La disciplina del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” (ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, T.U.) impone al Responsabile del procedimento (dirigente o posizioni organizzativa), a fronte della realizzazione di un intervento edilizio in assenza del titolo (o in sua difformità o con variazioni essenziali), l’ordine – al proprietario e al responsabile dell’abuso – della rimozione o della demolizione, con una condotta vincolata che, una volta accertata l’eventuale inadempimento e il mancato ripristino dello stato dei luoghi (nei termini concessi), attivi il procedimento di acquisizione gratuitamente al patrimonio del Comune del bene (costruito abusivamente) e dell’area (con applicazione di una sanzione pecuniaria) per la successiva demolizione; salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.
Tale fase può essere preceduta dalla sospensione dei lavori iniziati in base ad un titolo regolare purchè tale potere sia esercitato sulla base di puntuali ed esaustivi accertamenti in ordine alla non conformità tra le opere realizzate e quelle previste nel progetto assentito.
Gli artt. 33 e 34 del citato T.U., prevedono che qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, venga applicata una sanzione pecuniaria definita direttamente dalla norma, stabilendo, altresì (art. 36), il rilascio di un permesso in sanatoria, previo pagamento di apposito contributo (oneri di urbanizzazione o costo costruzione), se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
In questo contesto, pare opportuno segnalare che in tema di abusi edilizi ed urbanistici si è in presenza di illeciti di carattere permanente, caratterizzati dall’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conseguenza che se l’Autorità emana un provvedimento repressivo di demolizione non emana un atto “a distanza di tempo” dall’abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente e non esercita alcuna discrezionalità.
L’attività posta in essere dall’Amministrazione pubblica (P.A.) esprime l’esercizio di una discrezionalità di natura tecnica, limitandosi ad una valutazione dei fatti alla stregua di canoni scientifici e tecnici, non involgendo alcuna comparazione tra l’interesse pubblico primario e gli interessi secondari al fine di individuare la soluzione più opportuna per l’interesse da perseguire (cd. discrezionalità amministrativa o c.d. “pura”), con la conseguenza pratica di analizzare gli accadimenti rispetto all’inquadramento normativo e operare la scelta all’interno delle regole procedurali nei “tempi” e nei “modi” prestabiliti.
In ragione del loro contenuto rigidamente vincolato, gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l’ordine di demolizione della costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d’avvio del relativo procedimento, nella consapevolezza che il provvedimento è posto al termine di un procedimento accertativo, e la partecipazione viene assicurata al momento dell’accertamento dell’abuso.
L’ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva, con le precisazioni che seguiranno, va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo.
In ragione di ciò, nello specifico l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive è subordinata all’accertamento del carattere abusivo delle opere stesse, desumibile sulla base di accertamenti tecnici, ovvero di personale titolato sotto il profilo professionale; pertanto, ciò che appare necessario è che al privato sia stata data la possibilità di partecipare a quelle attività di rilevamento fattuale che preludono alla valutazione circa l’adozione dell’ordine di demolizione: il contraddittorio sulle prime esclude che l’attività istruttoria dell’Amministrazione si sottragga al contraddittorio con l’amministrato e che quest’ultimo, avvisato di fatto dell’avvio dell’iter procedimentale, possa utilizzare tutte le altre facoltà di accesso infraprocedimentale, di impulso istruttorio, di dialettica per iscritto, che gli consentono di tutelare la propria posizione di interesse legittimo.
La partecipazione dell’interessato nel procedimento e il tempo dell’azione amministrativa diventano, quindi, elementi determinati dell’agire pubblico atteso che il “giusto procedimento” richiede oneri di trasparenza e accesso (ex artt. 7 e 10 della legge n. 241/1990), nonché la certezza dei termini di conclusione del procedimento, che oltre ad essere un precetto normativo (ex art. 2, commi 1 e 2 della legge n. 241/1990), assicura il consolidamento degli effetti prodotti dal provvedimento e crea una legittima aspettativa nel destinatario finale dell’atto, salvaguardando l’esigenza di certezza della posizione giuridica della parte (il cd. bene della vita).
Infatti, l’affidamento riposto nella legittimità del titolo edilizio ottenuto dal privato (sempreché non sia frutto di false dichiarazioni) a seguito di regolare richiesta non consente, a distanza di tempo, un successivo ripensamento dell’Amministrazione, dovuto a modifiche normative intervenute dopo la presentazione della sua domanda ma prima dell’adozione dell’atto, in quando contrario ai principi di lealtà e buona fede, dovendo la P.A. tener conto dell’affidamento riposto dal destinatario del provvedimento nella conformità del titolo alla disciplina normativa applicabile.
È stato evidenziato che il tempo non risulta indifferente nell’adozione dei provvedimenti (specie se sanzionatori), e l’attività repressiva decorre dal momento che l’Amministrazione viene a conoscenza di un determinato fatto (l’abuso), idoneo ad attivare delle misure finalizzate al ripristino della legalità a fronte di accertate violazioni in ambito edilizio/urbanistico/paesaggistico/ambientale.
Ciò posto, l’avvio del procedimento demolitorio può presentarsi a distanza di molto tempo, con l’esigenza di rispettare il criterio del cd. “termine ragionevole”, definito in diciotto mesi (ex art. 21 nonies della legge n. 241/1990), per azionare le azioni di tutela, salvo il caso di fraudolenta rappresentazione dei fatti o di dichiarazioni che impediscono il consolidarsi di una lecita aspettativa.
