Oltre alle impronte digitali, allo scanner oculare, al microchip, anche GOOGLE GLASS.
È pur rilevante, che il nuovo formato di Spid porta l’identità digitale del professionista, con un’unica password (c.d. pin), ad accedere a tutti i servizi on line della P.A..
Mentre con la firma elettronica (non sono ravvisabili elementi obiettivi per poter ritenere che solo la firma in formato CAdES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa interna certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>, Cass. sez. U., n. 10266 del 27 aprile 2018) e la posta elettronica certificata (c.d. Pec), adeguata agli standard europei eIDAS, è sempre possibile per il professionista essere identificato digitalmente dalla P.A.: questa è concretezza.
Infatti, la firma digitale equivale alla firma autografa apposta su un documento cartaceo e, quindi, la sua funzione è garantire autenticità, integrità e validità di un atto (TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 29 giugno 2018, n. 1291).
Si tratta sempre di una forma certa di identificazione: «Tali identità digitali sono quelle utili a provare l’appartenenza di una persona fisica all’organizzazione di una persona giuridica e/o la sua qualità di professionista», tale era l’obiettivo della consultazione, AGID «Linee Guida SPID – Rilascio dell’identità digitale per uso professionale», 14 giugno 2018, non ancora interposta dal dato biometrico: ma questo è solo l’inizio.
Il perseguimento dell’interesse comune in capo all’eletto è alla base del pensiero di ROUSSEAU: cercare di risolvere un problema non può che richiamare istintivamente all’agire etico: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo» (KANT).
La virtù di una riforma implica una visione dell’impianto generale ed emerge dalla visione che si ha del patto sociale che definisce la società.
Più che azioni concrete si cerca di creare un clima (anche questa è un’azione concreta) per determinare il CONSENSO ma ha un’intrinseca volatilità che può alimentare il sonno della ragione propria e degli altri (MARIANO, Il sonno della ragione, Logica, intuizione e libertà di scelta nel pensiero nazionale, Prometeo, marzo 2018, numero 141).
Nelle diverse riforme della PUBBLICA AMMINISTRAZIONE il dato comune, per ovvie esigenze di natura finanziaria e obblighi comunitari, oltre che profili costituzionali (cfr. artt. 81, comma 3, «Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte», e 97, comma 01 «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico»; vedi, anche, la Legge Cost. n. 1/2012, di modifica dell’art. 81, comma 6, Cost., a cui è stata data attuazione con la Legge n. 243/2012), è il loro costo “zero”.
Il “costo zero” della Riforma è un eco di una sana gestione finanziaria, dando conto dell’esigenza di «effettive misure correttive funzionali a garantire il rispetto complessivo degli equilibri di bilancio» (Corte Cost., sentenza n. 60/2013).
In altro contesto, che comunque potrebbe essere valido ugualmente, si potrebbe dire “light”.
Poi, per ragioni di austerità è stato imposto il limite del 50 % alle spese di formazione (ex art. 6 «Riduzione dei costi degli apparati amministrativi», comma 13 del D.L. 78/2010 «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», con le flessibilità e semplificazioni dell’art. 21 bis del D.L. n. 50/2017 «Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo»).
Sempre in chiave di riforma della P.A..
Ma bisogna – in questi tempi di rinnovata politica Europea dell’austerity e del rigore – salvo il panico dell’ora legale e il tetto del 3% al deficit/pil, intervenire nel quadro di una riforma tesa al riassetto della Pubblica Amministrazione nello spirito della semplificazione.
In effetti, l’agenzia FITCH ha confermato il rating ‘BBB’ dell’ITALIA ma ha rivisto al ribasso l’outlook: passa da “stabile” a “negativo”.
La conseguenza inevitabile è dare attuazione al “Contratto”, con l’obiettivo dichiarato di ridurre il debito pubblico attraverso azioni concrete: la concretezza come “misura” di “dis-continuità” e digitalizzazione della P.A., per migliorare la qualità della prestazione.
Per questi motivi concreti, l’interesse non è per una visione globale del tema, in una prospettiva almeno oltre le europee, ma per azioni concrete (im-mediate) sminando il fenomeno degenerativo delle timbrature inesistenti.
Indifferente il fatto, già peraltro codificato in Costituzione e nella disciplina corrente, di premiare il merito: è questa sarebbe la novità?.
