Una strada per essere classificata come pubblica non è sufficiente l’uso pubblico (il c.d. transito) ma deve sussistere una manifestazione espressa, da parte della pubblica amministrazione (c.d. P.A.), che quel determinato bene assolva una destinazione pubblica accompagnato da un valido titolo di proprietà del suolo o di un diritto di servitù pubblica, in base ad un atto idoneo a trasferire il dominio od a costituire la servitù: appartenenza all’ente pubblico (quoad proprietatem) e destinazione all’uso pubblico (quoad usum).
L’accertamento, pertanto, in ordine alla natura “pubblica” di una strada presuppone necessariamente l’esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico e che la stessa sia destinata all’uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell’ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l’esplicarsi di fatto del transito del pubblico né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica o l’intervento di atti di riconoscimento da parte dell’amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta.
È pacifico, dunque, che rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto l’ingiunzione di ripristino di un passaggio di uso pubblico su di una strada che si assume utilizzata dalla collettività, essendo una vertenza riferita all’uso pubblico.
Diversamente, l’ambito del sindacato (incidentale) del giudice amministrativo, come quello dell’autorità amministrativa, per quel che riguarda le proprietà immobiliari e i diritti reali immobiliari si deve attenere alle risultanze dei contratti scritti, dei libri e registri immobiliari e delle sentenze che accertano o costituiscono diritti immobiliari, mentre è invece escluso che in sede amministrativa e di giurisdizione amministrativa si possano accertare fatti o atti modificativi delle situazioni giuridiche, come usucapioni, prescrizioni acquisitive, devoluzioni ablative, manifestazioni atipiche di volontà contrattuale.
Al fine di determinare l’appartenenza di una strada al demanio comunale costituiscono indici di riferimento:
- l’uso pubblico, cioè l’uso da parte di un numero indeterminato di persone, il quale isolatamente considerato potrebbe indicare solo una servitù di passaggio;
- l’ubicazione della strada all’interno dei luoghi abitati;
- l’inclusione nella toponomastica del Comune;
- la posizione della numerazione civica;
- il comportamento della P.A. nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica;
- non può ritenersi elemento da solo sufficiente, l’inclusione o rispettivamente la mancata inclusione nell’elenco delle strade comunali, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’elenco anzidetto.
In effetti, per l’attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all’uso pubblico concorra l’intervenuto acquisto, da parte dell’ente locale, della proprietà del suolo relativo o di altro diritto reale immobiliare (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d’esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell’appartenenza della sede viaria al Comune, l’iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima.
Neppure l’iscrizione catastale del bene non è idonea a provare che l’intestatario abbia effettivamente esercitato su di esso quel potere di fatto che, unitamente all’indispensabile elemento intenzionale, è idoneo a produrre l’acquisto della proprietà per il decorso del tempo ed il concorso di tutte le altre condizioni richieste dalla legge.
Diversamente, la strada vicinale (da non confondere con le strade vicinali private formate “ex collatione privatorum agrorum” e quindi di proprietà dei conferenti) si caratterizza per indicare la qualità della strada di proprietà privata soggetta a pubblico transito e che forma la categoria più importante dei beni indicati nell’art. 825 del codice civile, dove si postulano i “diritti demaniali su beni altrui”, quando «i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi»: l’uso pubblico di un bene non implica necessariamente la coeva titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.
La servitù di uso pubblico è, infatti, caratterizzata dall’utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone del bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa, esprimendo un diritto di uso pubblico sulla base della sua idoneità alla effettiva destinazione al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
In questo senso, la sdemanializzazione di una strada postula comportamenti inequivoci dell’ente proprietario, incompatibili con la volontà di conservare i beni all’uso pubblico, tali da non poter essere desunti dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, rilevando che tale uso pubblico, specie ove il loro tracciato si addentri all’interno di zone poco frequentate (vedi, ad es. quelle boschive) di per sé non viene meno per effetto della impraticabilità parziale o anche totale dei percorsi, in quanto, per mantenere detta funzione pubblicistica risulta sufficiente la presenza, anche non frequente, di transito pedonale, purché esso sia esercitato da parte della generalità degli abitanti e per qualsiasi loro utilità contingente.
Di converso, per la perdita dell’uso pubblico è necessario che dal complessivo comportamento della pubblica amministrazione risulti inequivocabile dedursi la volontà di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione, nonchè di rinunciare definitivamente al ripristino dell’uso pubblico, ove ne risulti di non facile accessibilità o affluenza.
