Gli accordi di pianificazione urbanistica costituiscono modelli di governance del territorio, con ampio margine di discrezionalità, attuativi dei principi costituzionali di partecipazione e sussidiarietà, che ammettono il partenariato pubblico – privato nel perseguimento dell’interesse pubblico generale ad un regolare, armonico e sostenibile sviluppo economico – sociale di un territorio, garantendo un equilibrato scambio di utilità tra la Pubblica Amministrazione, titolare di una potestà pubblica di cura e promozione collettiva (ex art. 3, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000, e il privato, ossia il promotore/attuatore, portatore di bisogni (interessi) individuali di natura economica (contendibile) e dai contorni trasmissibili dei diritti, estrinsecazione dello ius aedificandi, anche in relazione alla “funzione sociale” della proprietà (ex artt. 41 e 42 Cost.).
Modelli di pianificazione
Modelli di accordi di pianificazione sono le convenzioni urbanistiche, nello scheda di riferimento procedimentale disciplinato – in via generale – dall’art. 11, Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, della legge n. 241/1990 e dalle normative regionali di settore[1], con lo scopo principale di disciplinare i rapporti giuridico – patrimoniali (negoziali) tra la PA e privato investitore, trasformando e rigenerando gli spazi urbani, in termini di innovatività e qualità, attraendo risorse economiche per il raggiungimento di target migliorativi della qualità delle infrastrutture/servizi a rete e del benessere collettivo, in una dimensione ottimale (la cd. smart city)[2].
L’accordo di pianificazione (di stampo giuspubblicistico, non sovrapponibile tout court con il contratto) rientra tra gli strumenti/moduli negoziali della Pubblica Amministrazione:
- sia nei termini indicati dall’articolo 1321 del codice civile, con la piena libertà e capacità di agire, potendo stipulare ogni genere contrattuale purché coincidente con le finalità e l’interesse pubblico (ex 97 Cost.);
- sia nei parametri indicati dall’art. 11 della legge n. 241/1990, con la determinazione del contenuto discrezionale del provvedimento finale, ovvero in sostituzione di questo.
La giurisdizione
La controversia riguardante l’esatta esecuzione di obblighi nascenti da una convenzione urbanistica, ovvero per il risarcimento dei danni conseguenti alla ritardata od omessa esecuzione dei detti obblighi, rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a., in quanto estesa a controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione di accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento, trattandosi di obbligazioni derivanti da strumenti convenzionali, da comprendere tra gli accordi di cui all’art. 11, della legge n. 241 del 1990, in materia urbanistica ed edilizia[3].
La sentenza
La sez. IV, del Consiglio di Stato, con la sentenza del 5 settembre 2024, n. 7435, interviene sulla corretta interpretazione di un accordo (nella specie, un accordo ai sensi della disciplina regionale per la realizzazione di un impianto di trattamento rifiuti), funzionale all’adozione di un Piano Urbanistico Attuativo (PUA), con valore di permesso di costruire.
Il Giudice di seconde cure, nel rigettare l’appello (infondato), fornisce alcune indicazioni pratiche, estensibile agli accordi nella loro dimensione di strumento negoziale consensuale, dove la PA si obbliga con il privato a realizzare una pianificazione condivisa (alias consensuale), ossia con finalità pubbliche pur aventi scopi diversi, accumunate dal coincidente interesse alla realizzazione di una modifica dell’assetto territoriale, nel quale insiste la costruzione (completamento) di un impianto di trattamento e riciclo dei rifiuti.
L’accordo esige dalle parti una condotta secondo le regole di correttezza e buona fede civilistica, aspetto positivizzato dal comma 2 bis, dell’art. 1, della legge n. 241/1990: «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede», definendo un modo “vincolato” di agire, quello indicato nelle condizioni/obbligazioni inserite all’interno dell’accordo, da ricomprendere l’eventuale tempistica nell’adottare l’iter amministrativo per consentire il rilascio dei titoli edilizi, secondo i criteri di semplificazione e concentrazione: una serie di reciproci obblighi finalizzati al risultato.
