La sez. III del TAR Veneto, con la sentenza del 19 ottobre 2022 n. 1599, interviene per ribadire che l’onere di bonifica incombe sul responsabile dell’inquinamento, anche in caso di cessione della titolarità (subentro) nell’esercizio dell’attività che ha prodotto la contaminazione del suolo.
Il ricorso
Il ricorso, nella sua essenzialità, viene promosso contro una determinazione della Provincia nella parte in cui attribuisce alla società ricorrente (che era subentrata ad un precedente assegnatario) la responsabilità della contaminazione di un’area, già oggetto di concessione (produzione di gas da carbone), rientrata nella disponibilità di un Ente locale e successivamente dismessa mediante asta pubblica.
L’aggiudicatario del bene segnalava un presunto inquinamento ambientale dell’area, seguiva procedimento di identificazione del responsabile (appurato l’inquinamento) e sua messa in mora per la bonifica (una serie di attività con effetto immediato e a predisporre entro trenta giorni un piano di caratterizzazione)[1] attribuibile al soggetto già concessionario dell’area pubblica (ossia, del titolare della produzione di gas da carbone fossile).
La parte ricorrente tra le diverse illegittimità segnalate rileva:
- un difetto di un’approfondita istruttoria volta a individuare il responsabile dell’inquinamento[2], che è il soggetto a cui possono essere imposti gli oneri connessi con la bonifica (ricadendo, pertanto, nel precedente concessionario)[3];
- la non corretta determinazione dei parametri propri delle aree residenziali, nonostante l’area utilizzata avesse destinazione industriale, non potendo essere chiamata a sostenere i costi per l’eliminazione dell’inquinamento nel rispetto dei parametri di un’area residenziale.
La difesa
Dal quadro e dai diversi ricorsi connessi, il GA si dovrebbe soffermare sulla declaratoria di illegittimità dei provvedimenti impugnati in ragione dell’imputazione degli oneri di bonifica alla sola società concessionaria (l’ultimo concessionario), in relazione a un inquinamento che può ragionevolmente derivare anche dall’esercizio dell’attività di produzione del gas da carbone fossile svolta da un soggetto diverso (il precedente concessionario) e prima dell’entrata in vigore del codice dell’ambiente.
In termini diversi, se il precedente concessionario (non la parte ricorrente) risulta responsabile dell’inquinamento ne deriva l’impossibilità di ogni addebito in quanto l’attività risulterebbe cessata molto prima dell’entrata in vigore della normativa sull’inquinamento dettata dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e, quindi, non avrebbe potuto trasferire una responsabilità che non è mai sorta in capo alla stessa[4].
La responsabilità del subentrante
Ciò posto, il Tribunale viene chiamato a decidere «unicamente con riferimento all’impugnazione degli atti nella parte in cui le Amministrazioni resistenti hanno identificato … (la ricorrente) quale unico soggetto responsabile della contaminazione del sito …, diffidandola a porre in essere una serie di attività», meglio illustrate nel ricorso.
Il GA disattende le motivazioni del ricorso respingendolo, con condanna alle spese, sulla base delle seguenti argomentazioni:
- in via di fatto, il primo concessionario del bene è stato incorporato dall’ultimo concessionario, ossia è subentrato in tutti i rapporti, compresa la responsabilità per l’inquinamento dell’area;
- la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma «che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento»[5];
- gli effetti giuridici e gli obblighi di bonifica si trasmettono alla società costituitasi per fusione o incorporazione, che è successore universale della società estinta;
- la conseguenza pratica impone di affermare che «nemmeno la risalenza nel tempo delle condotte potenzialmente inquinanti può esimere dall’obbligo, attuale, di rimozione dell’inquinamento che supera i limiti dell’accettabilità in relazione al tipo di area» interessata.
Le contaminazioni storiche
In proposito, non sfugge che il pronunciamento si allinea al principio “chi inquina paga”[6], sotteso alla disciplina nazionale dettata in tema di distribuzione degli oneri conseguenti alla contaminazione di aree (si tratta, in particolare, della Parte IV – Titolo V del codice dell’ambiente, ossia gli artt. 240 e ss.), deve essere riconosciuta, anche in ragione della derivazione euro-unitaria del principio medesimo (artt. 191 e 192 del TFUE), valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico, in quanto tale insuscettibile di deroghe di carattere pattizio[7].
