uscente nei casi in cui due consecutivi affidamenti abbiano ad oggetto una commessa concernente lo stesso settore merceologico, la stessa categoria di opere o lo stesso settore dei servizi: dunque si stabilisce che la rotazione si ha solo a carico del soggetto che abbia conseguito la precedente aggiudicazione (il comma 2 fa riferimento al “contraente uscente”), escludendo, invece, dal divieto (in quanto non espressamente previsto) coloro che erano stati soltanto invitati alla precedente procedura negoziata, senza conseguire poi l’aggiudicazione.
[4] Si rinvia, LUCCA Il rischio operativo presente nella finanza di progetto, dirittodeiservizipubblici.it, 25 novembre 2024, dove si osserva che la finanza di progetto, da ricondurre ad una modalità di finanziamento della concessione, si caratterizza in modo formale e sostanziale per il trasferimento del rischio – nelle sue varie tipologie – in capo all’operatore economico privato, che assume, quindi, un rilievo fondamentale ai fini della qualificazione di un accordo fra un soggetto privato ed un soggetto pubblico, quale partenariato pubblico privato/concessione, oppure quale appalto di servizi.
[5] Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3849 e 16 settembre 2011, n. 5207.
[6] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2024, n. 5096, dove si ricorda che la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con l’ordinanza 4 giugno 2020, C – 429/19, ha riconosciuto che neanche le fattispecie in cui l’unico contributo apportato da uno dei contraenti consiste nel mero rimborso delle spese sostenute da un altro contraente sono indiziarie di una effettiva cooperazione, ma ben possono rientrare nella nozione appalto pubblico ed essere dunque sottoposte alle regole dell’evidenza pubblica, laddove non può ritenersi dimostrata l’esistenza di una effettiva cooperazione in quanto la convenzione ha unicamente ad oggetto l’acquisizione di una prestazione e di un servizio da parte dell’Amministrazione a fronte del versamento all’altra parte dell’accordo di una remunerazione per la loro esecuzione.
[7] Non è necessario che tutte le Amministrazioni partecipanti si assumano la responsabilità di eseguire i principali obblighi contrattuali, fintantoché sussistono impegni a cooperare all’esecuzione del servizio pubblico in questione: l’attuazione della cooperazione, inclusi gli eventuali trasferimenti finanziari tra le Amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, dovrebbe essere retta solo da considerazioni legate al pubblico interesse, Corte giustizia UE sez. IV, 28 maggio 2020, n. 796.
[8] Quando una parte si impegna a svolgere la prestazione a fronte del rimborso dei soli costi sostenuti e si condizionano reciprocamente, siamo in presenza di un corrispettivo, poiché in mancanza di tale rimborso, infatti, l’istante, non si sarebbe impegnato a svolgere le prestazioni a favore dell’altra parte. Ne consegue che il contributo in argomento assume natura di corrispettivo e, come tale, rientra nel campo di applicazione dell’IVA, ai sensi dell’articolo 3, comma1, del d.P.R. n. 633 del 1972, Agenzia delle Entrate, Risposta n. 532/2021, Trattamento fiscale applicabile alle somme erogate in attuazione di un accordo di collaborazione stipulato ex art 15, d.lgs n. 241 del 1990 – IVA – Articolo 3 del d.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633.