Non sfugge che il sinallagma consiste nel legame o nesso di reciprocità che unisce una prestazione all’altra in alcune categorie di contratti o atti consensuali bilaterali (rectius convenzioni/accordi urbanistici); ma non vi sono prestazioni reciproche tra loro correlate, quando solo una delle parti è sanzionata per l’inadempimento[4].
L’interpretazione
Da queste premesse, la decisione non può che attenersi alla lettura dell’accordo stipulato, dove i reciproci obblighi sono stati definiti, e, nello specifico:
- l’impegno a non presentate istanze necessarie all’approvazione del progetto fino ad un determinato termine decorrente dall’approvazione di una variante di individuazione di aree alternative;
- diversamente, nel caso di inerzia dell’Amministrazione (non approvazione della variante), la facoltà di presentare apposite istanze per l’approvazione del progetto, entro altrettanti termini temporali prestabiliti.
Si potrebbe affermare che in presenza di tali condizioni – in ciarla non fit interpretatio – la ricerca e l’individuazione della comune volontà dei contraenti non esita a soluzioni stabili di qualificazione (ex art. 1362 c.c.).
La “chiarezza”, che consente di evitare ogni altra indagine interpretativa non è, infatti, una chiarezza lessicale in sè e per sè considerata, avulsa dalla considerazione della comune volontà delle parti, ma al contrario, la chiarezza che preclude qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale è la chiarezza delle intenzioni dei contraenti: soltanto ove lettera ed intenzione delle parti siano effettivamente chiari e tra loro coerenti potrà, dunque, arrestarsi l’indagine dell’interprete: la conseguenza logica esclude che l’anzidetto principio possa trovare applicazione nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti[5].
Le condizioni
In dipendenza di ciò, appare evidente che le parti hanno voluto modulare i tempi per la presentazione delle istanze; tempi contingentati a favore del Comune, con lo scopo di «non aumentare il clima di conflittualità a causa delle contestazioni di alcuni cittadini rispetto alla localizzazione dell’impianto di trattamento dei rifiuti» (Not In My Back Yard, «non nel mio giardino»).
A fronte di una disponibilità del privato attuatore, «il Comune avrebbe dovuto, quindi, valutare l’istanza delle appellate con ragionevolezza e con lo stesso spirito collaborativo mostrato» dal richiedente (la parte firmataria dell’accordo), visto che le clausole inserite esigevano da una parte (quella del privato), una tolleranza nel concludere il procedimento di variante (due anni), dall’altra parte (quella della PA), un dovere di attivarsi (pronunciarsi) nell’adozione della variante entro il termine finale, impedendo, quindi, di esercitare un potere (arbitrario/tiranno) sine die o, alternativamente, pretendere un differimento dei termini di presentazione dei progetti per poi ritenerli di natura decadenziali: una conclusione «decisamente sproporzionata e irragionevole».
Criteri interpretativi
Seguono i primi criteri interpretativi:
- ai sensi dell’art. 11, della legge n. 241 del 1990, volendo qualificarlo come contratto di diritto privato, il comma due prescrive l’applicabilità agli accordi ivi contemplati, ove non diversamente previsto, dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, tra cui devono farsi rientrare anche i criteri di interpretazione del codice civile;
- il criterio teleologico della comune volontà delle parti, di interpretazione letterale (ex 1362 c.c.) e di buona fede (ex art. 1366 c.c.) devono orientare l’interprete nella interpretazione del predetto accordo.
Adottando tali coordinate esegetiche (dalla lettera della norma) emerge la volontà delle parti di non sottoporre ad un termine decadenziale la presentazione delle istanze in genere necessarie all’approvazione del progetto, diversamente da quella relativa al permesso di costruire.
Va detto, peraltro, che i termini perentori vanno interpretati in senso restrittivo, perché, la sanzione della decadenza dell’istanza o della domanda, derivante dall’inutile spirare di tali termini, impone la necessità che ci sia un’espressa previsione in tal senso, in mancanza della quale il termine va inteso come meramente sollecitatorio o ordinatorio (nell’accordo manca questo richiamo)[6].
