Sovente il cammino o il passaggio di persone e mezzi avviene su strade di collegamento non necessariamente pubbliche ma private[1], ossia di proprietà di terzi e non dell’Amministrazione, sicché con il tempo si consolida, o si può consolidare, un uso promiscuo, nel senso che l’originaria tolleranza (l’abbandono, c.d. dicatio ad patriam)[2] si trasforma in un peso sul bene (sedime stradale) tale da perdere l’originaria destinazione, assumendo un’utilità pubblica, ovvero imprimendo al terreno l’uso pubblico: una servitù a favore della popolazione, incidendo sul principio di inviolabilità della proprietà privata, di cui all’art. 42 della Costituzione.
In assenza dell’uso generale ma limitato ad alcuni “viandanti” o “frontisti” l’uso pubblico non può erigersi.
I caratteri dell’uso pubblico
La sez. IV Catania, del TAR Sicilia, con la sentenza 13 dicembre 2024, n. 4088, interviene per delineare questa destinazione ad uso pubblico di una strada in assenza di qualsiasi procedura espropriativa (dichiarazione di pubblica utilità e pagamento dell’indennizzo), ma semplicemente dal costante comportamento di coloro che, senza alcun ostacolo, transitano (hanno transitato) in una proprietà privata, segnando – in fatto – l’interesse pubblico.
Invero, il Tribunale accoglie il ricorso del privato affermando, per consolidata giurisprudenza, che per la costituzione di una servitù pubblica (usucapione, quale modalità d’acquisto a carattere originario della proprietà) di passaggio su una strada privata è necessario che concorrano contemporaneamente (simultaneamente) le seguenti condizioni (tutte da dimostrare con allegazioni probatorie, specie l’interversio possessionis, atta a mutare la mera detenzione, priva di titolo giuridico, in possesso utile ai fini del decorso del periodo utile ad usucapire il bene):
- l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione uti singuli, cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata;
- l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù;
- il protrarsi dell’uso per il tempo necessario all’usucapione[3].
In termini più esplicativi, ai fini della sua configurabilità dell’uso pubblico occorre rinvenire un atto (convenzione o provvedimento ablatorio), oppure un fatto (usucapione, usurpazione espropriativa) che ne abbia trasferito il dominio all’Amministrazione Pubblica, non essendo peraltro sufficiente che la strada stessa sia eventualmente destinata all’uso pubblico, rilevando, tuttavia, che il titolo non deve essere necessariamente costituito da un atto formale ma può essere identificato nell’uso pubblico da tempo immemorabile o almeno ultraventennale[4].
L’uso pubblico
L’uso pubblico imposto ad una strada consiste in un peso a carico di un bene privato per consentire un’attività a beneficio di una collettività di persone (uti cives), volta a soddisfare un’esigenza di carattere generale e diretta a realizzare un fine di pubblico interesse (passaggio o altro).
A tale peso corrisponde, quindi, un diritto di uso pubblico, il cui contenuto non è predeterminato, dovendo unicamente essere idoneo a soddisfare un interesse pubblico attraverso il suo esercizio da parte di una collettività indistinta di persone[5].
Si comprende che il diritto di “passaggio” non incide sulla titolarità del diritto di proprietà, che rimane in capo al privato, comunque limitandone le facoltà in vista della realizzazione dell’interesse generale consistente nel parziale utilizzo da parte della collettività di riferimento: la proprietà privata viene, dunque, per tale via funzionalizzata al pubblico interesse mediante l’istituzione su di essa di un diritto parziario, qualificato ex lege come demaniale[6].
Assenza dell’uso pubblico
Di contro, non vi è, invece, uso pubblico qualora il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari dei fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, ovvero da coloro che abbiano occasione di accedervi per esigenze connesse ad una privata utilizzazione[7], oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici[8].