In presenza di un manufatto abusivo, dove la parte dimostra l’epoca di costruzione anteriore rispetto alla legge del 1967, è comunque in presenza di un ordine di demolizione intervenuto dopo quantomeno trent’anni dall’edificazione nei confronti di soggetti non responsabili della stessa e in un contesto in cui era palese e notoria la sua esistenza, l’Amministrazione deve procedere con le dovute cautele e con una motivazione rafforzata.
In tale contesto che, pur nell’incertezza giurisprudenziale in materia che ha portato anche ad una rimessione della questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la peculiarità del caso può giustificare l’assunto difensivo secondo il quale un eventuale ordine di demolizione dovrebbe giustificare la sussistenza dell’interesse pubblico alla misura adottata in relazione al trascorrere del tempo.
L’intervento della quarta sezione dei giudici di Palazzo Spada (cit.) si incentra su due contrapposti orientamenti riferiti al termine ragionevole e all’interesse pubblico:
– il primo, faceva riferimento all’esigenza di garantire la tutela dell’affidamento mediante la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal titolo rilasciato, valutazione discrezionale dell’Amministrazione nella ricerca del giusto equilibrio tra ripristino della legalità violata e conservazione dell’assetto regolativo del provvedimento viziato, con la fissazione del “termine ragionevole” in quello massimo di 18 mesi, valevole come indice ermeneutico: in ambito edilizio, nella motivazione assume maggiore rilevanza l’interesse dei privati destinatari dell’atto ampliativo e minore rilevanza quello pubblico all’eliminazione di effetti che si sono prodotti in via definitiva, con l’ulteriore corollario che l’“interesse pubblico” alla rimozione attuale dell’atto non può coincidere con l’esigenza del mero ripristino della legalità violata e deve essere integrato da ragioni differenti;
– il secondo (maggioritario), ritiene che il provvedimento di annullamento di concessione edilizia illegittima è da ritenersi in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata, atteso che il rilascio del titolo edilizio comporta la sussistenza di una permanente situazione contra legem e di conseguenza ingenera nell’Amministrazione il potere-dovere di annullare “in ogni tempo” la concessione illegittimamente assentita. In questo filone giurisprudenziale, per esonerare dalla comparazione tra interesse pubblico e interesse privato sono richiamate le condotte fuorvianti o false assunte dall’interessato; mentre, per la motivazione sulla comparazione degli interessi si rimandava ad errori di valutazione dovuti all’Amministrazione sulla base di errate rappresentazione della realtà.
In termini diversi, la questione verte sulla motivazione (ex art. 3 della legge n. 241/1990) dell’ordinanza di demolizione, sulla corretta determinazione dell’interesse pubblico attuale rispetto al tempo intercorso dall’abuso: la conseguenza evidente è che il lungo decorso del tempo agisce a favore dell’affidamento ingenerato nel privato e incide anche sulla valutazione del pubblico interesse in concreto.
Allora, il tempo può essere uno strumento di bilanciamento tra la necessità della valutazione dell’interesse pubblico in concreto, essendo esso insito nella restaurazione della legalità violata e l’effettiva esigenza di non mortificare il legittimo affidamento, aspettativa non ritraibile tutte le volte che la illegittimità sia dipesa dalle prospettazioni non veritiere del privato.
Questione già precedentemente rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato finalizzata a definire se l’ordinanza di demolizione di un bene, trasferito mortis causa, debba essere congruamente motivato sulla sussistenza di un “interesse pubblico” concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell’abuso, non rientrando nel cd. “termine ragionevole”, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio.
La chiave ermeneutica si collega con i principi di correttezza e buona fede a cui deve essere improntata l’azione amministrativa, sicché quando si opera a distanza di tempo su provvedimenti o su fatti accertati è indispensabile esternare le puntuali ragioni di interesse pubblico, attuale e concreto, anche in relazione al termine ragionevole, ponderando nel testo redazionale l’affidamento ingenerato nel privato, ove questi abbia anche partecipato al procedimento stesso con le proprie osservazioni/memorie.
Appare evidente, che l’istruttoria amministrativa, che conduce all’ordinanza di demolizione, deve presentare una motivazione rafforzata o più articolata, individuando un punto di equilibrio – nella dimensione temporale – tra la salvaguardia della certezza dei rapporti giuridici e la tutela dell’ordine giuridico violato.
La motivazione deve avere riguardo all’entità, alla tipologia e alle caratteristiche dell’abuso compiuto rilevato a distanza di tempo, e non imputabile al soggetto medio tempore divenuto proprietario (e tale acquisto non sia il frutto di un accordo collusivo per evitare che la P.A. esercitasse in futuro il proprio potere repressivo nei confronti del nuovo proprietario e/o detentore del bene): è necessario che il provvedimento ablatorio non si limiti a richiamare l’abuso ma giustifichi congruamente gli elementi di fatto e di diritto che impongono il ripristino della legalità violata, essendo dirimente la tutela del cd. “incolpevole affidamento” (ed inoltre sia esclusa una condotta omissiva dell’Amministrazione consapevole dell’abuso).
Possiamo ritenere che l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro (documentato) dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime dei titoli edilizi, non essendo necessario, alcun ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad eventuali ragioni di interesse pubblico.
In verità, per le ragioni delineate, tale ordito motivazionale sussiste e va rafforzato nel caso di un lungo lasso di tempo trascorso con l’indicazione, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, del pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato: tale onere motivazionale va arricchito quando il proprietario è del tutto estraneo al fatto e risulta titolare di un affidamento incolpevole o quando la conoscenza della commissione dell’abuso edilizio era consapevole l’Amministrazione e il protrarsi dell’inerzia alla vigilanza ha consolidato una posizione di legittimo affidamento del privato.
(estratto, L’ordine di demolizione, L’Ufficio Tecnico, 2017, n. 7 – 8)