Seguendo il criterio secondo buona fede, in presenza di una parte “privilegiata” (il Comune) i termini di presentazione delle istanze impone, nel dubbio, un’interpretazione meno rigorosa dei termini entro cui presentare le “altre” istanze (quelle diverse dall’istanza di permesso di costruire), considerando tali termini non perentori: ove una parte ha condizioni più vantaggiose, l’interpretazione non può che rendersi meno rigorosa rispetto alla controparte, ovvero più elastica a suo favore.
Tuttavia, il criterio di interpretazione secondo buona fede non può essere relegato a criterio di interpretazione meramente sussidiario rispetto ai criteri di interpretazione letterale e funzionale, in quanto l’elemento letterale va integrato con gli altri criteri di interpretazione, tra cui secondo buona fede o correttezza, ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e, quindi, alla relativa causa concreta[7].
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1366 c.c., quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale”) si specifica in particolare nel significato di lealtà (il rimando all’art. 2105 c.c.) e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte[8], escludendo che il suddetto criterio interpretativo sia meramente sussidiario, applicabile solo quando quelli oggettivi non sono di ausilio[9].
In termini diversi, buona fede o correttezza integrano un generale principio di solidarietà sociale che trova applicazione a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, imponendo al soggetto di mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, ma è anche fonte legale d’integrazione del contratto, quale obiettiva regola di condotta che vale a determinare il comportamento dovuto in relazione alle concrete circostanze di attuazione del rapporto, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, ed è volta alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità, in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati, specie ove si consideri che una parte (quella pubblica) ha una finalizzazione nel dovere di agire nell’interesse generale di imparzialità e buon andamento: un vincolo di condotta, ex art. 97 Cost.: una legittima aspettativa[10].
Sintesi
Si può concludere, dunque, che nessun accordo, di diritto privato o di diritto pubblico, può essere interpretato in contrasto con il principio di buona fede che affascia tutti i rapporti di diritto privato (ex art. 1175, 1375 c.c.) e di diritto pubblico (ex comma 2 bis, dell’art. 1, Princípi generali dell’attività amministrativa, della legge n. 241 del 1990, art. 5, Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento, del d.lgs. n. 36 del 2023).
Proiezioni del valore pubblico
Una regola che dovrebbe governare le relazioni non solo negoziali, a beneficio dello scambio di prestazione e controprestazione (il c.d. sinallagma), ma quelle tra le persone, specie di coloro che esercitano una funzione pubblica (ex comma 2, dell’art. 54 Cost.): quell’educata convivenza con la correttezza reciproca che si identifica con la lealtà.
Un valore etico (oramai) raro nell’intento (malsano, non naturale) di generalizzare il genere neutro, dovendo abbandonare l’identità, quella dote che identifica l’umano che vorrebbero sostituire da un QR-code digitale, sempre tracciabile, un virtuale green pass: le cose finiscono (e i loro maestri, sepolti).
[1] L’accordo provvedimentale, ove la mediazione dell’interesse pubblico avviene in sede di approvazione dell’accordo nella motivazione, quale species qualificata del genus contratto, Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2005, n.5884.
[2] M. LUCCA, Accordi di pianificazione e perequazione urbanistica, L’Ufficio Tecnico, 2017, n. 9.
[3] TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, 24 settembre 2024, n. 16544.
[4] Cfr. Cons. Stato, sez. II, 19 aprile 2022, n. 2953.
[5] Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2016, n. 14432.
[6] Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2289.
[7] Cass. civ., sez. III, 19 marzo 2018, n. 6675 e 23 maggio 2011, n. 11295.
[8] Cass., 19 marzo 2018, n. 6675; 6 maggio 2015, n. 9006; 23 ottobre 2014, n. 22513; 25 maggio 2007, n. 12235; 20 maggio 2004, n. 9628.
[9] Cfr., Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 2014, n. 25840.
[10] Le fattispecie vertenti una domanda risarcitoria avanzata da un privato verso l’Amministrazione, a titolo di responsabilità precontrattuale, imperniata sulla violazione di obblighi di buona fede e correttezza della PA e sull’assenza di un provvedimento da caducare, sarebbero attratte nella sfera di giurisdizione del giudice ordinario, Cass. civ., SS.UU., 13 marzo 2020, n. 7219; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 5 luglio 2019, n. 1554.