Il comma 3, dell’art. 31, Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, del DPR n. 380/2001, nella sua chiarezza espositiva dispone che «se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune», esprimendo una forza ripristinatoria (caratterizzata per il fatto che attiene al bene e non al reo) e sanzionatoria (dell’ablazione della proprietà) ad efficacia condizionata e differita, essendo previsto ex lege il termine dilatorio di novanta giorni per conformarvisi, rilevando che l’atto è privo di discrezionalità, essendo vincolato all’accertamento dell’abuso: l’inottemperanza.
Eccezioni
Tuttavia, il secondo periodo del cit. art. 31, ammette che il termine di novanta giorni possa «essere prorogato con atto motivato del comune fino a un massimo di duecentoquaranta giorni» quando siamo in presenza di circostanze «serie e comprovate» (serve una dimostrazione concreta, un accertamento fattuale) attinenti a determinate esigenze:
- di salute dei soggetti residenti nell’immobile all’epoca di adozione dell’ingiunzione;
- o di assoluto bisogno;
- o di gravi situazioni di disagio socio-economico.
Sono previste tre condizioni (presupposti), introdotte dal legislatore (DL n. 69/2024, convertito in legge n. 105/2024, in vigore dal 27 luglio 2024) per ragioni solidaristiche, tali da temperare gli effetti perentori dell’ordine di demolizione, quando essi siano incompatibili con la tutela dei diritti assoluti di coloro che occupano l’immobile abusivo.
In effetti, l’art. 31, comma 3, del DPR n. 380/2001, non interviene sull’efficacia dell’ordine di demolizione, già differita per legge, ma sulla durata del termine assegnato per ottemperarvi, discostandosi dall’art. 21 quater della legge n. 241/1990: questa ultima norma disciplina la sospensione dell’efficacia del provvedimento ad effetti sostanziali istantanei, tale non è l’ordine di demolizione se non ai fini dell’impugnazione[1].
Sanatoria
L’istanza di sanatoria dei manufatti abusivi oggetto di ingiunzione a demolire non inficia la validità dell’atto sanzionatorio in sé, ma ne determina solo la temporanea inefficacia e ineseguibilità fino al suo eventuale rigetto, a seguito del quale riprende a decorrere il termine per l’esecuzione e, in caso d’inottemperanza, può essere disposta l’acquisizione dell’opera abusiva senza necessità dell’adozione di una nuova ingiunzione o concessione di un nuovo termine[2].
L’ordine di demolizione
Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile non assistito da alcun titolo abilitativo edilizio, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede nient’altro che le sottese ragioni di ripristino della legittimità violata[3].
In questo senso, non è necessaria una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificato: principio che non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso.
Un legame inscindibile tra l’opera realizzata in assenza del titolo e il ripristino dei luoghi, tale che la natura vincolata e doverosa, in presenza dei presupposti di legge, pone l’ordinanza di demolizione un atto che non esige alcuna forma di comunicazione di avvio del procedimento[4], stante che nessun apporto partecipativo del privato può modificarne il contenuto doveroso[5], donde l’assenza di un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso.
In termini diversi, l’eventuale ritardo nel definire il procedimento di demolizione non potrà mai ingenerare nel privato un’aspettativa giuridicamente qualificata (anche a distanza di tempo), giacché non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, viene enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria[6].
La sanzione ablatoria, a tutela del momento di imputazione soggettiva dell’illecito, prevede un meccanismo procedimentalizzato di tale fattispecie acquisitiva, una parentesi accertativa dell’eventuale spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione da parte dell’ingiunto, i cui esiti devono essergli previamente comunicati, distinguendo, nei termini, l’ordine di demolizione e l’atto di acquisizione al patrimonio comunale: due distinte sanzioni, che rappresentano la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla[7].
Nessuna transazione dell’abuso
L’abuso non può essere oggetto di un accordo procedimentale, ex art. 11 della legge n. 241/1990, finalizzato alla non demolizione del bene: è esclusa una soluzione pattizia dell’assetto degli interessi pubblici e privati, da comprendere la transazione.