La sentenza rimarca, richiamando una serie di precedenti[8], che le norme in materia di obblighi di bonifica non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente (neutra) a fronte del permanere dell’inquinamento[9]: deve ribadirsi che il comma 1, dell’art. 242, Procedure operative ed amministrative, del codice dell’ambiente (ex d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152), nel fare riferimento specifico anche alle “contaminazioni storiche” («che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione»), ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi (recte, conclusasi) in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di “aggravamento della situazione” sia ancora attuale (il comma 2, del cit. art., in questo senso prevede che «i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo»)[10].
In effetti, in presenza delle c.d. “contaminazioni storiche”, il Tribunale ammette l’incongruenza se non l’arbitrarietà nel limitare l’applicazione della norma alle sole contaminazioni che si siano verificate dopo l’entrata in vigore del codice dell’ambiente, o dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 22 del 1997, visto che per primo disciplinò gli obblighi di bonifica; d’altronde, viene osservato, che l’aggettivo “storiche” rimanda, anche da un punto di vista semantico, a contaminazioni verificatesi in epoca remota, tali appunto da appartenere non all’attualità, ma alla storia Patria.
Risponde a queste valutazioni la piena legittimità di una ordinanza comunale per la rimozione, smaltimento e recupero di rifiuti depositati in un’area di un complesso industriale che sia stata emessa nei confronti del proprietario acquirente del medesimo complesso, a nulla rilevando la preesistenza dei rifiuti rispetto all’acquisto dell’immobile poiché non si tratta, in tal caso, del proprietario del terreno sul quale siano stati abbandonati rifiuti di proprietà di terzi, ma del proprietario degli stessi rifiuti, acquistati unitamente al compendio aziendale, e che in tale qualità diviene responsabile dell’ulteriore protrazione dello stato di abbandono dei medesimi, e sul quale, pertanto, grava l’obbligo legale previsto dall’art. 192 d.lgs. 152/2006 di provvedere alla loro rimozione e smaltimento in qualità sia di “proprietario” degli stessi che di “(cor)responsabile” del loro abbandono[11].
Brevi osservazioni
A ben vedere, il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti nell’esercizio di attività industriali, si potrebbe argomentare, configurava già all’epoca un illecito: il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa, quale la produzione di gas su scala industriale (ex art. 2050 c.c.), rende, infatti, il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione (di fatto non avvenuta).
Si deve, inoltre, rilevare che la tutela del paesaggio e dell’ambiente è affidata in primis al primo livello di “Governo del territorio”, ovvero al Comune, esprimendo un collegamento diretto tra popolazione insediata e il suo spazio vitale, dove la nuova versione (con l’aggiunto comma) dell’art. 9 Cost.[12], esprime al meglio questa proiezione “ecologica”, in chiave di massima tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, «anche nell’interesse delle future generazioni», proiettando questa visione (quasi etica) in un sistema che produce “valore pubblico” nelle sue più estese formulazioni di tutela, da includere quella di diritto fondamentale della persona (in coordinamento con l’art. 32 Cost.)[13].
In dipendenza di ciò, l’ambiente oggetto di protezione costituzionale diretta (ex art. 9) ed indiretta (ex art. 32), in virtù di norme non meramente programmatiche, ma precettive, che impongono l’ascrizione all’area dell’illecito giuridico di ogni condotta lesiva del bene protetto, tanto più se posta in essere nello svolgimento di attività già per loro natura intrinsecamente pericolose e nell’ambito di un’iniziativa imprenditoriale, che, in quanto costituzionalmente conformata dal canone del rispetto della “utilità sociale” (ex art. 41), è inter alia vincolata alla salvaguardia della salubrità dell’ambiente, la cui compromissione è evidentemente contraria alla “utilità sociale”.
Ne consegue che il danno all’ambiente (inteso quale diminuzione della relativa integrità, anche mediante l’immissione, il rilascio o l’abbandono di sostanze non bio-degradabili) era ab imis ed ab origine ingiusto: l’obbligo di bonifica (nel caso di specie) viene confermato non potendo giustificarsi in ragione di una diversa formulazione giuridica del soggetto subentrante in linea di continuità con il responsabile (quasi una inaspettata banalità di pensiero).
