La realizzazione di un intervento edilizio, che comporta la trasformazione del territorio, impone il pagamento di una somma di denaro a favore del Comune in relazione al rilascio del titolo abilitativo (concessorio), evidenziando un principio, a livello generale, con funzione di solidarietà economico – sociale, dove l’obbligo contributivo (in rapporto a quanto costruito, “carico urbanistico”) risponde all’esigenza di partecipare ai costi ricadenti sulla collettività per l’urbanizzazione del territorio, del quale il privato si avvale nel momento in cui decide di edificare.
In effetti, a ben vedere, gli oneri di urbanizzazione trovano fondamento nei costi e vantaggi rispettivi che derivano alla collettività e al concessionario dalla trasformazione del territorio: è, pertanto, illegittima la determinazione comunale di assoggettare a contributo uguale attività edilizie diverse e diversamente incidenti sull’utilizzazione del territorio.
Giova rilevare che l’articolo 16 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (approvato con il D.P.R. n. 380 del 2001) stabilisce la ripartizione in oneri primari e secondari, in base a parametri fissati dal Consiglio Comunale e dovuti anche se non corrispondenti ai costi effettivi per la realizzazione degli interventi o a specifici benefici del soggetto titolare dell’edificazione.
La determinazione del quantum costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente collegata dalla legge al carico urbanistico accertato al momento della formazione del titolo abilitativo, secondo parametri rigorosamente stabiliti, per cui deve escludersi, stante la natura tecnica dell’attività in materia, che il provvedimento debba essere motivato: l’imponibile, per la liquidazione degli oneri d’urbanizzazione, deve essere calcolato con esclusivo riguardo al bene così come definito e autorizzato.
Gli oneri, al di là della loro ripartizione diretta, sono dovuti per l’alterazione dello stato dei luoghi e la modificazione della destinazione dell’area e si caratterizzano per l’incidenza dell’intervento sul carico urbanistico di una zona, giacché “ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio partecipa agli oneri ad essa relativi”, con l’avvertenza che il pagamento di tali contributi non comporta la nascita, in capo al titolare del titolo abilitativo, di un diritto, azionabile nei confronti della P.A., alla realizzazione e completamento delle opere di urbanizzazione che maggiormente interessano la sua costruzione, posto che il Comune può discrezionalmente utilizzare i predetti introiti per il completamento o la manutenzione delle opere di urbanizzazione di qualsiasi parte del territorio.
Ne consegue che gli oneri di urbanizzazione (e il contributo di costruzione) sono un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere d’urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne trae, confermando che “anche il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato preesistente, realizzato con nuove opere, implica l’assoggettamento non solo dell’attività costruttiva alla concessione edilizia, ma pure all’obbligo di corrispondere al comune il contributo nella misura rapportata alla nuova destinazione”.
La natura indubbiamente pubblicistica di entrambi i contributi (per oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione, il secondo peraltro, senza dubbio, più strettamente legato all’attività edificatoria concretamente realizzata rispetto al primo, corrispettivo parimenti di diritto pubblico posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae) trova la sua unità precettiva nella disciplina dell’art. 16 del T.U. n. 380 del 2001.
Tale natura giuridica, di corrispettivo di diritto pubblico di entrambi i contributi, porta a inquadrarli nell’ambito delle “prestazioni patrimoniali imposte”, con la conseguenza che non può prescindersi da un’espressa previsione di legge; pur non caratterizzandosi per la causa impositionis tipica dei tributi, bensì per la presenza dell’elemento formale dell’imposizione, trattandosi di prestazioni patrimoniali a favore del Comune autoritativamente determinate, va salvaguardata, nell’individuazione di tali corrispettivi di diritto pubblico, l’esigenza di rispettare il principio di legalità definito dall’art. 23 Cost., secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
La disamina, involgendo una diretta correlazione tra pagamento e realizzazione dell’intervento, si riverbera sul fatto oggettivo che allorché il privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio – per scadenza dei termini iniziali o finali o per il sopravvenire di previsioni urbanistiche introdotte o dallo strumento urbanistico o da norme legislative o regolamentari, contrastanti con le opere autorizzate e non ancora realizzate – sorge in capo al Comune l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte, a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione: il contributo concessorio è, difatti, strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo di causa, cosicché l’importo versato va restituito.
L’Amministrazione potrà subordinare la restituzione degli oneri, a seguito della rinuncia della ditta interessata al permesso di costruire, all’effettivo ripristino dell’area ove risulti che, pur non essendo state realizzate le opere edilizie formalmente ed espressamente previste dall’atto di assenso edificatorio, siano stati tuttavia posti in essere significativi interventi modificativi del territorio.
È da precisare che in caso di realizzazione dell’intervento con una diversità di destinazioni, chiaramente delimitate e strutturalmente separate, il pagamento degli oneri di urbanizzazione può essere distinto dal costo di costruzione per la porzione del manufatto destinata allo svolgimento di attività esentate.
Dal punto di vista della determinazione degli oneri di urbanizzazione, in presenza di una molteplicità di destinazione e/o vocazione dei beni, ciò che rileva non è l’immobile in sé considerato, ma la tipologia economica dell’attività che in esso viene svolta: la c.d. caratterizzazione complessiva e prevalente dell’attività economica che viene condotta nell’immobile, sulla base di verifiche analitiche certe.
È la “tipologia economica dell’attività svolta” che consente di spiegare la qualità dello scambio di – utilità e vantaggi – che si realizza tra la collettività locale, di cui è espressione politico – amministrativa il Comune, e il concessionario; quest’ultimo soggetto che realizza l’intervento edilizio ove si svolgerà una determinata attività economica.
Se, quindi, è indispensabile valutare complessivamente l’intervento e la prevalenza o meno di una destinazione allo scopo di inquadrare correttamente il dovuto, il potere esercitato dal Comune – in presenza di uno sviluppo urbano che implica una trasformazione del suolo – può spingersi a stabilire i parametri tabellari in ragione anche degli obblighi assunti dall’intestatario del titolo (specie se il medesimo Ente locale è parte coinvolta direttamente nell’intervento, ovvero proprietaria di un bene): in sede di convenzionamento o di permesso di costruire convenzionato (ex art. 28 bis del D.P.R. n. 380/2001) la valutazione dell’interesse pubblico prevalente potrà individuare dettagliatamente il quantum da versare, in un processo motivazionale che compari tale determinazione con la corretta valorizzazione (alias trasformazione) di un area o bene, in un bilanciamento tra “interesse generale”, al recupero di un ambito dismesso e/o degradato, e l’“interesse privato”, ad effettuare l’investimento (a “contributi ridotti”) altrimenti non realizzabile (sotto il profilo della sostenibilità e/o convenienza economica).
L’Amministrazione, in parole diverse, in via sussidiaria, nell’esercizio della sua discrezionalità amministrativa, potrà adottare un piano che, a fronte del recupero urbano di un territorio (dismesso e/o degradato), incentivi il privato con la determinazione di contributi “diversificati”, nel perseguimento di preminenti interessi pubblici, cioè valutando ulteriori parametri, diversi dalla destinazione di zona (o dell’intervento), fermo restando il loro aggancio con il carico urbanistico individuabile per la zona stessa.
(estratto, Profili operativi e soluzioni possibili in materia di contributi di urbanizzazione, LexItalia, 2015, n. 10)