La sez. I del T.A.R. Sicilia, Palermo con la sentenza 21 settembre 202o, n. 1868, limita i poteri sindacali su un bene privato, rinviando la controversia al giudice ordinario non avendo l’Amministrazione poteri autoritativi su sedimi non a uso pubblico.
È noto che il potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), può essere esercitato legittimamente in presenza dell’apposizione di limiti o ostacoli da parte del privato su suoli pubblici o d’ uso pubblico: il potere di ordinanza di messa in ripristino non è riducibile all’azione possessoria privatistica (artt. 1168 e ss. cod. civ.) ma è correlato alla finalità di ripristinare la disponibilità del bene in favore della collettività, a prescindere dalle modalità concrete nelle quali si è giunti all’occupazione abusiva in via di fatto e quali ne siano le cause[1].
L’Amministrazione prima di agire ha l’onere di verificare la titolarità del bene in cui insiste il manufatto (un’attività istruttoria da richiamare anche nel testo provvedimentale a sostegno della liceità – o presupposto – dell’esercizio legittimo del potere), e ai fini della determinazione dell’effettiva proprietà del bene, è necessario curare una verifica sui registri immobiliari, atteso che alle risultanze catastali non può essere riconosciuto un definitivo valore probatorio, bensì una valenza meramente sussidiaria rispetto a quanto desumibile dagli atti traslativi in quanto contenenti utili indicazioni in ordine al diritto di proprietà[2].
Infatti, l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a detto scopo, giacché quando la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un testamento[3].
Ne discende che è inesistente una servitù di uso pubblico su terreni di un privato qualora l’ente territoriale che la vanta non abbia fornito alcuna prova circa le modalità della sua costituzione[4], rilevando che in caso di contestazione di legittimità dei provvedimenti adottati, spetterà alla parte che vi ha interesse offrire la prova contraria e la questione dell’esistenza della servitù sarà conosciuta dal giudice amministrativo nei limiti di cui all’art. 8 del c.p.a. e dunque senza effetti di giudicato tra le parti (competenza questa che spetterà al G.O.)[5].
Ciò premesso, il Condominio ricorre avverso un’ordinanza del Comune che imponeva la rimozione di cancelli posti sull’accesso privato alla proprietà; cancelli ricadenti ad oltre 150 metri dal ciglio del terreno elevato sul mare, donde il venire meno della necessità di richiedere apposita autorizzazione, prevista dall’art. 55 del Codice della navigazione, «considerato che i detti cancelli sono posizionati ad una distanza di gran lunga maggiore a quella sottoposta al vincolo di cui al sopra citato articolo».
Nello specifico, il Condominio posizionava un cancello pedonale, ricadente nella sua proprietà privata, anche per evitare assembramenti in epoca Covid-19 all’interno delle zone condominiali, in adesione con le normative nazionali e regionali: seguiva, appunto, ordinanza di immediata rimozione del cancello pedonale «ad opera di personale comunale addetto e ordinato al Condominio di lasciare aperto il varco per consentire a tutti il libero accesso al mare».
Il Tribunale dichiara il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione.
Le considerazioni (dei ricorrenti) che precedono la statuizione rilevano:
- il cancello chiuso da parte del Condominio regola l’accesso ad una “stradella privata” nella esclusiva disponibilità materiale e giuridica dello stesso;
- la contestazione si incentra sull’insussistenza in capo alla P.A. del potere autoritativo che assume essere stato illegittimamente esercitato volta, pertanto, a rivendicarne le ragioni dominicali e possessorie, dimostrano come l’azione proposta abbia sostanza di negatoria servitutis.
- la stradella del condominio non risulta gravata da uso pubblico, dovendosi ricondurre il passaggio per l’accesso al mare alla tolleranza dei condomini, i quali non hanno mai inteso di rinunziare al loro diritto tant’è che hanno da sempre collocato il cancelletto pedonale.
Di converso il Comune rivendica:
- l’esistenza di un diritto di godimento da parte della collettività su quel segmento stradale;
- l’accesso inibito dal cancello è unico punto per raggiungere il demanio costiero e il mare;
- il potere sindacale si basa su un uso da tempo risalente, da parte dei fruitori attraverso la cit. stradella, rappresentando l’espressione dell’autotutela possessoria in materia di strade ad uso pubblico onde garantire il libero transito alla generalità delle persone per potere accedere al mare.
La questione attiene alla determinazione della titolarità del bene, ritenuto dal Condominio ricorrente, di sua esclusiva proprietà: non è gravata da alcun uso pubblico.
A fronte del quadro fattuale, il giudice di prime cure annota che quando:
- il ricorrente pur formalmente impugna il provvedimento sindacale di rimozione, tuttavia mira alla difesa della proprietà o del possesso del privato sull’immobile oggetto di contesa con la P.A., il petitum sostanziale si rivela estraneo alla giurisdizione del G.A.[6];
- il ricorrente contesta l’esistenza del suddetto diritto da parte della P.A. fa valere un’actio negatoria servitutis, rientrante nella giurisdizione del Tribunale civile e non in quella del giudice amministrativo [7];
- il G.O., se del caso, ben potrà disapplicare l’ordinanza gravata.
Il Tribunale conclude dichiarando il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo la controversia alla giurisdizione del giudice ordinario presso il quale il processo può essere riproposto, spettando a questi «la giurisdizione sull’azione promossa dal privato nei confronti di una P.A. per negare che il proprio fondo sia gravato da servitù di pubblico transito siccome vantato in un provvedimento della stessa P.A, trattandosi di questione riguardante l’accertamento dell’esistenza ed estensione di diritti soggettivi, appartenenti sia ad un soggetto privato che all’Amministrazione, e contestandosi in radice il potere della medesima Amministrazione di classificazione delle strade ad uso pubblico»[8].
[1] Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2015, n. 2196; sez. VI, 26 aprile 2018, nn. 2519 e 2520.
[2] Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 5.
[3] Cfr. Con. Stato, sez. V, 16 ottobre 2017, n. 4791 e 16 febbraio 2017, n. 713.
[4] Cons. Stato, sez. II, 12 maggio 2020, n. 2992.
[5] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 17 marzo 2020, n. 3316.
[6] Cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, 14 febbraio 2017, n. 151.
[7] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. I, 7 maggio 2015, n. 279 e 19 maggio 2003, n. 1926.
[8] Cfr. Cass. Civ., sez. unite, Ordinanze 17 marzo 2010, n. 6406 e 27 gennaio 2010, n. 1624.