La pubblica amministrazione locale è titolare di una competenza generale in materia di tutela del territorio (ex art.3 e 13 del T.U.E.L.), dovendo assicurare la cura degli interessi della Comunità e lo sviluppo anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.
In presenza di un’attività di tipo repressivo la quarta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 15 gennaio 2009 n. 177, ha postulato la possibilità (doverosità) di intervento dell’Amministrazione locale su sollecitazione del privato non limitandosi ad affermare la piena legittimità dell’inerzia dai suoi poteri sanzionatori (caso di specie in materia edilizia), laddove questi ultimi trovino fondamento in provvedimenti concessori o autorizzatori ormai inoppugnabili, ma sostenendo il doveroso operare nel caso di realizzazione di opere o di mutamenti (anche di destinazione d’uso) che non trovano fondamento nei provvedimenti autorizzativi oramai definitivi.
È noto che in caso di realizzazione di opere attraverso una Dia (per esempio, o altro titolo) una volta formatosi il titolo edilizio gli eventuali provvedimenti repressivi possono essere adottati dall'Amministrazione[1], a pena di illegittimità, solo a seguito di apposito procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio dell’atto abilitativo tacito formatosi per effetto del decorso del termine, ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni da quest'ultimo eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento[2].
E se l’amministrazione non provvede, cioè è silente ?
Per poter qualificare come silenzio impugnabile un comportamento asseritamente omissivo della P.A., occorre che la norma attributiva del potere definisca, in maniera specifica, anche la correlata posizione individuale del cittadino che fronteggia il potere pubblico, di modo che allo stesso possa riconoscersi lo ius agendi a tutela del proprio interesse.
Ciò accade sicuramente, sulla base della stessa legge n. 241/1990 sul procedimento e sulla trasparenza, nel caso di attività amministrativa in senso stretto esercitata dai pubblici poteri ed alla quale pretensivamente o oppositivamente sia interessato il cittadino[3].
Andando oltre, un iniziale orientamento prevedeva che l’unico rimedio esperibile da parte del soggetto che si riteneva leso da una denuncia di inizio di attività nei riguardi della quale l’Amministrazione non aveva esercitato alcuna potestà repressiva, consisteva nel rivolgere formale istanza all’Amministrazione e nell’impugnare l’eventuale silenzio -rifiuto su di essa formatosi.
Infatti, il terzo, in relazione alla tempestività o meno della conoscenza della Dia sollecitava l’intervento inibitorio, ovvero, promuoveva “ex post” la fase repressiva.
Successivamente, acquisito che sul piano processuale prevaleva la logica impugnatoria e non quella del giudizio di accertamento e accertata una metamorfosi giuridica della Dia che concorre progressivamente a realizzare l’effetto voluto dalla legge, nell’ambito di una fattispecie, di valore amministrativo, che, in esito positivo, assume il contenuto operativo del progetto Dia, si è giunti a ritenere che il privato possa impugnare direttamente la Dia[4], non come atto del privato, bensì perché è l’equivalente, “sine forma” e tutto contenuto, dell’autorizzazione[5].
Si disse che quello che appare essere essenziale, è assicurare al medesimo la piena tutela oppositiva, consentendogli l’azione diretta avverso la fattispecie abilitante che ha assunto il valore di un provvedimento.
Così delineato il quadro di riferimento e traslando le coordinate giuridiche al caso trattato, il Consiglio di Stato ha ritenuto di riformare la sentenza di primo grado nella parte riferita all’inerzia della P.A. nello svolgere le dovute verifiche alle segnalazione di opere abusive all’interno di lavori regolarmente concessionati.
In effetti, qualora i provvedimenti risultano inoppugnabili il terzo non può pretendere una tutela adeguata a fronte dell’inerzia della P.A. resistente (caso similare per la Dia).
Tuttavia, le doglianze poste all’attenzione del Giudice di appello si riferivano ad apposite diffide rivolte all’Amministrazione per accertare la difformità delle opere realizzate rispetto ai titoli rilasciati.
Il Tribunale nell’affermare, quindi la correttezza delle statuizione del giudice di primo grado, in linea con la consolidata giurisprudenza in subiecta materia sull’insussistenza di un obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza con la quale veniva sollecitato l’esercizio dei suoi poteri sanzionatori in materia edilizia, laddove questi ultimi trovassero fondamento in provvedimenti concessori o autorizzatori ormai inoppugnabili[6], ha ritenuto di riformare la sentenza nella parte riferita all’inerzia della P.A. nel verificare la difformità delle opere rispetto ai provvedimenti amministrativi ex adverso prodotti.
Viene chiarito che la contestazione non è sulla sussistenza o meno degli abusi affermati, ma unicamente sulla sussistenza o meno di un obbligo del Comune di riscontrare l’istanza con la quale i privati hanno segnalato l’esistenza degli abusi medesimi, chiedendo l’attivazione dei relativi poteri sanzionatori.
In definitiva, viene ribadito un principio cogente per il corretto esercizio dell’azione amministrativa quando giunga una segnalazione circostanziata sull’esistenza di opere realizzate da terzi in difformità dal titolo concessorio, obbligando il Comune, nell’esercizio dei propri poteri di vigilanza sull’assetto del territorio, a riscontrare l’istanza in senso positivo (accertando l’effettiva esistenza degli abusi e assumendo i consequenziali provvedimenti) o negativo (evidenziando all’istante come e perché, se del caso all’esito dei necessari accertamenti, non si sia ritenuto di irrogare sanzioni).
