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Articolo Pubblicato il 18 Marzo, 2025

L’astensione nelle commissioni concorsi

L’astensione nelle commissioni concorsi

È noto che le cause di incompatibilità, di cui all’art. 51 c.p.c., sono estensibili a tutti i campi dell’azione amministrativa, e quindi anche alla materia concorsuale, costituendo l’obbligo di astensione un portato dei principi di imparzialità e di trasparenza che trovano il loro fondamento nell’art. 97 Cost. e devono sempre connotare l’azione e l’organizzazione amministrativa: non solo essere ma anche l’apparire non sfugge alle regole di legalità che esigono una condotta neutra rispetto all’oggetto del giudizio, evitando quella “tensione” tra l’interesse primario perseguito, nel valutare il candidato, e l’interesse secondario di (eventuali) interessenze con il candidato stesso[1].

Conflitto di interessi e prova

Ne consegue che in presenza di un conflitto di interesse da parte di un commissario di concorso, una volta presa visione dei candidati, vi è un obbligo (dovere) di astensione, osservando, tuttavia, che le cause di incompatibilità, di cui al citato art. 51 c.p.c., hanno carattere tassativo e sfuggono ad ogni tentativo di estensione analogica, e ciò allo scopo di tutelare l’esigenza di certezza dell’azione amministrativa e la stabilità della composizione delle Commissioni giudicatrici e, soprattutto, di evitare interferenze o interventi esterni, preordinati – abusivamente, tanto quanto l’omessa astensione di chi versi in patente conflitto d’interessi – ad ottenere, mediante forzature o iniziative infondate, una composizione gradita o un atteggiamento intimorito dell’organo giudicante[2].

In dipendenza di ciò, il conflitto di interesse non può essere predicato in via astratta ma deve essere dimostrato nel concreto: un onere probatorio cogente, aspetto positivizzato (in altro contesto) in chiaro nel comma 2, dell’art. 16 del Codice dei contratti pubblici: «deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro».

Il pronunciamento

La sez. VII del Consiglio di Stato, con la sentenza 18 marzo 2025, n. 2236 (Est. Rotondano), conferma l’orientamento secondo il quale la presenza di un conflitto di interessi, all’interno dei componenti di una Commissione di concorso, deve essere dimostrata con un effettivo accertamento.

Fatto

In prime cure si chiedeva l’annullamento di una procedura concorsuale, lamentando l’illegittimità delle valutazioni dovuta da una rappresentata inimicizia/alterco tra la parte ricorrente e alcuni componenti della Commissione, nonché la presenza – tra un commissario e il candidato risultato vincitore – di un forte legame, mentre un altro ancora perché proveniente dalla stessa università di provenienza di quel candidato.

Il ricorso veniva respinto, donde l’appello.

Merito

Il giudice di seconde cure respinge il ricorso (infondatezza) con le seguenti motivazioni:

  • l’obbligo di astensione in capo ai componenti di una Commissione di concorso sussiste solo nei casi, tassativamente intesi, previsti dall’art. 51 c.p.c., senza possibilità di procedere ad una estensione analogica degli stessi[3];
  • per garantire la continuità all’azione amministrativa e stabilità della composizione delle Commissioni giudicatrici, in tale materia il ricorso ad elementi invalidanti deve basarsi su un effettivo conflitto di interessi[4];
  • una causa di incompatibilità, con conseguente obbligo di astensione, per il componente di una Commissione giudicatrice di concorso (universitario) sussiste solo ove risulti dimostrato che fra lo stesso e un candidato vi sia un rapporto di natura professionale con reciproci interessi di carattere economico e una indubbia connotazione fiduciaria (c.d. intensità del rapporto)[5], non essendo sufficiente un mero rapporto professionale o di collaborazione scientifica (si dovrà dimostrare la presenza di interessi economici o di vita, di intensità tale da porre in dubbio l’imparzialità del giudizio)[6];
  • l’appartenenza allo stesso ufficio, così come i rapporti personali di colleganza o di collaborazione tra i componenti della Commissione e determinati candidati non sono sufficienti a configurare un vizio della composizione della Commissione stessa, non rientrando tali ipotesi nelle cause di incompatibilità previste dall’art. 51 c.p.c.[7];
  • l’essere provenienti dalla medesima università del vincitore non costituisce motivo di astensione, così come non lo sia la produzione scientifica condivisa con un professore dell’università di provenienza del vincitore;
  • la grave inimicizia, che impone il dovere di astensione, deve essere necessariamente fondata su obiettive circostanze di conflittualità (generate da pregressi rapporti personali) tra il commissario e il candidato ricorrente, cui incombe l’onere di provare, sulla base di dati di fatto concreti e documentati, l’esistenza di comportamenti inequivoci e palesi di ostilità preconcetta.

Osservazioni

La sentenza si allinea ai precedenti, dovendo dimostrare la presenza del conflitto di interessi mediante prove non potendo limitarsi alla descrizione di fatti senza allegazioni[8], evitando affermazioni sfornite di qualsiasi concreto supporto, basate su circostanze inidonee a configurare un’aprioristica prevenzione nei confronti del candidato o da far presumere la sussistenza di un conflitto di interessi tale da comportare l’obbligo di astensione per i commissari.

In termini più elementari, si dovrà dare prova dell’esistenza di cause ostative che minano la serenità dei componenti della Commissione concorsuale, fornendo al Giudice elementi fattuali tali da far comprendere, dalla lettura degli atti, quali sarebbero le ragioni di incompatibilità e i motivi di inimicizia/alterco, diversamente si dovrà dichiarare il motivo, sotto questo profilo, inammissibile per genericità.

[1] Cons. Stato, sez. III, 24 gennaio 2013, n. 477.

[2] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 16 gennaio 2024, n. 535.

[3] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2020, n. 3804.

[4] Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2119.

[5] La procedura concorsuale può ritenersi viziata soltanto nel caso in cui i rapporti personali fra esaminatore ed esaminando siano di intensità tale da fare sorgere il comprovato “sospetto” che il candidato sia giudicato non in base al risultato della prova del concorso ma in virtù delle conoscenze personali, Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 1994, n. 162; sez. VI, 25 settembre 1995, n. 1988; 8 agosto 2000, n. 2045; 12 dicembre 2000, n. 6577.in effetti, anche l’attività di collaborazione scientifica e intellettuale, la conoscenza personale o l’instaurazione di rapporti accademici, come pure i c.d. “coautoraggi”, nell’ambito dei concorsi universitari, non sono di per sé motivi di astensione, a meno che i rapporti personali o professionali, trascendendo la dinamica istituzionale delle relazioni accademiche, non siano di rilievo ed intensità tali da far sorgere il sospetto o il dubbio che il giudizio sul candidato non sia stato improntato al rispetto del principio di imparzialità.

[6] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 aprile 2016, n. 1628; sez. VI, 23 settembre 2014, n. 4789.

[7] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 novembre 2014, n. 5618; sez. VI, 27 novembre 2012, n. 4858, idem TAR Toscana, sez. I, 12 settembre 2023, n. 837.

[8] Per altri versi, la valutazione discrezionale della Commissione esaminatrice può essere scrutinata in presenza di profili di irragionevolezza, manifesta erroneità o illogicità, elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico o un errore di fatto o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile, Cons. Stato, sez. VII, 7 novembre 2022, n. 9768.