In caso di infortunio sul luogo di lavoro[1] accorso ad un dipendente pubblico si rende immediato verificare da una parte, la corretta presenza delle misure di sicurezza (la c.d. valutazione dei fattori, quanto meno quelli afferenti all’art. 15 del d.lgs. n. 81/2008), ovvero l’idoneità dei luoghi privi di rischi per il personale in servizio (secondo il documento di valutazione dei rischi)[2], dall’altra parte, accertare le (eventuali) responsabilità in capo al soggetto tenuto (il datore di lavoro) ad adottare le misure e a vigilarne (assicurare) l’adeguatezza[3]: un obbligo di prevenzione.
Le misure di sicurezza
È noto che in tema di rapporto di lavoro l’obbligo di sicurezza, di cui all’art. 2087 c.c., impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che secondo l’esperienza e la tecnica siano in grado di tutelare e garantire l’integrità psico-fisica del lavoratore, restando esclusi da detta tutela solo gli atti e i comportamenti abnormi ed imprevedibili del lavoratore, idonei ad elidere il nesso causale tra le misure di sicurezza adottate e l’eventuale danno realizzatosi[4].
L’art. 2087 c.c. deve, infatti, ritenersi una norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute (ex art. 32 Cost.) sia dei principi di correttezza e buona fede (ex art. 2015 c.c.) cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro[5].
Gli obblighi in capo al datore di lavoro non si esauriscono nell’adozione e nel mantenimento perfettamente funzionale di misure di tipo igienico-sanitarie o antinfortunistico, ma attengono anche – e soprattutto – alla predisposizione di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di quella integrità nell’ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione ad eventi, pur se allo stesso non collegati direttamente ed alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio.
Tale interpretazione estensiva della citata norma del codice civile si giustifica alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, sia in base al rilievo costituzionale del diritto alla salute – art. 32 Cost. -, sia per il principio di correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio – artt. 1175 e 1375 c.c., disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e di clausole generali – cui deve essere improntato e deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro, sia, infine, pur se nell’ambito della generica responsabilità extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., in tema di neminem laedere[6].
L’approdo porta a ritenere che l’omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psico-fisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale, del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio, sia fonte inevitabile di responsabilità[7].
Una precisazione sulla delega
Va subito chiarito che la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro (alias il Sindaco, nei termini sotto precisati) in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e, tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni – che la legge affida al garante – concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato, con la conseguenza che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato – al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo – e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni[8].
In effetti, come si apprende dalla sentenza, il delegato rimane sottoposto al più ampio potere del delegante, che viene esercitato anche sotto forma di vigilanza: il delegato, inoltre, è tenuto a rapportarsi e a riferire al delegante ai fini dell’adozione di quelle misure di prevenzione o di protezione che sfuggano al suo potere di gestione o di spesa[9]: tuttavia, nella PA l’assunzione dell’incarico di datore di lavoro non costituisce una vera e propria delega quanto l’attribuzione piena di una funzione, con i chiarimenti che seguono.
Il datore di lavoro
La sez. III penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 11 dicembre 2023, n. 49041, è intervenuta per definire il rapporto tra dirigente (datore di lavoro nominato) e il Sindaco, titolare del potere di nomina (ex comma 9 dell’art. 50 e 107 del d.lgs. n. 267/2000)[10], correlato all’attribuzione (che deve essere formalizzata specificatamente) della competenza, di cui all’art. 16, Delega di funzioni, del TU sulla sicurezza: l’assunzione delle funzioni datoriali di responsabile alla sicurezza da parte del dirigente non esime il soggetto titolare dal potere/dovere di vigilanza alle condizioni sopra espresse (e confermate dalla sentenza).
Fatto
Nella sua essenzialità, si ricorre in ultima istanza per negarsi (erronea individuazione) la titolarità della competenza del Sindaco in “qualità di datore di lavoro del personale dipendente”, a fronte di un quadro complessivo degli adempimenti obbligatori del d.lgs. n. 81/2008 del tutto assente nell’Ente locale, ovvero, mancata:
- redazione del documento di valutazione dei rischi;
- nomina del soggetto responsabile del servizio di prevenzione e protezione;
- nomina del medico competente per la sorveglianza sanitaria;
- mancata informazione dei lavoratori circa i rischi per la salute e sicurezza sul lavoro.
La difesa censura il mancato apprezzamento degli atti di nomina del datore di lavoro nella figura del dirigente comunale, responsabile degli adempimenti per la sicurezza dei luoghi di lavoro, nonché supporto alle funzioni del medico competente e del responsabile del servizio prevenzione e protezione, di cui al d.lgs. n. 81 del 2008.
In termini più marcati, la nomina non consisteva in un trasferimento di competenza, quanto semmai di una designazione di datore di lavoro nell’ambito di una Pubblica Amministrazione, con la conseguente sussistenza di un’autonoma posizione datoriale, cui dovevano ritenersi inapplicabili i limiti di delega, di cui all’art. 17 del cit. TUS.