Giova allora rammentare che in materia di responsabilità penale per contaminazioni ambientali, in quanto in materia penale i principi di irretroattività del reato e della pena si impongono in termini assoluti e stringenti, mentre gli obblighi di bonifica previsti dal Titolo IV del Codice dell’ambiente non hanno finalità sanzionatoria di una condotta pregressa, bensì natura riparatoria e ripristinatoria in relazione ad una situazione di (ancora) attuale inquinamento[14].
(Pubblicato, Oneri di bonifica del subentrante, lexambiente.it, 4 novembre 2022)
[1] La preliminare messa in sicurezza del sito inquinato costituisce una misura idonea ad evitare ulteriori danni e la diffusione dei fenomeni di inquinamento ambientale e rientra pertanto nel genus delle misure precauzionali: non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, tale misura, data la sua sostanziale natura di atto urgente, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile, TAR Campania, Napoli, sez. V, 4 giugno 2020, n. 2203.
[2] Vedi, LUCCA, Ordinanza di bonifica sito inquinato e obblighi partecipativi, segretaricomunalivighenzi.it, 25 agosto 2020, dove si osserva che in carenza di urgenza, che ne giustifichi l’omissione, il contradittorio è richiesto proprio per il profilo soggettivo della responsabilità solidale, a titolo di dolo o di colpa, non essendo sufficiente a tal fine un mero scambio epistolare tra le parti, TAR Puglia, Lecce, sez. II, 20 febbraio 2020, n. 246.
[3] Viene richiamata la sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, 28 gennaio 2008, n. 89, dove si sottolinea l’assoluta inconferenza di eventuali accordi transattivi per la ripartizione di costi ed obblighi relativamente alla contaminazione di un’area ceduta; accordi con i quali una parte si sarebbe assunta gli oneri dell’eventuale bonifica dell’area stessa, posto che l’ambito privatistico delle relazioni tra due soggetti è insuscettibile di interagire con lo speciale procedimento di bonifica ambientale: l’obbligo di bonifica è posto, dunque, in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare, mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera «facoltà» di effettuare interventi di bonifica.
[4] L’individuazione della responsabilità per l’inquinamento di un sito si basa sul criterio causale del “più probabile che non”; è sufficiente che l’effettiva esistenza del nesso ipotizzato dall’Amministrazione sia più probabile della sua negazione: in altre parole, è sufficiente che la validità dell’ipotesi eziologica formulata dall’Amministrazione sia superiore al cinquanta per cento, Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668 e 18 dicembre 2018, n. 7121.
[5] Cons. Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 10 del 2019.
[6] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2021, n. 5542, tale principio è mitigato, ai sensi dell’art. 245, Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione, del d.lgs. n. 152/2006, nell’ipotesi di assunzione volontaria degli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale. In questo caso, il proprietario, seppur non obbligato, assume spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, presumibilmente motivato dalla necessità di evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area (inquinata) di onere reale e di privilegio speciale immobiliare ovvero, più in generale, di tutelarsi contro una situazione di incertezza giuridica, prevenendo eventuali responsabilità penali o risarcitorie. Ad ogni modo, nel caso di bonifica spontanea di un sito inquinato, il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute, «a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall’identificazione del responsabile dell’inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà».
[7] Cons. Stato, sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225.
[8] TAR Veneto, sez. III, sentenze n. 255/2014 e n. 313/2017; Cons. Stato, sez. IV, 1° aprile 2020, n. 2195; sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; sez. IV, 7 maggio 2019, n. 2926; Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32142.
[9] Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 2021, n. 7709.
[10] Cons. Stato, sez. IV, 1° febbraio 2022, n. 677.
[11] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 8 settembre 2022, n. 829.
[12] Legge Cost., 11 febbraio 2022, n. 1, Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente. L’art. 9 Cost. esprime un forte collegamento funzionale tra la tutela dell’ambiente e la pianificazione paesaggistica e territoriale, esercitate di concerto da Stato e Regione, al fine di assicurare un impiego del bene a beneficio della collettività locale che ne rimane intestataria e titolare, Corte Cost., sentenza n. 210 del 2014
[13] Vedi, per un attento commento, PIEROBON, Le modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione: tra nobiltà dei fini e pateracchi, Comuni d’Italia, 2022, n. 3, ove si conclude osservando i toni del bilanciamento dello sviluppo sostenibile e durevole: un «Green New Deal la nuova economia di mercato, dove la possenza dell’ambiente, nella sua dimensione intergenerazionale e nella sua limitazione di mercato, assume un diverso modello di sviluppo – progresso».
[14] Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668.