La sez. II del Consiglio di Stato, con la sentenza 24 agosto 2020 n. 5182 (est. Luttazi), conferma un orientamento che riconosce il rimborso alle spese legali solo sul presupposto che il fatto, o l’atto oggetto del giudizio, sia stato compiuto nell’esercizio delle attribuzioni affidate al dipendente pubblico e vi sia un nesso di strumentalità – tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto – nel senso che il dipendente non avrebbe eseguito ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto, oltre, la dovuta assenza del conflitto di interessi[1].
La questione del negato rimborso (su parere dell’Avvocatura dello Stato) per la pretesa attività connessa al servizio verte sul seguente fatto: un militare, nell’ambito di un processo penale subito dallo stesso per fatto connesso al servizio, richiede il ristoro delle spese legali «nel processo penale in cui egli era stato assolto dall’accusa di omicidio colposo a seguito di un sinistro stradale in cui era stato coinvolto nel recarsi con la propria autovettura ad un corso di aggiornamento che si svolgeva in regione diversa da quella di residenza».Il diniego era basato:
- mancanza connessione dei fatti con l’attività di servizio;
- il fatto (ossia l’incidente) è stato semplicemente occasionato da un evento riconducibile all’espletamento del servizio;
- il fatto specifico che ha determinato il giudizio (concluso con la formula «perché il fatto non costituisce reato») e il suo presupposto fattuale ed eziologico (utilizzo dell’autovettura personale per raggiungere la località ove si teneva il corso di formazione) non appaiono posti in essere per fini propri dell’Amministrazione;
- manca una prestazione di servizio, giacché appartiene ad una condotta personale del dipendente, il quale ha ritenuto motu proprio utilizzare la vettura proprio per uno spostamento, piuttosto dell’utilizzo di altri mezzi (pubblici con un rischio statisticamente evitabile), per motivi di servizio: questo evento oggettivo non risulta connesso con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali, seppure strumentale, non può invocarsi un nesso di necessarietà;
- il rischio sull’utilizzo del mezzo non può ricadere sull’Amministrazione, né può sussistere dalla condotta una “immedesimazione organica” che può giustificare il richiesto rimborso, seppure in esecuzione di un ordine di frequenza al corso.
In primo grado è stato riconosciuto il rimborso alle spese legali; la sentenza appellata accoglieva (diversamente) il ricorso con le seguenti premesse di inquadramento:
- l’art. 18 del citato decreto-legge n. 67/1997 riconosce il beneficio del rimborso delle spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa promossi nei confronti di dipendenti di Amministrazioni statali «in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità»;
- la norma impone il ristoro delle spese giudiziali ritenendolo equo in relazione alla condotta incolpevole del dipendente nell’esercizio della propria attività di servizio;
- connessione tra condotta che ha cagionato l’azione e prestazione lavorativa imputabile direttamente all’Amministrazione, avendo agito “in nome e per conto” (il c.d. rapporto causale);
- non è dunque sufficiente che l’evento avvenga durante e in occasione della prestazione[2].
Sotto il profilo della formula assolutoria, occorre rammentare che la pronuncia penale definitiva deve escludere la responsabilità del dipendente, dimostrando un accertamento dell’assenza di responsabilità, anche quando – in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 della cit. D.L. – sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale[3], mentre non può essere invocato l’art. 18 quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione[4].
Dunque, non può basarsi il “nesso causale” con il fatto di aver usato un mezzo proprio (per comodità) per la frequenza di un corso (che ha causato l’evento, l’uso dell’auto), seppure obbligatorio e finalizzato a migliorare la professionalità del dipendente, mancando un collegamento con la prestazione dell’agere pubblico, condizione per esigere il beneficio del rimborso.
Si precisa che, in materia di infortunio in itinere, gli eventuali riconoscimenti della dipendenza da causa di servizio delle infermità conseguenti al sinistro, non rilevano ai fini del rimborso delle spese legali relative a giudizi per responsabilità favorevolmente conclusi e promossi nei confronti dei dipendenti, non essendo omogenee le questioni sia per presupposti che per ratio ispiratrice.
Anche l’eventuale autorizzazione implicita, con il riconoscimento delle spese di viaggio, non presuppone «l’intento di favorire esigenze private del dipendente, e dunque non appare tale da incidere di per sé sulla suddetta immedesimazione organica alla base del rimborso delle spese legali», né si può equiparare l’eventuale sinistro con un auto di servizio (ascrivibile le relative conseguenze all’Amministrazione) rispetto ad un viaggio con l’auto propria per raggiungere la sede di un corso dell’Amministrazione, quando tale scelta è del tutto casuale (non imposta) e non strumentale all’esercizio della prestazione pubblica.
La sentenza conferma la ratio della norma dell’art. 18 cit. che è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente pubblico sia stato coinvolto nel processo per l’aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità -tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e, dunque, quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva) – e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasione’ dell’attività lavorativa[5]: si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione, e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’.
[1] In presenza di un conflitto di interessi che impedisce di scegliere un legale di comune gradimento con il dipendente interessato, il diritto al rimborso non può che subire – sotto tale profilo – una radicale dequotazione, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 12 novembre 2019, n. 2709; idem, T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 26 aprile 2019, n. 350.
[2] Cfr. Cons. Stato, sez. IV 26 febbraio 2013, n. 1190.
[3] Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176
[4] Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2019, 8137.
[5] Cons. Stato, sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1154; sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406; sez. IV, 14 aprile 2000, n. 2242.