La sez. controllo Campania della Corte dei Conti, con il parere n. 177 del 25 maggio 2023, chiarisce la natura dell’indennità di carica e della sua indisponibilità in caso di rinuncia del destinatario, il quale non può disporre a (suo) “gradimento” una diversa destinazione (compensativa), rientrando la somma nel bilancio, per assumere una destinazione coerente con le regole della finanza pubblica.
L’indennità di carica
La fonte di riferimento è rinvenibile nell’articolo 82, Indennità, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), il quale prevede che con un decreto ministeriale viene determinata «una indennità di funzione, nei limiti fissati dal presente articolo, per il sindaco, il presidente della provincia, il sindaco metropolitano, il presidente della comunità montana, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, nonché i componenti degli organi esecutivi dei comuni e ove previste delle loro articolazioni, delle province, delle città metropolitane, delle comunità montane, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali», disponendo che l’indennità è «dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l’aspettativa» (rectius, per i lavoratori autonomi o i lavoratori dipendenti che abbiano chiesto l’aspettativa, spetta in misura integrale)[1].
Diversa dall’indennità di funzione sono i «gettoni di presenza» che spettano ai consiglieri «per la partecipazione a consigli e commissioni», con un limite invalicabile nel quantum, dovendo l’ammontare percepito nell’ambito di un mese non superare «l’importo pari ad un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente», con un ulteriore profilo di natura oggettiva: l’accertamento «alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni», prima di dar corso alla liquidazione.
Il quadro normativo porta a ritenere che tale indennità, pur non trattandosi di una retribuzione strettamente legata al lavoro svolto, presuppone l’instaurarsi di un rapporto di servizio onorario, dal quale si origina il diritto a percepire un’indennità che non ha la funzione di compensare l’eletto-funzionario onorario per l’attività svolta, attività che rimane fondamentalmente gratuita, quanto piuttosto di indennizzarlo del presunto mancato guadagno o comunque delle spese connesse con l’espletamento del servizio[2].
Ne consegue che l’indennità è strettamente legata all’esercizio della funzione, seguendo le medesime sorti dell’indennità di fine mandato che non integra una remunerazione autonoma e aggiuntiva rispetto a quella percepita nel corso del mandato, ma costituisce una sorta d’indennità differita che presenta affinità con il trattamento di fine rapporto, al pari del quale è parametrato alla misura del trattamento percepito rispettivamente nel corso del mandato e in servizio[3].
Si può affermare che quanto percepito, ai sensi dell’art. 82 del d.lgs. n. 267/2000, non costituisce retribuzione ai sensi dell’art. 36 della Costituzione ma una forma di indennizzo per le funzioni esercitate e l’attività svolta in favore delle comunità interessate, con la conseguenza che il mancato esercizio delle funzioni per qualunque causa determina la non debenza delle indennità e dei gettoni[4]: il mancato espletamento delle funzioni – indipendentemente dalla causa che lo ha determinato, stante la natura onoraria dell’incarico elettivo, comporta il mancato inveramento dei fatti costitutivi del diritto alla percezione dell’indennità di funzione.
In effetti, gli oneri sono connessi all’esercizio della pubblica funzione, sottraendo l’interessato (nel corso del mandato) dalle attività normalmente svolte e specialmente da quelle animate da un interesse di tipo esclusivamente individuale, imponendone il coinvolgimento in attività volte al perseguimento degli interessi pubblici e al soddisfacimento dei bisogni della comunità amministrata, compensati con una indennità (o gettone).
Il presupposto all’erogazione del compenso coincide con lo svolgimento dell’incarico, escludendo alla radice il carattere sinallagmatico-retributivo: il carattere indennitario in stretta connessione con lo svolgimento delle pubbliche funzioni e la conseguente sottrazione di tempo e di energie ad attività puramente individualistiche, con l’inevitabile, quanto logica e ragionevole conseguenza che il mancato svolgimento di tali funzioni impedisce la corresponsione dei correlati compensi in quanto si riespande in maniera piena la possibilità di svolgere attività volte a soddisfare interessi di carattere esclusivamente privato, con il ritorno del soggetto alle sue normali occupazioni.
La disputa
Il quesito posto alla Corte dei conti verteva sulla possibilità di destinare parte dell’indennità di carica del Sindaco ai Consiglieri delegati in presenza di una rinuncia (circa il 40%) volontaria al percepimento nella sua totalità.
Si giustificava la destinazione pro bono in relazione all’attività e funzioni dei Consiglier delegati ai quali non era previsto alcun compenso, aspetto indicato nello Statuto (peraltro, nella gerarchia delle fonti una diversa previsione in contrasto con la fonte sovraordinata sarebbe illegittima, ergo da disapplicare).
Nella richiesta di parere si premetteva (un’insolita costatazione), «in considerazione dell’impegno che richiede lo svolgimento delle attività amministrative delegate, tra le quali in particolare quella relativa al personale ed al contenzioso”, l’Amministrazione comunale esprime la volontà di “riconoscere al Consigliere comunale delegato una piccola indennità mensile finanziata con l’importo dell’indennità a cui il Sindaco intende rinunciare».
Merito
La Corte, dopo aver rammentato che la richiesta attiene all’interpretazione del principio generale dell’unità di bilancio, che permea di sé le fasi di programmazione, gestione e rendicontazione del settore pubblico, evidenzia che l’utilizzazione delle economie di spesa derivanti dalla rinuncia alla propria indennità non possono trovare una collocazione diversa rispetto alla chiara previsione di legge.
