La “trasparenza” dell’attività della pubblica amministrazione costituisce un principio immanente nell’ordinamento giuridico, è inserita (sotto il profilo legislativo) tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i “diritti sociali e civili” che devono essere assicurati in tutto il territorio nazionale, viene intesa come accessibilità totale (on line) ad una serie di informazioni relative all’organizzazione gestionale e delle risorse pubbliche, rappresenta una manifestazione di compiuta “pubblicità” in tema di appalti pubblici, il tutto allo scopo di favorire un diffuso controllo da parte dei cittadini e contrastare il fenomeno della “corruzione”.
Si potrebbe affermare (nella contrattualistica pubblica) che il perseguimento dell’interesse pubblico (ex art.97 Cost.) non può avvenire se non attraverso procedure rispettose della “trasparenza”, in grado di garantire la “par condicio” e la “concorrenza”, profili sostanziali coincidenti con il concetto comunitario di “pubblicità” e “apertura al mercato”, in evidente distonia con procedure negoziate e dirette (ex trattativa privata), incapaci di accertare una reale ed effettiva “comparazione” tra più offerenti.
La nozione di “concorrenza” sotto il profilo costituzionale riflette quella operante in ambito comunitario e comprende le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, rimuovendo cioè, in generale, i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche.
Si rinviene, in linea generale, che il procedimento finalizzato alla scelta del contraente, salvo casi eccezionali da motivare adeguatamente, richiede una procedura “trasparente”, mettendo in competizione i potenziali operatori economici indipendentemente dal prezzo (soglia) di aggiudicazione: il meccanismo privilegiato di scelta del contraente risulta tendenzialmente la gara aperta, associata ad una chiara definizione dell’oggetto contrattuale e all’invarianza delle condizioni stabilite nella lex specialis, condotta vincolata che preclude di alterare la platea dei concorrenti e garantire la loro massima partecipazione. Depone su questa linea interpretativa il fatto che il rinnovo – proroga di un contratto d’appalto, stipulato al di fuori dei limitati casi contemplati dall’ordinamento, è qualificabile come “trattativa privata” non consentita in assenza dell’espletamento di una gara.
Di converso, l’affidamento di un bene (terreno) pubblico “in locazione” o “in concessione” non conduce a risultati differenti quanto all’obbligo a carico dell’amministrazione proprietaria di avviare una procedura competitiva, la quale, risulta essere prodromica alla individuazione del contraente e alla successiva stipulazione del contratto.
Infatti, la locazione attiva presuppone l’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica come indicato chiaramente dal R.d. n. 2440 del 1923 (ex art.3) e dal R.d. n. 827 del 1924 (in particolare dall’art.37), sfuggiti alla successiva abrogazione sia espressa che tacita; mentre la concessione (sia l’art. 37 cod. nav, avente ad oggetto le concessioni demaniali, sia tutte le ipotesi concessorie contemplate dal Codice dei contratti pubblici) postulano l’esperimento di una procedura comparativa: sono, infatti, legittimati ad impugnare un provvedimento di rilascio di una concessione demaniale, perché effettuato senza il previo svolgimento di una procedura aperta, i soggetti operanti nel settore, potenzialmente interessati all’assegnazione dell’area demaniale, a nulla rilevando che i detti soggetti non abbiano preventivamente presentato una richiesta per il rilascio di detta concessione.
È evidente che in siffatto ambito le regole di rango sovranazionale tendono a garantire l’uniforme applicazione dei principi di parità di trattamento, non discriminazione e concorrenza, ragion per cui, a prescindere dalla formale qualificazione del rapporto (locazione o concessione di bene) l’amministrazione deve esperire una procedura selettiva preordinata all’individuazione del privato cui affidare il sito di proprietà pubblica.
Invero, il principio di concorrenza e i principi dell’evidenza pubblica, si applicano anche nel caso di un appalto gratuito e in ogni caso ove esso offre comunque un’utilità contendibile sul mercato come sostenuto dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, affermando che qualsiasi attività economica in grado di suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese deve, se oggetto di domanda pubblica, incontrare l’offerta privata nella sede del procedimento di “evidenza pubblica”.
La giurisprudenza contabile ha sostenuto, più in generale, che l’obbligo della gara (sia pure in misura più o meno elastica a seconda della rilevanza che la fattispecie assume per la concorrenza) viene in rilievo quante volte, non solo con contratti “onerosi” (nei quali l’amministrazione versa un corrispettivo in cambio di una prestazione), ma anche con contratti “altruistici” o “gratuiti”, di contratti attivi (mediante cui la p.a. si procura entrate, come vendita e locazione), dove la P.A. conferisca o possa conferire ad un soggetto operante nel mercato un’opportunità di guadagno e, quindi, la possibilità di una iniziativa economica che possa determinare un vantaggio competitivo.
