La sez. II Palermo del TAR Sicilia, con la sentenza 20 luglio 2023, n. 2409, offre una definizione di ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, consentendo di stabilire una distinzione tra gli interventi e connessa attività istruttoria necessaria (a sostegno dell’esistente), nel senso di inquadrare l’intervento edilizio non in una “nuova costruzione” ma in una “ristrutturazione”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR n. 380/2001, quando sia fornita la prova dell’originaria consistenza, ovvero ove non vi sia nuovo consumo del suolo[1].
Il fatto
Il ricorso (e motivi aggiunti relativi ai pareri espressi dal RUP e Amministrazione regionale) veniva proposto avverso il diniego SUAP del permesso di costruire per la realizzazione di un intervento di «ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione su altro lotto» di un edificio esistente: l’irriconducibilità dell’intervento in questione alla fattispecie di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001 (interventi di nuova costruzione).
La parte, a sostegno dei motivi, rileva che:
- il fabbricato oggetto della demolizione è stato realizzato prima del 1° settembre 1967, epoca in cui non era necessario il rilascio del permesso di costruire: presenta un rilievo aerofotogrammetrico del 1968[2], a titolo di prova[3].
- la demolizione di un fabbricato sito su un lotto e la sua ricostruzione – senza incremento di volumetria – su altro lotto (sito a circa 15 metri di distanza rispetto all’edificio da demolire), non costituisce nuova costruzione nella tela normativa esistente;
- il regolamento comunale per la cessione di cubatura e il trasferimento di volumetrie consente la cessione di diritti edificatori e di cubatura tra aree non adiacenti, purché all’interno delle medesime zone territoriali omogenee.
Inquadramento giuridico
Il Tribunale dichiara il ricorso in parte inammissibile e improcedibile, nonché infondato.
Viene richiamata la nozione ampliata di “ristrutturazione edilizia”, in modo da ricomprendervi anche interventi di “demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”, ai sensi con l’art. 10, comma 1, lett. b), punto 2), del D.L. n. 76/2020, conv. con modificazioni dalla legge n. 120/2020[4].
Fatta questa premessa di inquadramento della fonte normativa, viene analizzata l’esegesi dai lavori preparatori alla legge di conversione[5], da quali emerge che la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione è finalizzata a un intervento su un’area il cui suolo è già stato consumato dall’esistenza di un edificio, sicché l’intervento edilizio deve rientrare all’interno della c.d. “rigenerazione urbana”, che ha lo scopo dichiarato di scongiurare il consumo di nuovo suolo, anche tramite il riuso di suoli già urbanizzati.
Distinzioni ancora vigenti
L’approdo (c.d. “messa a terra”) consente di ritenere che la modifica normativa non ha affatto inteso ricomprendere in tale fattispecie (rectius ristrutturazione della demolizione e ricostruzione con diversa area di sedime) il – diverso caso – della demolizione di un edificio sito in un luogo, da ricostruire in un luogo del tutto diverso (più o meno distante dal primo): essa, piuttosto, ha ampliato la possibilità di riutilizzare, anche in modo particolarmente ampio, il suolo già consumato.
Questa interpretazione è coerente con la definizione di “ristrutturazione edilizia” e “nuova edificazione”, diversamente saremmo di fronte ad una sfumatura della medesima nozione di intervento, ovvero verrebbe meno la distinzione, svanendo il confine per rientrare in un unicum.
Invero, tale intervento rientra nella vigente definizione di nuova costruzione di manufatti edilizi fuori terra, ex art. 3, comma 1, lett. e.1), del DPR n. 380/2001, distinzione che (invece) rimane ferma anche nel sistema definito dalle recenti modifiche al Testo unico dell’edilizia: la ristrutturazione edilizia non ricomprende la fattispecie della traslazione dell’edificio ricostruito su un’area diversa da quella in cui insisteva l’immobile demolito[6].
Alla luce del prisma normativo e giurisprudenziale, rimane valida la distinzione tra “ristrutturazione edilizia” e “nuova costruzione”:
- la ristrutturazione consiste in una serie di interventi rivolti a trasformare organismi edilizi già esistenti, che ontologicamente non possono prescindere dalla presenza – il loco – di un’edificazione (antica, ossia tracce, mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, dovendo emergere elementi oggettivi dai quali sia possibile determinare con certezza l’ingombro planivolumetrico e del sedime dell’edificio, corrispondere effettivamente con le reali fattezze dell’immobile preesistente)[7], confermando il carattere strumentale, alla sempre più avvertita esigenza, di contenere il consumo di suolo[8].
- la nuova costruzione prevede una trasformazione del territorio non caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto[9].
A margine viene chiarito che la cessione di cubatura, nulla ha a che vedere con la qualificazione giuridica dell’intervento di ristrutturazione edilizia[10].