In breve, dunque, affinché una strada privata possa essere assoggettata ad uso pubblico essa deve essere idonea a soddisfare esigenze di interesse generale e non dei singoli per far fronte a propri bisogni:
- l’assoggettamento di una via privata alla pubblica utilità richiede un’adeguata motivazione in ordine alla concreta idoneità della strada a soddisfare dette esigenze collettive, nonché un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico come, ad esempio, la protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (aspetto da rendicontare):
- la prova della servitù di uso pubblico di una strada richiede, quindi, oltre all’uso pubblico, un atto pubblico o privato, ovvero l’intervenuta usucapione ventennale, fermo restando l’accertamento dell’idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico[9].
In questo senso, si può ritenere (rafforzando il giudizio) che l’Amministrazione anche qualora vantasse un uso pubblico di passaggio su un’area di proprietà privata, avendo una servitù di uso pubblico, non potrebbe mai affievolire e limitare il diritto di godimento uti civis mediante atti concessori in favore di privati, ossia di singoli soggetti, che siano in contrasto con l’uso generale da parte della collettività[10]: l’Amministrazione, quale mero titolare diritto reale di godimento di natura pubblicistica, non può, pertanto, disporre uti dominus del bene, attribuendone il godimento esclusivo (uso speciale) in favore di un singolo, riconfermando l’assenza di un uso pubblico quando l’utilizzo è limitato[11].
Per dimostrare l’uso pubblico bisogna dare prova dell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da parte di una collettività di persone, non potendo neppure arguire tale uso dalla presenza di un passaggio autorizzato dei mezzi pubblici o di soccorso (passaggio limitato a categorie autorizzate per lo svolgimento di servizi di pubblico interesse), oppure da qualche intervento dell’Amministrazione sul bene dovendo semmai intervenire con l’intento palese di mettere il bene a beneficio della comunità[12].
Questa ultima considerazione conduce ad affermare che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi (agricoli) in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (abitazione), oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici[13]: l’ubicazione della strada utilizzata dai soli comproprietari frontisti non legittima la costituzione di una servitù di uso pubblico o addirittura a rendere pubblica la strada stessa (diritto di passaggio di una collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale)[14].
Neppure può inverarsi la c.d. dicatio ad patriam che richiede un comportamento del proprietario del bene che deponga in modo univoco, nel senso della spontanea messa a disposizione del bene medesimo a favore di una collettività indeterminata di cittadini, quando sia evidente che il titolare del bene intenda opporsi all’uso generale (la manifestazione di mettere il bene per l’utilità pubblica).
Quanto alle previsioni contenute negli strumenti urbanistici, si annota come le stesse non possano da sole costituire diritti reali in favore dell’Amministrazione pubblica, con la conseguenza che un’area/strada privata rimane tale anche se lo strumento urbanistico la classifichi come area pubblica o come area destinata ad uso pubblico[15].
Mancanza dei presupposti
In mancanza dei succitati presupposti e di una valida procedura espropriativa, l’occupazione sine titulo di un bene, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), in assenza di un acquisto alla proprietà pubblica, mediante l’emanazione di un provvedimento a tal fine indirizzato e in buona e debita forma[16], configura di per sé un illecito permanente[17].
La conseguenza inevitabile comporta l’annullamento degli atti emanati che insistono sul bene, atteso che il decorso del tempo non può spiegare alcun esito abdicativo, tenuto conto che gli effetti lesivi si rinnovano di giorno in giorno finché perdura la situazione di illiceità, con la conseguenza che medio tempore non può decorrere alcuna prescrizione – relativamente ai diritti scaturenti in favore dei proprietari – e, tantomeno, in mancanza dell’estrinsecazione di un fatto esterno atto a valere quale effettiva interversio possessionis, un periodo utile ad usucapionem.
Condotta doverosa
L’Amministrazione potrà (dovrà nell’esercizio del suo potere discrezionale)[18] risolvere l’illecito venutasi a creare, restituendo il terreno, previo ripristino dello stato dei luoghi, ovvero adottando, in via subordinata, il decreto di acquisizione, con conseguente versamento del relativo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non[19], da calcolarsi secondo i parametri ivi indicati dal legislatore, con comunicazione alla Corte dei conti (per eventuali responsabilità).