L’ingiunzione a demolire per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso: il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
L’art. 11, della legge n. 241/1990, in quanto modulo decisionale consensuale è sempre soggetto al vincolo funzionale dell’interesse pubblico, un vincolo che costituisce la causa dell’accordo, che non può evidentemente divenire strumento di scelte ed obiettivi differenti: lo strumento pattizio non può introdurre surrettiziamente sanatorie atipiche, fuori dalla specifica disciplina primaria, trattandosi di materia sanzionatoria la cui natura risulta indisponibile, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge[8].
Il pronunciamento
Le osservazioni che precedono consentono di affermare che la fonte primaria, specie quella sanzionatoria, segue evidentemente un principio generale di legalità, non potendo estendere – effetti negativi – al di fuori del suo perimetro, dovendo sempre attenersi al dettato normativo, dove la competenza (rectius il potere ablativo) viene attribuita dalla legge, non potendo l’Ente locale assumere (o mediare) i diritti (specie quello di proprietà) senza una legittimazione normativa (ex art. 97 Cost.).
Il TAR Calabria, sez. staccata di Reggio Calabria, con la sentenza 10 aprile 2025, n. 269 (Est. Nicastro), esprime questo concetto non ritraibile, dove il Comune non può acquisire il sedime di un bene privato, quale sanzione della mancata esecuzione (inottemperanza o l’illecito omissivo) non ad un’ingiunzione di demolizione amministrativa, ma ad un ordine di demolizione impartito come sanzione accessoria dal giudice penale[9].
A conferma di ciò, l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio costituisce un atto autonomo rispetto ai poteri repressivi rimessi ad altre Autorità: la circostanza che l’abuso sia oggetto di un provvedimento di sequestro penale resta irrilevante ai fini del corretto esercizio del potere sanzionatorio del Comune[10].
Potere e Autorità
Il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale trarrebbe il suo unico fondamento da una sentenza del giudice penale e muoverebbe non dall’inottemperanza ad un’ingiunzione emessa dal Comune competente, bensì da una sentenza del giudice penale che prevede, quale pena, la sanzione della demolizione dell’opera.
Il ricorso viene accolto, annullata l’ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive, con le seguenti argomentazioni:
- è illegittima l’acquisizione che venga disposta sul presupposto dell’inottemperanza non a un’ingiunzione di demolizione emessa dalla Pubblica Amministrazione, ma ad una sentenza del giudice penale, recante quale sanzione accessoria l’ordine di demolizione del manufatto[11];
- l’ordinanza si pone in palese violazione dei modelli legali di riferimento, realizzando un’impropria combinazione tra procedimenti di natura distinta, il provvedimento di acquisizione (appartenente alla sequenza tipicamente amministrativa, di cui all’art. 31, comma 3, del DPR n. 380/2001) risulta disposto in attuazione della sentenza resa dal giudice penale, ai sensi dell’art. 31, penultimo comma, del DPR n. 380/2001;
- l’acquisizione al patrimonio non può essere disposta in assenza di un’ordinanza (amministrativa) di demolizione, ex 31, comma 2 del TUE, diversamente si determinerebbe una palese violazione dei principi di tipicità e tassatività in materia sanzionatoria: la fonte assegna al «dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale» il potere di ingiungere al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, delineando l’autonomia del procedimento amministrativo rispetto a quello penale, peraltro la medesima Autorità amministrativa deve indicare «nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3» (una scadenza di fasi che porta alla perdita del diritto di proprietà);
- l’ordine di demolizione e l’atto di acquisizione al patrimonio comunale costituiscono due distinte sanzioni, che rappresentano «la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla»[12];
- qualora, quindi, la sanzione dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale conseguisse non già all’inottemperanza all’ordine (amministrativo, ex 31, comma 2 del TUE) di demolizione e alla relativa omissione ma all’inottemperanza all’ordine (ex artt. 31, comma 9 e 98, comma 3 del TUE) impartito dal giudice penale (che costituisce espressione di un potere sanzionatorio autonomo rispetto a quelli dell’Autorità amministrativa e alla cui inosservanza l’ordinamento prevede distinte conseguenze sanzionatorie) la stessa verrebbe irrogata fuori dai casi previsti dalla legge[13].
Sintesi
La vicenda processuale penale non priva il Comune dei propri poteri di vigilanza e repressivi, che in effetti coesistono, in parallelo, con quelli propri dell’AG, trattandosi di poteri sanzionatori che attribuiscono una diversità di conseguenze in caso di inottemperanza:
- l’acquisizione al patrimonio comunale è tipica conseguenza sanzionatoria all’inottemperanza all’ordinanza amministrativa di demolizione;
- l’inottemperanza all’ordine di demolizione del giudice penale non consegue (mai) l’acquisizione al patrimonio comunale, ma sempre l’esecuzione in danno (il comma 9, del cit. art. 31, del DPR n. 380/2001, dispone «Per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita»)[14].
