La ludopatia (disturbo del comportamento) può essere combattuta a livello locale con norme restrittive in ambito urbanistico ma lo Stato rivendica la propria competenza e cassa la disciplina locale.
Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza 16 aprile 2013 n. 578 interviene sul regolamento comunale (ndr. di Vicenza) per l’apertura di sale giochi ed il collegato art. 13-bis delle N.T.A. del P.R.G. (di recepimento delle norme regolamentari) che hanno l’obiettivo di prevenzione della ludopatia.
Il regolamento attiene alla tutela della salute e dell’ordine pubblico, e in ragione di tali interessi è intervenuta una legge dello Stato (cfr. la Legge n.20 del 2010 e l’articolo 7 del D.L. n.158/2012 convertito in Legge n.214/2012) a stabilire i principi della disciplina: gli strumenti pianificatori di contrasto alla ludopatia devono essere decisi a livello nazionale o comunque essere inseriti nel sistema della pianificazione nazionale.
Il Tribunale afferma che “Tale principio è coerente rispetto alle esigenze tutelate, che sono le medesime nell’intero territorio nazionale”, e le limitazioni imposte dalla disciplina comunale rispondono ad esigenze generali non particolari, ergo è necessaria una pianificazione nazionale: “la competenza legislativamente stabilita a favore dell’amministrazione statale esclude che pari competenza possa essere esercitata dal comune”. Il regolamento comunale imponeva il rispetto di distanze delle strutture in cui viene esercitata l’attività di scommessa: – 500 metri da istituti scolastici, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale, luoghi di culto e caserme; – 300 metri dal perimetro iscritto nella lista del patrimonio mondiale UNESCO relativo al centro storico di Vicenza con relativa Buffer zone c delle aree monumentali delle tre ville palladiane (La Rotonda – Trissino – villa Gazzotti Grimani detta villa Marcello o Bertesina) in considerazione dei primari obiettivi di tutela e valorizzazione del patrimonio storico e dell’impatto dell’attività di sala gioco su un contesto urbano caratterizzato da elevata fragilità; – metri 100 dalle intersezioni stradali, riducibile a metri 50 se trattasi di intersezione tra strade locali in base alla classificazione viaria ai fini della salvaguardia dei livelli di servizio delle intersezioni.
Di converso, i comuni possono intervenire nell’ambito della sopra richiamata pianificazione in sede di “Conferenza unificata”, ai sensi dell’art. 7 del D. L. n. 158 del 2012, e, in caso di situazioni di effettiva emergenza, i sindaci “possono adottare ordinanze contingibili ed urgenti, come previsto dal Testo Unico degli Enti Locali” (cfr. artt. 50 e 54).
È noto che l’esercizio dei poteri extra ordinem deve necessariamente:
a. delimitarsi in un arco temporale prestabilito;
b. possedere i caratteri non solo della “contingibilità”, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente, ma anche della “provvisorietà”, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata;
c. collegamento diretto tra situazione immanenti di pericolo ed esigenze di salvaguardia del bene protetto.
L’adozione di ordinanze contingibili e urgenti presuppone la sussistenza di situazioni di pericolo e di urgenza, tali da non consentire di provvedere nelle forme ordinarie, con la conseguenza che trattandosi di attività provvedimentale extra ordinem, derogatoria al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, essa è strettamente limitata alle materie specificatamente indicate dalla legge e postula, altresì, una attenta valutazione della emergenza in questione ed una approfondita motivazione in ordine alla sussistenza ed alla consistenza del pericolo e alle ragioni che giustificano la deroga alle ordinarie regole procedimentali.
Per altri versi, l’art. 88 del T.U.L.P.S. non prevede che il questore, nel rilasciare la licenza per l’esercizio dell’attività di scommessa, sia tenuto ad applicare prescrizioni stabilite dai comuni.
La potestà esercitata dal comune, si legge nella sentenza, non può essere collocata nell’ambito dell’art. 13 del Testo Unico degli Enti Locali, secondo cui spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, per i seguenti due motivi: lo stesso art. 13 esclude da tali funzioni le competenze attribuite ad altri soggetti dalla legge statale o regionale e nel caso di specie sono state sopra richiamate le disposizioni di legge che attribuiscono all’amministrazione nazionale le competenze in materia e non ai comuni; la potestà amministrativa, per essere esercitata, necessita di una specifica attribuzione legislativa ai sensi degli artt. 2, 23, 41, 42 e 97 della Costituzione. Tale specifica attribuzione legislativa difetta.
Il Giudice di prime cure conclude affermando che “senza l’attribuzione per legge di specifica potestà amministrativa l’art. 13 del Testo Unico degli Enti Locali legittima i comuni all’utilizzo degli strumenti di diritto privato, in condizioni di parità con tutti gli altri soggetti, ma non all’esercizio di poteri amministrativi”.
L’esercizio della potestà pubblica implica un conferimento ex lege della titolarità della funzione, non potendo introdurre attraverso strumenti normativi secondari limiti all’attività economica, soprattutto ove si consideri che la tutela in materia di salute pubblica e ordine pubblico è attribuita allo Stato (persona).
La disciplina si colloca nel solco di un’evoluzione normativa diretta ad attuare il principio generale della liberalizzazione delle attività economiche, richiedendo che eventuali restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 200 del 2012, vedi anche Cons. Stato, sez. V, 9 aprile 2013, n. 1945).
Tale intervento normativo prelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dell’attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall’altro, mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l’utilità sociale e con gli altri principi costituzionali.