La sez. II Catania, del TAR Sicilia, con la sentenza 9 giugno 2021 n. 1875 si esprime sull’obbligo o meno di provvedere, a fronte di un’istanza del privato con la quale si sollecitava la P.A. all’acquisizione del terreno occupato senza titolo.
È noto che il comma 1 (primo periodo), dell’art. 2, Conclusione del procedimento, della legge n. 241/1990 prevede che «Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso».
A fronte di una richiesta l’Amministrazione, il secondo periodo del cit. comma, dispone che «Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo».
A tal proposito, va osservato che quando non vi sia un obbligo giuridico di riscontro il silenzio può assumere, a seconda dei casi, il significato di “rifiuto” o “rigetto”[1], specie quando l’attività d’impulso del privato sia priva di una fonte di riferimento, manca (cioè) un correlato “obbligo” di provvedere, ossia quando la procedura attivata non presenti quel carattere di doverosità, pertanto, il silenzio serbato dall’Amministrazione può legittimamente integrare un silenzio rifiuto[2].
Di converso, affinché possa configurarsi il “silenzio inadempimento”, contestabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 della legge n. 241 del 1990, 31 c.p.a. e 117 c.p.a., occorre che sussista un obbligo di provvedere e che, decorso il termine di conclusione del procedimento, non sia stato assunto alcun provvedimento espresso, avendo tenuto l’Amministrazione procedente una condotta inerte.
Ne consegue che l’obbligo della P.A. di provvedere sulle istanze dei privati sussiste, oltre che nei casi espressamente previsti da una norma, anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l’adozione di un provvedimento espresso, ovvero tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione pubblica[3].
L’obbligo di provvedere, tuttavia, non deve necessariamente derivare da una disposizione puntuale e specifica, ma può desumersi anche da prescrizioni di carattere generico e dai principi generali regolatori dell’azione amministrativa[4].
Ogni qualvolta la realizzazione della pretesa sostanziale vantata dal privato dipenda dall’intermediazione del pubblico potere, l’Amministrazione, dunque, è tenuta ad assumere una decisione espressa, anche qualora si faccia questione di procedimenti ad istanza di parte e l’organo procedente ravvisi ragioni ostative alla valutazione, nel merito, della relativa domanda: l’attuale formulazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990, impone l’adozione di un provvedimento espresso, consentendosi in tali ipotesi soltanto una sua redazione in forma semplificata, ma non giustificandosi una condotta meramente inerte[5].
Il caso del TAR Sicilia affronta la richiesta di accertamento dell’obbligo di provvedere al fine di ottenere l’acquisizione legittima di alcune porzioni immobiliari di proprietà occupate, senza alcun titolo abilitativo, a fronte dell’inerzia di un’Amministrazione locale.
Pare giusto rammentare che in materia di espropriazione per pubblica utilità pur non potendo il giudice ordinare direttamente all’Amministrazione pubblica di adottare un provvedimento di acquisizione, ai sensi dell’art. 42 bis, Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, del d.P.R. n. 327/2001, atteso che la scelta di utilizzare tale strumento comporta complesse valutazioni relative all’interesse pubblico demandate all’Autorità amministrativa, può tuttavia imporre, ai fini dell’effettiva tutela delle posizioni del privato, di operare una scelta tra la restituzione del bene, con ripristino dei luoghi, e l’acquisizione al patrimonio indisponibile[6].
A ben vedere, siamo di fronte a situazioni non infrequenti di occupazioni dei cigli stradali, o tratti di terreno adiacenti, per la realizzazione di strade comunali, e con il tempo questi tratti stradali privati (di fatto strade vicinali) assumono il peso dell’uso pubblico, anche dovuto alla mancanza dell’Amministrazione di concludere la procedura espropriativa, ovvero della sua totale mancanza, ritenendo irrilevante l’occupazione o, di converso, provvedendo alla sistemazione di tratti da tempo occupati e ritenuti pubblici[7].
Il ricorrente chiedeva la condanna del Comune (un obbligo di facere) a dare avvio al procedimento volto alla legittima acquisizione delle aree indebitamente occupate (configurandosi un illecito permanente) mediante un negozio traslativo consensuale (il c.d. accordo bonario), ovvero, ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, con adozione del provvedimento di acquisizione sanante e contestuale liquidazione, oltre che l’indennizzo.
Si tratta, invero, di un procedimento di natura ablatoria semplificato e con caratteristiche sui generis, rispetto al quale non sono astrattamente configurabili – in capo al privato proprietario del bene immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico e modificato dall’Autorità amministrativa in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità – situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo pretensivo, suscettibili di far sorgere in capo alla P.A. un obbligo di adozione di un provvedimento di acquisizione del bene stesso al suo patrimonio indisponibile e tutelabili dal privato attraverso l’azione avverso il silenzio-inadempimento, di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a.[8].
Il Tribunale nel ritenere il ricorso infondato, si allinea con il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa:
- rilevando che il silenzio inadempimento può essere attivato a fronte di un obbligo di provvedere della P.A., ex 2 della legge n. 241/1990;
- in assenza di un procedimento espropriativo, sia pur viziato, posto in essere dall’Amministrazione occupante e non conclusosi con un valido decreto di esproprio manca tale obbligo[9];
- l’inesistenza del procedimento risulta dalle stesse dichiarazioni del ricorrente quando rileva che le aree sono state interessate da un’attività di occupazione del Comune intimato «non preceduta dall’adozione di alcun provvedimento amministrativo abilitativo».
Si conclude che in mancanza dei presupposti di operatività della norma invocata e, pertanto, in mancanza di un obbligo di provvedere da parte della P.A. intimata, il ricorso avverso il silenzio deve essere rigettato, aggiungendo incidentalmente che le controversie aventi ad oggetto l’occupazione di fatto di immobili al di fuori di qualsiasi procedura espropriativa, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.
[1] Nel caso di silenzio rigetto, non è emesso un atto formale e l’atto tacito è il risultato di una finzione, determinata dalla legge, attraverso la quale, da un lato, si verifica la sua inoppugnabilità col relativo stabile assetto di interessi, se è impugnato tempestivamente e, dall’altro lato, l’interessato può proporre il ricorso al TAR o al Presidente della Repubblica per ottenere tutela nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 marzo 2021, n. 567.
[2] Cfr. TAR Marche, Ancona, sez. I, 18 marzo 2021, n. 234.
[3] TAR Campania, Salerno, sez. II, 15 marzo 2021, n. 656, idem TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 11 marzo 2021, n. 237; Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5344.
[4] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318; sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975; sez. V, 15 marzo 1991, n. 250.
[5] TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 15 marzo 2021, n. 1704.
[6] TAR Campania, Salerno, sez. II, 18 marzo 2021, n. 717. È rimessa al giudice la valutazione (in relazione alle specificità della fattispecie esaminata, alla natura del potere esercitato dall’Amministrazione ed al complesso degli interessi coinvolti) circa la sussistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere, TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 9 aprile 2019, n. 4681.
[7] Siamo in presenza della cosiddetta dicatio ad patriam, l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale, Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2013, n. 5116.
[8] TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 24 maggio 2021, n. 1644.
[9] TAR Sicilia, Catania, sez. II, 17 febbraio 2020, n. 384