In linea di diritto, quindi costituisce principio ormai pacifico quello per cui i “contratti attivi” sussiste un obbligo di rispetto dei principi di trasparenza e di imparzialità, ed in particolare per l’alienazione degli immobili di proprietà pubblica, tali principi appaiono ancor più radicati alla luce della risalenza della relativa disciplina, a mente della quale la vendita deve avvenire secondo modalità tali da garantire gli interessi pubblici con la massima trasparenza ed imparzialità nella scelta del contraente, esclusivamente attraverso le seguenti procedure: pubblici incanti o asta pubblica (sulla base del valore di stima, previe pubblicazioni, affissioni ed inserzioni da ordinarsi dall’Amministrazione in conformità del regolamento di esecuzione).
In via del tutto eccezionale, qualora gli incanti siano andati deserti e l’Amministrazione lo ritenga conveniente, gli immobili possono essere venduti, purché non siano variati se non a tutto vantaggio dell’Ente, il prezzo e le condizioni di vendita, la vendita è poi deliberata a favore di colui che abbia fatto la maggiore offerta in aumento rispetto alla base d’asta nel bando di gara stabilita.
Ne consegue l’illegittima della deliberazione del consiglio comunale nella parte in cui delibera la vendita mediante trattativa privata di un’area di proprietà del comune, nel caso in cui, per un verso, sia mancata del tutto la predisposizione di tali adeguate forme di pubblicità, avendo la p.a. proceduto direttamente a disporre la trattativa privata diretta, per un altro verso, non si possa riscontrare una parola di motivazione in ordine alla verifica della sussistenza di tali eccezionali presupposti per ricorrere alla trattativa privata diretta.
Il quadro d’insieme porta a ritenere che l’osservanza della normativa di evidenza pubblica non è rimessa dalla legge a valutazioni discrezionali dell’Amministrazione dovendo seguirsi un preciso procedimento idoneo a garantire margini sufficienti di concorrenzialità, non potendo stabilire discipline regolamentari interne che abilitano l’ente a cedere immobili di proprietà comunale mediante trattativa privata anche se a favore di enti pubblici, società partecipate (infragruppo) a prevalente capitale pubblico locale, fondazioni, associazioni, onlus ed enti ecclesiastici perché elusive della disciplina nazionale e comunitaria della concorrenza.
La violazione delle regole della concorrenza e della trasparenza, lesiva dei principi costituzionalmente tutelati dagli artt. 41 e 97 e dalla Legge n.241 del 1990, realizza un vulnus all’obbligo di servizio del dirigente preposto (c.d. “danno alla concorrenza”): i valori dell’economicità, dell’efficacia e dell’efficienza dell’attività amministrativa rappresentano ormai i profili di maggior rilievo della “legalità sostanziale” del sistema giuscontabile e, in relazione ad essi, non è più consentito “omettere un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico”, atteso che sappiamo, dalla scienza economica, che il perfetto funzionamento dei meccanismi di mercato non necessita solo di una situazione di concorrenza effettiva, ma anche di una condizione di legalità, intesa come rispetto delle regole.
I basilari principi in materia di concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui agli artt. 81 e ss. e 49 e ss. del Trattato CE, impongono al rispetto degli Stati membri, indipendentemente dall’ammontare delle commesse pubbliche, e tali principi vengono canonizzati all’art. 2 del D.Lgs. n.163/2006 che, in attuazione della direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, annovera tra i principi fondamentali dei contratti pubblici anche il “principio concorrenza”: ogni accertamento di “convenienza” deve necessariamente avvenire in un sistema di negoziazione concorrenziale, alias trasparente.
A margine è da rilevare che la competenza in materia di acquisti e alienazioni immobiliari, ai sensi dell’articolo 42, lett. l) del D.Lgs. n.267/2000, è del Consiglio comunale, organo chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale che si traducono in atti fondamentali di natura programmatoria o aventi elevato contenuto di indirizzo politico, tassativamente elencati, mentre la Giunta ha una competenza residuale in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al Consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o di altri organi.
(estratto, Osservazioni su trasparenza e procedure competitive, appaltiecontratti, 3 maggio 2013)