Legittimamente l’Amministrazione comunale, può giustificare il declassamento di una strada vicinale quando risulta, sulla base una valutazione discrezionale supportata da un accertamento tecnico, che la strada collegata alla via pubblica presenta un numero esiguo di proprietà private e della conseguente insussistenza di esigenze pubbliche connesse all’utenza generale, mancando di fatto un transito di una collettività indifferenziata.
Stesse considerazioni già poste, ai fini della qualificazione di una strada come “vicinale e pubblica”, dovendo avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo a determinate condizioni:
- consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso, ammettendo l’irrilevanza che la via sia chiusa da un lato senza sbocco su altra strada (c.d. vicolo cieco) qualora sussistano numerosi e plurimi indici fattuali che denotano il regime giuridico del vicolo, quale strada privata assoggettata a uso pubblico;
- la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
- un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione, pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica, di esercitare il diritto di uso della strada;
- è collegata con la viabilità generale;
- è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico;
- dalla destinazione della strada ad uso pubblico discende poi l’applicazione della disciplina stradale.
In termini diversi, ai fini della qualificazione di una strada come “vicinale pubblica”, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato “iure servitutis pubblicae” da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, non essendo sufficiente l’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso pubblico costituisce presunzione “iuris tantum”, superabile con la prova contraria, che escluda l’esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività.
L’articolo 1 del Decreto Legislativo Luogotenenziale 1° settembre 1918, n. 1446, riferendosi alla definizione ricavata dal diritto romano di strada vicinale, da considerare quella adibita non solo ad esclusivo uso dei fondi contigui (fondi di latistanti e in consecuzione) ma anche per il passaggio di chiunque avesse interesse ad usarle, dispone che “gli utenti delle strade vicinali, anche se non soggette a pubblico transito, possono costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la sistemazione o ricostruzione di esse”.
Appare evidente che il carattere della titolarità del bene non è determinante al fine della sua qualificazione normativa, essendo necessario accertare di fatto la destinazione del bene, l’uso a cui è funzionale la strada che, per essere coerenti, va a determinare la sua natura: a servizio di un numero limitato di soggetti o una collettività indistinta (ergo transito pubblico o privato).
L’articolo 19 della Legge 12 febbraio 1958, n. 126, “Disposizioni per la classificazione e la sistemazione delle strade di uso pubblico”, in questi termini pone una particolare definizione alle “strade vicinali” per ricomprendervi “tutte le altre strade non iscritte nelle precedenti categorie e soggette a pubblico transito sono vicinali”.
Ciò che caratterizza la demanialità del bene non è la sua appartenenza ad un determinato soggetto o ente (pubblico o privato) ma l’uso a cui è funzionale la strada – il transito pubblico – cioè, oltre al transito dei proprietari frontisti e di quelli in consecuzione, è necessario l’ulteriore requisito dell’uso pubblico esercitato iure servitutis.
Sembra di capire che anche indipendentemente dall’utilizzo “da tempo immemorabile”, presupposto questo necessario solo in sede petitoria innanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria, e della sopravvenienza di un’alterazione dei luoghi, questo non possa impedire la definizione di strada ad uso pubblico, essendo sufficiente che vi sia la sola utilizzazione da parte della collettività.
Con riguardo a questo ultimo profilo, in ogni caso, può essere definito che l’uso pubblico della strada privata quando presenta una risalenza storica porta ad opera, comunque, l’istituto dell’immemorabile, e quindi la presunzione di corrispondenza del possesso da parte del pubblico a titolo legittimo ab immemorabile, poiché l’istituto ha lo scopo di affermare una situazione fattuale da cui si presume l’esistenza di un titolo legittimo corrispondente, pur in assenza di una traccia documentale: si è in presenza di una situazione “cuius memoria non extat”, non potendo esigersi una prova diversa dalla situazione di fatto in sé e per sé considerata.
L’istituto dell’immemorabile realizza una fattispecie analoga alla regola di legittimazione relativa al possesso di beni mobili non registrati, di cui all’art. 1153 cod. civ., che costituisce trascrizione del principio, fissato dal codice civile napoleonico, secondo cui “en fait de meublespossession vaut titre”, altrimenti qualificata come “prescription istantanée”, dove la proprietà si acquista mediante possesso di buona fede anche se trasferita a non domino, così per i beni immobili essa si acquisiva in funzione del possesso protratto per un tempo così lungo da non conservarsene memoria né nei contemporanei né in forma documentale riferibile agli avi.
Stabilito l’uso pubblico ne consegue il potere dell’Amministrazione di regolamentare il transito.
(Estratto, La disciplina delle strade ad uso pubblico, L’Ufficio Tecnico, 2018, n. 1 – 2)