Il concetto di “pubblica amministrazione” (P.A.), e più in generale di “ente pubblico”, concerne l’organizzazione di un soggetto che soggiace ad un regime speciale di norme, sul piano dell’esercizio dei propri poteri, finalizzate al perseguimento dell’interesse generale, nel rispetto di alcune regole procedurali (principio di legalità) che si differenziano – nel concreto – dagli altri operatori di diritto comune.
Tale nozione di pubblica amministrazione si è evoluta, definita a “geometria variabile”, abbandonando i criteri identificativi originari per assumere contorni non necessariamente pubblici ma anche forme di natura privata, valorizzando l’aspetto funzionale del “fine” rispetto alla sua qualificazione giuridica pubblica: si privilegia la collocazione comunitaria di amministrazione pubblica sotto il profilo sostanzialistico, evitando che attraverso l’assunzione di una determinata personalità giuridica (ergo privata) si possa arginare le regole a tutela della concorrenza.
La valorizzazione del profilo funzionale relativo alle finalità perseguite porta a individuare diverse nozioni di “pubblica amministrazione”, in ragione degli ambiti generali e settoriali di disciplina che vengono in rilievo; e, per ciascuna pubblica amministrazione, una possibile articolazione della natura, pubblica o privata, proprio in relazione alla specifica disciplina applicabile.
Ne deriva che la nozione stessa di “pubblica amministrazione”, è una nozione non univoca, ma da ricondurre, di volta in volta, a normative diverse e alle relative finalità:
a. il codice dei contratti pubblici (ex d.lgs. n. 50/2016) in tema di procedure ad evidenza pubblica, a cui debbono attenersi diverse figure soggettive, sia pubbliche che private;
b. la legge 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1, comma 1, in tema di Amministrazioni che concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, in conformità al sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella comunità U.E – cd. SEC 95;
c. il d.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013, in tema di obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
Si comprende che l’identificazione, in via primaria, avviene attraverso la qualificazione che il legislatore assegna: per la disciplina del pubblico impiego, sovviene l’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 165/2001 TUPI), mentre per la trasparenza l’art. 2 bis del d.lgs. n. 33/2013, richiamandosi alla norma appena citata, inserisce altri soggetti rispetto al TUPI (le autorità portuali, le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione), allargando l’ambito di applicazione delle disposizioni, in quando compatibili, ad altre categorie di enti, anche con forma societaria.
In particolare, il Sistema europeo dei conti, adottato con regolamento del Consiglio Europeo del 21 maggio 2013, n. 54925, prevede, nell’ambito di una complessa regolazione anche di altri soggetti, che il “settore amministrazioni pubbliche” ricomprende “tutte le unità istituzionali che agiscono da produttori di altri beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori e/o tutte le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese” (par. 2.111).
Questa normativa ha fornito una nozione di “pubblica amministrazione” di valenza non generale ma limitata all’applicazione della normativa, che persegue lo scopo di assicurare il rispetto degli obblighi finanziari e del patto di stabilità interno.
Nell’elenco Istat sono, infatti, inclusi anche soggetti formalmente privati che svolgono determinate attività di pubblico interesse: la ragione di tale ampliamento risiede nell’esigenza di sottoporre un numero esteso di enti al rispetto degli predetti obblighi.
La prima disamina notifica che, quando un ente viene dalla legge sottoposto a regole di diritto pubblico, quell’ente, limitatamente allo svolgimento di quell’attività procedimentalizzata, diviene, di regola, “ente pubblico” a prescindere dalla sua veste formale.
L’identificazione del soggetto non è cosa irrilevante nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica, atteso che la qualificazione comporta o meno l’applicazione di una determinata disciplina, e la forma opera come demarcazione tra esercizio del diritto civile o l’utilizzo del codice dei contratti (ex d.lgs. n. 50/2016), sicché risulta prioritario inquadrare la nozione di “pubblica amministrazione” per le conseguenze pratiche e giuridiche connesse.
In questo senso, in ambito comunitario, la soluzione adottata valorizza la nozione di “organismo di diritto pubblico”, intervenendo – sul piano sostanziale – nel ricercare gli elementi collegati al controllo pubblico del soggetto, indipendentemente dalla qualificazione operata dall’ordinamento nazionale o dall’attività esercitata.
Euristicamente apprezzabile si rivela la funzione promossa dal soggetto, ovvero la finalizzazione alla realizzazione dei “fini pubblici” (dichiarati dagli organi di governo dell’ente), che non possono che rientrare in un potere – dovere di perseguire l’interesse pubblico (ex art. 97 Cost.), in una dimensione istituzionale e motivazionale posta a fondamento, sia della costituzione o dello statuto dell’ente che nel suo agire pratico, con facoltà di supremazia speciale verso i privati.
L’esercizio di funzioni di “interesse pubblico”, se da una parte, consente di incidere unilateralmente la sfera giuridica del destinatario (cd. imperium) o il mercato, con una serie di privilegi che derivano dalla qualificazione di P.A., dall’altra, si rovesciano in una serie di controlli stringenti e limitazioni del potere negoziale, con lo scopo di garantire il rispetto delle regole procedimentali e la trasparenza nella scelta del contraente: un vincolo teleologico suscettibile di controllo e sindacato in sede giurisdizionale.
(estratto, Pubblica amministrazione, ente pubblico e organismo di diritto pubblico, l’Ufficio Tecnico, 2016, n. 11 – 12)