Sul punto, il DPCM 8 maggio 2018 «Linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale da parte delle amministrazioni pubbliche» stabilisce che le innovazioni del D.Lgs. 75/2017 «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165… in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (anche questa era una riforma della P.A.) coniuga «una più ragionata determinazione dei fabbisogni con modalità di reclutamento volte a soddisfare tali fabbisogni e perciò sviluppate secondo strategie, processi di selezione e bacino di reclutamento che privilegino l’individuazione di figure e competenze professionali idonee ad una pubblica amministrazione moderna, nel rispetto dei principi di merito…»: le eccellenze vanno premiate.
Nel citato DPCM si invitava «altresì valutare i vantaggi di efficienza derivanti dalla digitalizzazione dei processi di back-office e di front-office»: quindi, la digitalizzazione non sarebbe propriamente una novità?.
Finalmente, la prima volta: questa è concretezza!.
Altre concretezze sarebbero di evitare nomine fiduciarie (e interpelli agostani), di intasare i sistemi premiali con metodologie asfissianti (del tutto sconosciuto lo smart working), di non vedere la dirigenza contrapposta alla politica, limitando la durata degli incarichi, e di conseguenza la perenne precarietà.
Un aforisma: «Il ministro chiama il dirigente risponde».
Ma rientriamo al centro della riforma: il riconoscimento facciale o l’iride e le impronte digitali e i connessi investimenti digitali.
Tutti dati biometrici di natura personale da cui si ricavano caratteristiche fisiche o comportamentali uniche e identificative di ciascuna persona fisica(cfr. l’art. 4, paragrafo 1, n. 14) del GDPR), rendendo i sistemi di riconoscimento biometrico oggetto di particolare cautele, visto che l’art. 9, comma 1 del GDPR espressamente dispone «È vietato… trattare… dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica», salvo prevedere apposite deroghe.
Al di là del punto in diritto, e dello scopo pur lodevole, è il principio sotteso che non convince.
Questo modo di concepire il dipendente pubblico è estraneo, anche, al profilo costituzionale: «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione» (ex art. 98 Cost.).
Sono questi i problemi della P.A.?. O forse bisognerebbe affrontare concretamente i mali, non tanto oscuri, dell’organizzazione amministrativa pubblica?.
«Perchè guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (LUCA 6,41).
Ma i costi di questi sistemi di identificazione sono very cheap (cfr. Amazon.it) o forse bisognerà investire in nuovi prodotti e nuovi mercati, o forse saranno forniti con la concretezza dei trasferimenti erariali (o con nuove gabelle).
Questo sistema ridurrà drasticamente il fenomeno: è un’azione concreta.
Nella fornitura dei rilevatori presenze delle impronte biometriche è possibile acquistare, anche se sono ancora in sperimentazione, gli occhiali android GOOGLE GLASS (costano un po’ di più): si potrà vedere e misurare concretamente ed on line la produttività del pubblico: anche, questa è concretezza.
«Non è tanto chi sei, quanto quello che fai che ti qualifica» (BATMAN BEGINS).
Magari se i controlli fossero più efficienti e meno tolleranti, se si pagassero adeguatamente i salari in relazione alle responsabilità, se si premiassero le capacità e le professionalità di tutti coloro che garantiscono la funzionalità, la salute e la sicurezza del Paese (…).
Tal vez questa sarebbe una concretezza maggiore e non servirebbero altre regole che non quella ordinaria della diligenza e quella, non scritta, del buon senso (rimettendosi alla propria coscienza), conferendo dignità al dipendente pubblico e a tutti coloro che ogni giorno lavorano onestamente.
Il “lavoro agile” dovrebbe migliorare la produttività non essere vissuto come una “regalia”: non è importante produrre perché – nei fatti – è tradita l’intenzione.
Serve efficienza e ricalibrare i “principi guida” del pubblico impiego, trattando il DIPENDENTE PUBBLICO, prima ancora di un dato statistico o di un dato biometrico, come una persona.
«Dia l’ordine… Fuori… Avanti… Eccolo là il nemico è alle spalle», ROSI, Uomini contro, 1970, tratto da libro di LUSSU, Un anno sull’altipiano.
Un buon auspicio di un buon lavoro: questa sarebbe concretezza.