La sez. I Palermo del TAR Sicilia, con la sentenza 24 ottobre 2022 n. 2988, precisa la situazione del RUP il quale agisce in autotutela su un provvedimento amministrativo riferito ad un titolo edilizio, pur in presenza di una denuncia penale da parte del destinatario dell’azione di rimozione dell’atto (per mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute nella concessione edilizia): nessun impedimento all’agire.
La sentenza ha il pregio di affrontare una serie di problematiche attinenti alla corretta condotta da mantenere nell’esercizio delle proprie funzioni istruttorie e al contempo l’onere di accertare l’adempimento delle condizioni giuridiche che hanno consentito il rilascio del titolo abilitativo, negando la certificazione di agibilità del bene quando l’interessato non provveda ad eseguire le opere conformemente al titolo.
Al riguardo, si deve affermare la preclusione al rilascio della certificazione di agibilità, avendo questa la funzione di accertare la realizzazione dell’intervento secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, quando non vengano rispettate le imposizioni del titolo edilizio rilasciato, il quale – diversamente dal certificato di agibilità – è finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche[1].
Si comprende, allora, che il certificato di agibilità presuppone la conformità delle opere realizzate al titolo edilizio abilitativo rilasciato, dovendo l’Amministrazione, una volta accertato (in via amministrativa) il mancato rispetto delle condizioni contenute in quest’ultimo operare conseguentemente: un dovere di agire non connesso all’illegittimità del titolo originario (quello rilasciato a monte) ma alla mancata sua conformazione da parte del privato.
La condotta assunta dal RUP (coloro che hanno operato nel procedimento) in questa occasione non lo esonera dall’agire inibendo l’efficacia del titolo, anche (o pure) in presenza di una denuncia penale a suo carico (sulla violazione dell’obbligo di astensione), risultata infondata.
La presunta incompatibilità
La presunta incompatibilità, che esigerebbe l’obbligo di astensione, veniva motivata dal fatto che «i firmatari del provvedimento impugnato, in ragione di un loro supposto interesse al procedimento penale … (nato da una denuncia di parte ricorrente contro alcuni dirigenti e funzionari dell’U.T.C. di … in ragione del mancato rilascio del certificato di agibilità per l’immobile in questione)».
Anche questo vizio viene ritenuto infondato, dando modo di affrontare il conflitto di interessi, ex art. 6 – bis, della legge n. 241/1990, inserito dall’art. 1, comma 41, della 6 novembre 2012, n. 190, che si realizza quando il responsabile del procedimento (sia l’istruttore che il firmatario dell’atto) sia portatore di interessi personali (quelli secondari propri rispetto a quelli primari della PA) estranei alla sfera dell’Amministrazione nella quale opera[2].
La nozione di conflitto di interessi
Una declinazione del principio è contenuta anche nell’art. 7, Obbligo di astensione, del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, il quale prevede che «il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente».
Alla medesima esigenza si ispira la disciplina relativa alle incompatibilità nell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle PA (ex art. 53, Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché il d.lgs. n. 39 del 2013, in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le stesse e presso gli enti privati in controllo pubblico).
Una specifica disciplina è prevista, in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici, dall’art. 42, Conflitto di interessi, del d.lgs. n. 50 del 2016[3].
Tali precetti valoriali di condotta sono espressione del principio generale di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., il quale impone che le scelte adottate dall’organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell’equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico[4].
L’analisi delle disposizioni è utile per osservare, in chiave sistematica, la non riconducibilità all’interno del quadro normativo appena richiamato, di una definizione univoca che preveda analiticamente tutte le ipotesi e gli elementi costitutivi di tale fattispecie.
Il conflitto di interessi può definirsi, ordunque, quella condizione giuridica che si verifica quando, all’interno di una pubblica amministrazione, lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario che è contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse funzionalizzato.
Operare in conflitto di interessi significa agire nonostante sussista una situazione del genere e, quindi, sorge l’obbligo del dipendente di informare l’Amministrazione e di astenersi, diversamente – non operando l’astensione – ciò comporta una illegittimità procedimentale che refluisce sulla validità dell’atto finale, a meno che non venga rigorosamente dimostrato (dall’Amministrazione procedente) che la situazione d’incompatibilità del funzionario non ha in alcun modo influenzato il contenuto del provvedimento facendolo divergere con il fine di interesse pubblico[5].
Invero, il dovere di astensione è presente in tutti i casi in cui il soggetto si trovi in una situazione che, avuto riguardo al particolare oggetto della decisione da assumere, appaia idonea anche solo in via potenziale a minare l’imparzialità della medesima, rendendo del tutto irrilevante, sia il superamento dell’eventuale “prova di resistenza”[6], quand’anche la scelta fosse in concreto la più utile, la più vantaggiosa e la più opportuna per lo stesso interesse pubblico[7], sia anche il mancato raggiungimento del risultato sperato e del pregiudizio dell’Amministrazione[8].
Ciò posto, vi è l’obbligo giuridico di astensione presente in tutti i casi nei quali sia ravvisabile un interesse proprio del soggetto agente, o di un suo prossimo congiunto, a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri, insorgendo ogni qual volta il soggetto venga a trovarsi in una di quelle situazioni che potrebbero (già a livello potenziale) togliergli la necessaria serenità e capacità di essere imparziale (neutro nel giudizio), ovvero ingenerare, sia pure ingiustificatamente, il sospetto che egli possa rendere una decisione ispirata a fini diversi da quelli istituzionali ed intesa, per ragioni private e personali, a favorire o a danneggiare gli eventuali destinatari[9].
(estratto, L’Ufficio Tecnico, 2023, n. 1 – 2)
[1] Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2019, n. 8180.
[2] Cons. Stato, sez. VI, 10 novembre 2020, n. 6918. Vedi, DI RIENZO – FERRARINI, Il naufragio del dottor Titanico… ovvero della tempestosa natura del conflitto di interessi esogeno, spazioetico.com, 3 maggio 2022, con una proficua analisi sul conflitto di interessi, situazione di pericolo in sé, dove il danno all’interesse funzionalizzato non si è ancora verificato (salvo quello all’immagine), «qualificare la natura del pericolo, e quindi del conflitto, come “situazione potenziale”, cioè ritenere che il Legislatore si sia voluto riferire a un “conflitto potenziale”, sarebbe quindi una tautologia”», rimarcando che il «conflitto di interessi esogeno, che emerge quando gli interessi della sfera privata di un Agente pubblico entrano in rotta di collisione con gli interessi primari del Sistema Pubblico, non è un fenomeno del tutto imprevedibile».
[3] Limitato a coloro che, anche se non strettamente legati da un rapporto di servizio con la stazione appaltante (o, nel caso di specie, dell’Ente concedente), partecipino in qualche modo alla procedura di evidenza pubblica, o effettuando il confronto competitivo tra le offerte, o compiendo atti presupposti, connessi o consequenziali, TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12 ottobre 2022, n. 939.
[4] Cons. Stato, comm. spec., n. 667 del 2019, sullo schema di Linee guida ANAC in materia di conflitti di interesse nell’affidamento dei contratti pubblici.
[5] Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2022, n. 2069.
[6] In base alla quale si deve contemperare l’esigenza di reintegrare la legittimità violata nel corso delle operazioni di voto e quella di salvaguardare la volontà espressa dall’organo deliberante, Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2005, n. 1564.
[7] TAR Trento Trentino Alto Adige, sez. I, 7 novembre 2012, n. 326.
[8] TAR Puglia, Bari, sez. II, 19 febbraio 2015, n. 322.
[9] Cass. civ., SS.UU, 22 novembre 2004, n. 21947.