Interventi pubblici su strada privata
Va aggiunto che anche in una strada vicinale o privata (senza uso pubblico) non è precluso all’Amministrazione intervenire per ragioni di sicurezza pubblica, quando vi è comunque un uso, anche sporadico da parte della collettività.
Infatti, l’impegno di risorse pubbliche può giustificarsi non solo per interventi su strade pubbliche o ad uso pubblico, «perché devono ritenersi sempre ammessi interventi degli enti pubblici volti a tutelare la sicurezza e l’incolumità pubblica prescindendo dagli eventuali benefici indirettamente ritraibili da privati», soprattutto ove si dimostri l’esigenza di prevenire il rischio idrogeologico o la caduta massi o altre ragioni di tutela generale: un’esigenza pubblica che sovrasta l’interesse del privato[20].
[1] La strada vicinale, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, n. 52, del d.lgs. n. 285/1992, è «una strada privata fuori dai centri abitati a uso pubblico», mentre la strada comunale, ai sensi dell’art. 2, comma, 6 lett. D), del citato CdS, congiunge «le frazioni fra loro», ha un regime dominicale pubblico, assimilabile, comunque alle strade vicinali, rilevando che l’elencazione negli elenchi comunali ha effetti dichiarativi, costituisce mera presunzione iuris tantum, TAR Marche, sez. I, 14 dicembre 2024, n. 966.
[2] Si tratta di un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività ‘uti cives’, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2018, n. 1662; 22 maggio 2017, n. 2368; sez. V, 16 novembre 2018, n. 6460.
[3] Cfr. Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2017, n. 28632.
[4] TAR Sicilia, Catania, sez. I, 4 aprile 2024, n. 1300.
[5] Cass. civ., sez. II, ordinanza 19 ottobre 2021, n. 28869.
[6] Cfr. Cons. Stato, sez. II, 22 giugno 2022, n. 5126.
[7] Cfr. Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1995, n. 5637.
[8] Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2012, n. 728.
[9] Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2021, n. 311.
[10] Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, 10 gennaio 2019, n. 56; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 2 novembre 2018, n.1640; Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2018, n. 3143; sez. VI, 22 maggio 2018, n. 30487; sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823; sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990.
[11] TAR Campania, Salerno, sez. II, 18 novembre 2019, n. 2022.
[12] Cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. III, 14 ottobre 2019, n. 2145.
[13] Cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 5 settembre 2017, n. 1781; Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2012, n. 728.
[14] Cfr. TAR Veneto, sez. I, 12 maggio 2008, n. 1328.
[15] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 2 febbraio 2015, n.1881; TAR Toscana, sez. III, 23 dicembre 2014, n. 2149.
[16] Sovviene in ausilio l’art. 42 bis, Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, del DPR n. 327/2001, che rappresenta l’unico riferimento normativo predisposto per tutti i casi in cui la P.A. faccia uso sine titulo di un bene immobile privato per scopi di interesse pubblico, TAR Lazio, Roma, sez. II, 5 giugno 2017, n. 6597.
[17] Ai fini della domanda di risarcimento del danno per occupazione di suolo privato, la presenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità non differenzia l’illecito civile dedotto: l’occupazione appropriativa e quella usurpativa sono entrambe fonte di responsabilità risarcitoria della Pubblica Amministrazione secondo i principi di cui all’art. 2043, Cass. civ., sez. I, Ordinanza, 3 luglio 2024, n. 18222.
[18] Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 13 agosto 2024, n. 22777.
[19] La liquidazione dell’indennità spettante per acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42 bis del dPR n. 327 del 2001, il valore venale del bene va determinato senza considerare quello dell’opera pubblica realizzata dalla P.A., ma tenendo conto della destinazione urbanistica al momento dell’acquisizione, Cass. civ., sez. I, Ordinanza, 26 settembre 2024, n. 25707.
[20] TRGA sez. Trento, 20 novembre 2024, n. 170. Cfr. TAR Piemonte, sez. I, 12 maggio 2024, n. 483.