In sintesi, l’ordine di demolizione, conseguente alla pronuncia di una sentenza penale irrevocabile di condanna per illecito edilizio, costituisce espressione di un potere dispositivo autonomo attribuito dalla legge alla Autorità giudiziaria, il quale può eventualmente concorrere con quello omologo della PA, onde è il Pubblico Ministero competente ad eseguirlo, mentre è il giudice dell’esecuzione che deve accertarne in sede di incidente la compatibilità con eventuali atti che siano stati emanati dalla Autorità amministrativa[15].
[1] TAR Abruzzo, L’aquila, sez. I, 3 aprile 2025, n. 163, ove si precisa che ammettere la sospensione dell’ordinanza di demolizione per le ragioni indicate nell’art. 21 quater della legge n. 241/1990, diverse e meno stringenti di quelle che eccezionalmente consentono di prorogare il termine per ottemperarvi, equivale ad abrogare in via interpretativa la disposizione dell’art. 31 comma 3, del TUE che invece limita la proroga a casi particolari, tipici e tassativi, restando tutti gli altri su un piano recessivo al cospetto dell’interesse pubblico all’ordinato governo del territorio.
[2] Cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 dicembre 2024, n. 10180; 28 marzo 2024, n. 2952; 20 gennaio 2023, n. 714; sez. VII, 2 aprile 2024, n. 2990; 2 novembre 2023, n. 9404.
[3] Il provvedimento costituisce atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abusività del manufatto, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione, anche quando la sanzione sia adottata a distanza di anni dalla realizzazione dell’abuso, Cons. Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6823; sez. II, 3 novembre 2021, n. 7353; sez. VI, 3 maggio 2021, n. 3483.
[4] L’avviso contenuto nell’ordinanza di demolizione, mediante informazione delle conseguenze dell’inottemperanza, spesso dequotato a mera formula di stile, finisce per costituire una sorta di trait d’union tra la natura reale o propter rem della misura ripristinatoria e quella sanzionatoria (di secondo livello) dell’ablazione della proprietà, Cons. Stato, sez. II, 25 gennaio 2024, n. 806; 20 gennaio 2023, n. 714; CGARS, 25 marzo 2022, n. 373.
[5] Cons. Stato, sez. II, 2 aprile 2025, n. 2816.
[6] Cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 26 febbraio 2025, n. 1559.
[7] Corte cost., 5 luglio 2018, n. 140.
[8] Cons. Stato, sez. II, 25 febbraio 2025, n. 1648.
[9] La sanzione accessoria oggettivamente amministrativa, sebbene soggettivamente giurisdizionale, è espressione di un potere autonomo e non alternativo al quello dell’Autorità amministrativa, Cass. pen., sez. III, 3 marzo 2022, n. 7631.
[10] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 21 marzo 2023, n. 461.
[11] Cfr. Ad. Plenaria, sentenza n. 16/2023; TAR Puglia, Lecce, sez. I, sentenza n. 901/2022; TAR Campania, Napoli, sez. II, sentenza n. 2851/2020; sez. II, 21 marzo .2018, n.1732.
[12] Corte cost., sentenza n. 140 del 2018; sentenza n. 427 del 1995; sentenza n. 345 del 1991.
[13] Cfr. Cass. pen., sez. III, 17 aprile 2024, n.18895.
[14] La demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto ed è esplicazione di un potere autonomo rispetto a quello dell’Autorità amministrativa, con il quale può peraltro essere coordinato nella fase di esecuzione: l’ordine del giudice prescinde del tutto dagli effetti ablatori e sanzionatori dell’inadempimento all’ingiunzione nel termine di novanta giorni di cui al terzo comma dell’art. 31 cit., del tutto indipendenti dal giudicato penale, Cass. pen., sez. III, 5 aprile 2018, n. 15134. Vedi, anche, Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 905; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 21 marzo 2022, n. 1868; sez. VIII, 2 novembre 2021, n. 6886.
[15] TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 13 maggio 2019, n. 2521.