In termini più comprensibili, la competenza esclusiva risiederebbe direttamente nel dirigente, a prescindere dall’individuazione del Sindaco (atto che si direbbe, in questa cangiante dimensione valoriale, neutro ma formalmente necessario), il quale non si sarebbe spogliato di un potere che apparterebbe tout court allo stesso dirigente: una vera e propria immedesimazione organica ex lege; di contro, il primo cittadino non risulterebbe coinvolto nelle decisioni e attività del dirigente non avendo alcun potere di interferenza o vigilanza, salvo il caso di una palese negligenza (oppure della mancata nomina).
Merito
La Corte giunge a identificare il soggetto responsabile della sicurezza dei luoghi di lavoro, chiarendo gli effetti dell’atto di nomina del Sindaco che attribuisce (trasferisce) al nominato l’esercizio delle funzioni di “datore di lavoro” e questo ultimo assume tutte le connesse competenze, residuando al Sindaco l’eventuale potere di vigilanza a fronte di una palese inosservanza alle regole.
In questo senso, la Corte richiama un precedente arresto[11] secondo il quale «il Sindaco, ove abbia provveduto all’individuazione dei soggetti cui attribuire la qualità di datore di lavoro, risponde per l’infortunio occorso al lavoratore solo nel caso in cui risulti che egli, essendo a conoscenza della situazione antigiuridica inerente alla sicurezza dei locali e degli edifici in uso all’ente territoriale, abbia omesso di intervenire, con i propri autonomi poteri, atteso che con l’atto di individuazione, emanato ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, art. 2, comma 1, lett. b), vengono trasferite al dirigente pubblico tutte le funzioni datoriali, ivi comprese quelle non delegabili, il che rende non assimilabile detto atto alla delega di funzioni disciplinata dal medesimo D.L., art. 16».
La norma di riferimento (cit. nella sentenza, la lettera b), del comma 1, dell’art. 2), definisce il «datore di lavoro» come «il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa», segnando in chiaro, nel secondo periodo, che nella PA, da includere nella individuazione il Comune, «per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo».
La stessa fonte (terzo periodo) postula che la responsabilità del Sindaco può essere invocata quando manchi la designazione (rectius nomina), oppure quando questa non sia rispettosa dei presupposti ad essa connessi: dunque, una volta nominato il dirigente (o elevata qualificazione) assume tutte le funzioni di datore di lavoro per il personale assegnato, al Sindaco rimane la responsabilità (da dimostrare) di omessa vigilanza a fronte di riscontrabili e accertate negligenze del dirigente nell’adempiere ai suoi obblighi funzionali (inerenti alla funzione propria)[12].
La delega con la nomina
Si può legittimamente affermare che la disposizione trova pratica attuazione solo dopo che l’organo di direzione politica abbia proceduto alla individuazione dei soggetti ai quali attribuire la qualifica di “datore di lavoro” di cui alla disposizione stessa (in conformità, peraltro, ai precedenti legislativi di cui al d.lgs. 19 marzo 1996, n. 242 contenente modifiche ed integrazioni al d.lgs. n. 626 del 1994)[13].
Il quadro porta, altresì, a rilevare che la responsabilità per le violazioni della normativa concernente la sicurezza nei luoghi di lavoro – assistita da sanzioni penali – ha carattere del tutto personale, impedendo all’Amministrazione di appartenenza di assumersene l’onere di eventuali sanzioni, senza cagionare un danno all’Erario[14].
[1] In tema di infortuni sul lavoro, non è configurabile la responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui l’incidente sia avvenuto sì “in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa” ma non con “violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro”, ponendosi il rischio fuori della sfera di gestione del datore di lavoro, Cass. pen., sez. IV, 23 agosto 2022, n. 31478.
[2] Il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, così sopperendo all’omessa previsione anticipata, Cass. pen., sez. IV, 17 dicembre 2021, n. 46167.
[3] Il riferimento va alla posizione di garanzia, che può essere generata da un’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, incarico che deve essere individuato accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro, Cass. pen., sez. IV, 5 gennaio 2023, n. 100.
[4] Cass. civ., sez. lavoro, 12 aprile 2016, n. 7125.
[5] Cass. civ., sez. lavoro, 19 febbraio 2016, n. 3291.
[6] Cass. civ., sez. lavoro, 5 luglio 2018, n. 17668.
[7] Si rinvia, LUCCA, Violazione degli obblighi di sicurezza del datore di lavoro: inadempimento alla prestazione legittima per il lavoratore, lentepubblica.it, 2 novembre 2021.
[8] Cass. pen., sez. IV, 25 settembre 2023, n. 38913.
[9] Cass. pen., sez. IV, 21 settembre 2022, n. 34943.
[10] Ai sensi dell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000 agli organi di governo erano devoluti i soli poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, spettando ai dirigenti l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi che impegnino l’Amministrazione verso l’esterno: la Corte Cost., 3 maggio 2013, n. 81, ha affermato più volte che una netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie (sentenza n. 161 del 2008) costituisce una condizione «necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa».
[11] Cass. pen., sez. 4, 12 maggio 2015, n. 22415.
[12] Ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è ben distinto da quello del delegato, riguarda precipuamente la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni, Cass. pen., sez. IV, 19 marzo 2012, n. 10702.
[13] Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2007, n. 35137.
[14] Cfr. Corte conti., sez. contr. Liguria, 28 febbraio 2015, n. 9 e Corte conti, sez. giur. Sicilia, 12 luglio 2010, n. 1574.