Nel mondo del diritto amministrativo l’esigenza di certezza delle posizioni giuridiche impone di seguire alcune regole istruttorie dal momento di avvio del procedimento ad istanza di parte, e più specificatamente si dovrà osservare il momento finale, quando – al termine delle attività e delle valutazioni effettuate sulla richiesta – si dovrà decidere, ossia prendere la decisione finale, con la sottoscrizione del provvedimento, dando effetti obbligatori all’atto sottoscritto, incidente la sfera giuridica del destinatario con l’accoglimento o il suo diniego.
Aspetto collegato anche ai termini di impugnazione (coincidente con la pubblicazione dell’atto o la piena conoscenza/conoscibilità: la conoscenza degli atti e, della loro lesività, costituisce un dato oggettivo, ancorato a presupposti verificabili in virtù di prove certe, ossia notifica dell’atto, pubblicazione, piena conoscenza).
Dunque, la legittimità di un provvedimento amministrativo si deve accertare con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum, attinente alle sequenze procedimentali composte di atti dotati di propria autonomia funzionale, e non anche ad attività interamente disciplinate dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio, con conseguente:
- irrilevanza di provvedimenti successivi che non possono in alcun caso legittimare ex post precedenti atti amministrativi;
- non rilevando invece l’eventuale diversa situazione fattuale e giuridica dell’epoca della presentazione dell’istanza, e ciò anche laddove la PA si sia pronunciata tardivamente, rispetto al termine ordinamentale fissato per la conclusione del procedimento.
In termini diversi, nella decisione le norme applicabili sono quelle vigenti al momento della conclusione del procedimento e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici.
Il succitato principio si completa con il presupposto di diritto secondo cui, fintantoché l’Amministrazione non ha approvato il provvedimento definitivo, il privato richiedente non è titolare di una situazione sostanziale consolidata meritevole di tutela sotto il profilo del legittimo affidamento, ma di una mera aspettativa.
Il principio
Questo momento di espressione del potere discrezionale, postula l’applicazione del principio tempus regit actum, dovendo, per consolidato orientamento giurisprudenziale, garantire la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato a istanza di parte con l’applicazione (valutazione) della disciplina vigente al momento della sua adozione, a nulla rilevando che l’eventuale diversa pregressa disciplina, stante l’esigenza di rispettare la diversa valutazione degli interessi pubblici espressa dallo ius superveniens.
Ne deriva che la corretta applicazione del principio generale tempus regit actum comporta che gli atti ed i provvedimenti della PA, essendo espressione attuale dell’esercizio di poteri rivolti al soddisfacimento di pubblici interessi, devono uniformarsi alle norme giuridiche vigenti nel momento in cui son posti in essere, per quanto attiene sia ai requisiti di forma e procedimento, sia al contenuto sostanziale delle statuizioni, stante l’immediata operatività delle norme di diritto pubblico[1].
Il pronunciamento
La sez. V Ter Roma, del TAR Lazio, con la sentenza 20 marzo 2025 n. 5720 (Est. Gabriele), conferma il principio del tempus regit actum, dovendo applicare al provvedimento amministrativo la legge in vigore al momento della sua adozione.
Tuttavia, questo principio non risulta immutabile, essendo presenti una serie di “varianti” (ipotesi eterogenee) che si consumano dopo l’istaurazione del rapporto giuridico, ossia la firma del provvedimento, invalidando gli effetti prodotti dal sopraggiungere di nuove leggi o diversa interpretazione (autentica), oppure una pronuncia della Corte costituzionale[2], ovvero ipotesi che rendono l’atto instabile (un’invalidità postuma).
(estratto, pubblicato in gruppodelfino.it, 24 marzo 2025)
[1] TAR Sicilia, Palermo, sez. IV, 4 marzo 2025, n. 501.
[2] Le pronunce della Corte Costituzionale, infatti, determinano il venir meno in via retroattiva della norma di riferimento, poiché operano la ricognizione di un vizio originario ed intrinseco della norma stessa, la cui eliminazione dall’ordinamento non è assimilabile a quella disposta per effetto di abrogazione in virtù di altra norma sopravvenuta, Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2004, n. 6328. Le sentenze della Corte Costituzionale trovano quindi l’unico limite negli effetti che la norma colpita ha irrevocabilmente prodotto, quali la preclusione nascente dal giudicato o la scadenza dei termini di prescrizione o di decadenza, oppure nell’esaurimento del rapporto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4513), o – ancora – nella situazione giuridica in astratto interessata e determinata da atti e fatti rilevanti sul piano sostanziale e processuale, Cons. Stato, sez. VI, 21 agosto 2012 n. 4583.