Si ricava, quindi che ogni segnalazione di abuso debba essere necessariamente oggetto di un procedimento istruttorio che si deve concludere con una manifestazione di volontà, non necessariamente di tipo repressivo, ma comunque idonea a fornire all’istante l’assicurazione di un’attività valutativa in grado di rispondere alle sollecitazioni del privato anche solo con una sommaria motivazione del mancato utilizzo dei poteri sanzionatori per l’assenza di violazioni[7].
Il principio ricavabile è quello che in presenza di un’istanza, o meglio di una diffida ad adempire, per l’utilizzo di poteri repressivi da parte della P.A. sussiste un obbligo giuridico, in capo al responsabile del procedimento, di attivare i dovuti accertamenti e fornire obbligatoriamente al privato (confinante, in forza del criterio della vicinitas) le ragioni della mancato adozione delle misure repressive e/o sanzionatorie (oppure, adottare le stesse) evitando così che il privato debba rivolgersi direttamente al giudice per la condotta silente della P.A.[8]
Viene affermato, in modo solare, che il privato deve ricevere una risposta scritta in caso di segnalazione di un abuso edilizio, indipendentemente dall’abuso stesso, censurando l’inerzia della P.A. e, di converso, sostenendo l’obbligo di attivare un’istruttoria che si deve concludere con una valutazione provvedimentale di tipo sanzionatorio o di archiviazione da comunicare alla parte procedente: escludendo ogni tipo di silenzio[9].
In conclusione, si deve argomentare che in materia edilizia vi è un obbligo giuridico del Comune di provvedere sulle richieste dei cittadini che sussiste non soltanto nel caso in cui essi chiedano un atto positivo in loro favore, ma anche quando chiedano l’eliminazione di abusi edilizi o, comunque, il rispetto della normativa edilizia o di piani convenzionati, allorché (ma si potrebbe dire anche indipendentemente) abbiano a trovarsi in un rapporto diretto (proprietà o stabile dimora) con l’area sulla quale si realizza l’intervento[10], e l’Amministrazione locale dovrà rendere conto dell’attività svolta con una comunicazione scritta ai richiedenti.
(estratto, La gazzetta degli enti locali, 30 marzo 2009)
[1] T.A.R. Liguria, sez. II, 9 gennaio 2009 n. 43.
[2] T.A.R. Umbria, sez. I, 29 agosto 2008 n. 549; T.A.R. Campania – Napoli, sez. IV, 12 gennaio 2009 n. 68.
[3] T.A.R. Puglia – Bari, sez. I, 13 gennaio 2009, n. 19; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 3 dicembre 2008, n. 10946.
[4] T.A.R. Lombardia – Brescia, sez.I, 10 gennaio 2009 n. 15, il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di Dia, il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
[5] T.A.R. Abruzzo – Pescara, sez.I, 10 dicembre 2008, n. 974.
[6] Non sussiste alcun obbligo dell’Amministrazione di riesaminare i propri provvedimenti amministrativi, ovvero ad esercitare il potere di autotutela, rispetto al quale il privato non vanta neppure un interesse legittimo, ma solo un interesse di mero fatto, Cons. Stato, sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6550.
[7] Anche se in genere non sussiste un obbligo di provvedere su di un’istanza intesa a sollecitare l’esercizio dei poteri di autotutela (essendo tali poteri connotati da un’ampia discrezionalità sull’an della relativa attività provvedimentale), deve, tuttavia, ritenersi che l’obbligo di provvedere sussista nel caso in cui l’istante non abbia inteso provocare la rimozione d’ufficio di una concessione in sanatoria, ma abbia piuttosto voluto stimolare l’adozione dei doverosi provvedimenti sanzionatori previsti dagli artt. 40 e 45 della L. n. 47/85, per i casi in cui la domanda di condono debba ritenersi dolosamente infedele, Cons. Stato, sez.V, 14 febbraio 2003 n. 808.
[8] Infatti, è illegittimo il silenzio serbato da un Comune in merito ad un atto di diffida notificato ad istanza del proprietario di un immobile confinante con altro, finalizzato a far assumere all'Amministrazione comunale i provvedimenti repressivi nei confronti dell'immobile confinante, nel caso in cui sia risultato che la concessione edilizia in forza della quale l’immobile è stato realizzato sia stata rilasciata sulla base di una dichiarazione del richiedente il titolo edilizio risultata non veritiera, T.A.R. Abruzzo – L’Aquila, sez.I, 15 gennaio 2008 n. 27.
[9] L’eventuale compimento di qualsivoglia attività istruttoria quando non sia sfociata nell’adozione dell’atto conclusivo dell’iter procedimentale, non osta alla configurazione, giuridicamente intesa, del silentium, T.A.R. Lombardia – Brescia, 22 dicembre 2008, n. 1808, T.A.R. Campania – Salerno, sez. II, 10 ottobre 2006 n. 1642.
[10] Cons. Stato, sez.V, 19 febbraio 2004 n. 677.