Viene evidenziato che l’indennità di funzione non è assimilabile a redditi di lavoro e non è, quindi, soggetta alla previsione contenuta nell’art. 2113, Rinunzie e transazioni, del Codice civile, ben potendo da una parte, rinunciare alla stessa o chiederne una riduzione, dall’altra parte, è precluso «il mutamento della destinazione della propria indennità di funzione, potendo solo manifestare la volontà di rinunciare all’indennità stessa».
In termini più concreti, è sempre nelle facoltà del titolare del diritto rinunciare allo stesso, ovvero comunicare all’Amministrazione locale di fare a meno di ricevere il compenso, trattandosi di un abdicativo circoscritto alla sfera patrimoniale del rinunciante (acquisizione o meno alla sua sfera patrimoniale), senza potere decidere sulla sua (futura) diversa collocazione in bilancio, ossia incidere sulle ulteriori destinazioni delle somme non erogate, le quali «restano acquisite al bilancio come economie di spesa»[5].
Andando oltre
A ben vedere, in claris non fit interpretatio, la norma (del cit. art. 82 del TUEL) non lascia spazio ad interpretazioni diverse: sulle predette somme grava, per legge, un vincolo di destinazione che non può essere modificato né dalla volontà dell’Ente né dalla volontà del Sindaco.
La norna regimenta i (due) casi del diritto dei Consiglieri (delegati) di percepire esclusivamente un gettone presenza, relegando all’art. 84 del TUEL il rimborso delle spese viaggi alla preventiva autorizzazione e nelle ipotesi tassativamente previste per la partecipazione alle sedute degli organi[6].
Il parere si allinea con i precedenti, ribadendo che le norme interne (regolamentari e statutarie) non possono essere applicate in contrasto con la fonte primaria, né si può estendere un compenso per attività che lo escludono ab origine, senza considerare che un’opzione che consentisse di ripartire l’indennità (le indennità) con parametri “elastici” rischierebbe (caso forse non isolato) di introdurre forme nuove di (mozione) “fiducia”, ossia delle “anomale contrattazioni” sulla quota di rinuncia, a discapito dell’immagine della PA (e dei suoi rappresentanti).
[1] Ai lavoratori autonomi ed ai lavoratori dipendenti che abbiano chiesto ed ottenuto l’aspettativa dal lavoro il presunto mancato guadagno costituisce presupposto per l’erogazione della indennità di funzione, TAR Piemonte, sez. II, sentenza n. 262/2021 e n. 746/2015. Di contro, la circostanza che un dipendente non possa, in virtù della disciplina normativa e contrattuale caratterizzante il proprio rapporto lavorativo, essere collocato in aspettativa, non legittima l’attribuzione al medesimo, in misura piena, dell’indennità di funzione, Corte conti, sez. contr. Liguria, delibera n. 109/2018/PAR; sez. Puglia n. 75/2019/PAR; sez. Veneto n. 88/2019/PAR; sez. Basilicata n. 43/2020/PAR; sez. Sardegna n. 8/2020/PAR e sez. Abruzzo n. 291/2020/PAR.
[2] TAR Campania, Napoli, sez. I, 17 aprile 2023, n. 2339.
[3] L’indennità di fine mandato deve, pertanto, corrispondere a quella effettivamente erogata e va proporzionalmente ridotta nell’ipotesi in cui nel corso del mandato abbia subito una decurtazione, qualunque ne sia stata la ragione e, quindi, non solo, quella della rinuncia, ma anche, ad esempio, quella del suo dimezzamento per il cumulo d’indennità di funzione, ex art. 82, comma 5, del TUEL, Corti conti, sez. contr. Calabria, deliberazione 18 gennaio 2023, n. 2.
[4] TAR Campania, Salerno, sez. I, 2 luglio 2021, n. 1604, idem Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2010, n. 6526.
[5] Gli interessati hanno la facoltà di rinunciare all’indennità, essendo quest’ultima un diritto di credito per sua natura disponibile, e potrebbe anche effettuare una rinuncia condizionata ad una specifica destinazione delle somme (potendo la condizione, sospensiva o risolutiva, applicarsi anche agli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale ai sensi dell’art 1324 c.c.), ma gli effetti del negozio giuridico rimangono circoscritti alla sfera patrimoniale del rinunciante (acquisizione o meno al patrimonio) e non possono incidere sulle ulteriori destinazioni delle somme, destinazioni che rientrano nella discrezionalità dell’ente: a maggior ragione, la volontà del privato non può mutare la destinazione di una somma allorché la stessa sia stata stabilita inderogabilmente dalla legge, Corte conti, sez. contr. Liguria, 12 novembre 2020, n. 98.
[6] Cfr. LUCCA, Possibilità di rimborsi viaggio ai consiglieri provinciali delegati, Giustamm.it, 2019, n. 6, con un’analisi sulla c.d. “presenza necessaria”, contenuta nell’art. 84, comma 3 del TUEL, ove si valorizza le “oggettive esigenze” nei soli casi: a. per gli spostamenti effettuati, in ragione del mandato e previa autorizzazione, fuori del capoluogo del comune ove ha sede l’ente di appartenenza (comma 1); b. per i trasferimenti effettuati dagli amministratori, che risiedono fuori del capoluogo del comune, per partecipare alle sedute dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi, nonché per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate (comma 3).