Nuovi arresti giurisprudenziali
Si deve concludere che nella nozione di nuova costruzione rientrano gli interventi di ristrutturazione qualora, in considerazione dell’entità delle modifiche apportate al volume (che può anche non essere presente) e (soprattutto) alla collocazione dell’immobile, possa parlarsi di una modifica (radicale) dello stesso, con la conseguenza che l’opera realizzata nel suo complesso sia oggettivamente diversa da quella preesistente, specie con riferimento alla sua nuova collocazione, con consumo ex novo di suolo[11].
A contrario, la ristrutturazione edilizia sussiste solo quando venga modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, mentre laddove esso sia stato totalmente trasformato, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell’intero fabbricato), ma anche di un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria e di una nuova collocazione spaziale, l’intervento rientra nella nozione di nuova costruzione[12].
L’orientamento cogente insegna che il recupero volumetrico (alias ristrutturazione) a fini abitativi persegue interessi ambientali certamente apprezzabili, quali la riduzione del consumo di suolo (e l’efficientamento energetico)[13] rispetto alla nuova edificazione che incide direttamente sullo stesso, privando le future generazioni di spazi liberi (il richiamo non può che riferirsi all’art. 9 Cost.): la nuova edificazione (e le deroghe ai suoi limiti) compromette irrimediabilmente il principio del necessario rispetto della previa pianificazione urbanistica, in quanto oblitera tanto le valutazioni a monte sul carico urbanistico delle edificazioni operate dalla pianificazione comunale, quanto le valutazioni a valle, che della pianificazione fanno applicazione, poste in essere con i procedimenti autorizzatori edilizi[14].
In aggiunta, pare corretto segnalare, ai fini di una “buona” istruttoria, che l’eventuale provvedimento di diniego deve essere puntualmente motivato, evitando un generico riferimento al contrasto dell’intervento edilizio progettato con una disciplina di riferimento (regolamentare), senza indicare una specifica disposizione normativa, da cui evincere il medesimo contrasto[15].
(pubblicato, lentepubblica.it, 24 luglio 2023)
[1] Cfr. LUCCA, Il potere di qualificazione dell’intervento edilizio spetta al Comune, lentepubblica.it, 29 giugno 2023.
[2] Il rilievo aerofotogrammetrico non ha il valore dell’incontrovertibilità proprio di una piena prova, essendo in genere formato non da un pubblico ufficiale ma da un operatore privato; poiché l’attendibilità del rilievo aerofotogrammetrico può essere condizionata da una molteplicità di fattori (tecnologici, come la maggiore o minore risoluzione, ambientali, come fenomeni di rifrazione, la presenza di vegetazione che può schermare le costruzioni, ecc.), Cons, Stato, sez. VII, 16 novembre 2022, n. 10085.
[3] Cfr. LUCCA, Onere della prova in materia di abuso edilizio sanabile, lentepubblica.it, 18 luglio 2023.
[4] La norma prevede, infatti, alla lettera d), che il terzo e il quarto periodo, dell’art. 3, comma 1, del DPR n. 380/2001, sia sostituito dai seguenti «Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria».
[5] Cfr. Corte cost., 14 giugno 2022, n. 147 e 8 luglio 2020, n. 143.
[6] Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2021, n. 1047.
[7] TAR Campania, Salerno, sez. I, 26 settembre 2022, n. 2475.
[8] Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2022, n. 3750.
[9] È legittimo il permesso di costruire per la ristrutturazione edilizia di un edificio residenziale crollato, nel caso in cui il nuovo edificio progettato sia sostanzialmente coincidente, quanto a volume e sagoma, con quello crollato, a nulla rilevando che l’atto di assenso edificatorio sia stato rilasciato a distanza di tre anni dal crollo dell’immobile e sia stata realizzata una modesta traslazione lineare dell’edificio ricostruito: tali circostanze, infatti, non sono idonee e/o sufficienti ad impedire che la ricostruzione dell’edificio possa essere qualificata come “ristrutturazione edilizia”, e non già come “nuova costruzione”, TAR Piemonte, sez. II, 15 novembre 2016, n. 1410.
[10] Non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi per la cessione di cubatura, ma che la vicinanza deve essere valutata – caso per caso – in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa, Cons. Stato, sez. II, 27 giugno 2022, n. 5305.
[11] Cfr. Cons. Stato, sez. II, 6 aprile 2020, n. 2304. La modifica della localizzazione di un edificio assurge al livello di variazione essenziale, di cui all’art. 32, lett. c), del DPR n. 380 del 2001, in presenza di una traslazione non parziale, ma tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un’area totalmente o quasi totalmente diversa da quella originariamente prevista, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 20 gennaio 2023, n. 65.
[12] Cons. Stato, sez. VI, 13 gennaio 2021, n. 423.
[13] Corte cost., 31 marzo 2021, n. 54.
[14] Corte Cost., 18 luglio 2023, n. 147.
[15] TAR Sicilia, Catania, sez. II, 20 luglio 2023, n. 2260.